CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 gennaio 2018, n. 2454
Decesso del lavoratore per causa di servizio – Previsione di equo indennizzo ai familiari – Clausola soppressa nel successivo CCNL – Richiesta di indennizo antecedente la sottoscrizione del nuovo CCNL – Condanna al pagamento – Ricorso in Cassazione – Omessa allegazione o trascrizione nuovo CCNL – Inammissibilità del ricorso
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello proposto da R.F.I. s.p.a. avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva accolto il ricorso di E.M.M. e condannato la società al pagamento dell’equo indennizzo, quantificato in € 53.970,52, in relazione al decesso del coniuge, avvenuto per causa di servizio.
2. La Corte territoriale, premesso che non veniva posta in discussione la tempestività della richiesta, presentata entro sei mesi dal riconoscimento della causa di servizio, ha evidenziato che la questione dell’eventuale soppressione dell’equo indennizzo per effetto della sottoscrizione del CCNL 16 aprile 2003 risultava essere irrilevante nella fattispecie in quanto la domanda era stata presentata il 22 aprile 1999 ed il riconoscimento era avvenuto il 26 aprile 2004, a distanza di oltre cinque anni dalla data della domanda. Ha aggiunto che l’entrata in vigore del nuovo contratto collettivo non poteva essere opposta alla parte diligente, che aveva presentato tempestivamente la richiesta di riconoscimento della causa di servizio e non poteva, prima della definizione di detta fase del procedimento, richiedere anche l’equo indennizzo.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso R.F. s.p.a sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ., al quale ha opposto difese E.M.M. con tempestivo controricorso.
4. Con comparsa depositata il 12.10.2017 si è costituito per la controricorrente l’Avv. A.M., in sostituzione dell’Avv. N.F., deceduto nelle more del giudizio di cassazione.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente deve essere dichiarata la nullità dell’atto di costituzione di nuovo difensore.
L’art. 83 cod. proc. civ., comma 3, nel testo applicabile ratione temporis, include solo il ricorso ed il controricorso nell’elenco degli atti nei quali la procura può essere apposta a margine o in calce. Pertanto, se la procura non è rilasciata in occasione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal secondo comma del citato articolo, cioè con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata che facciano riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata. A tale regola non si fa eccezione nemmeno nel caso in cui sopraggiunga la sostituzione del difensore (Cass. S.U. 6 luglio 2005 n. 14212).
Non si applica al presente giudizio l’art. 83 cod. proc. civ., come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 9, lett. (a), che consente il rilascio della procura anche al margine di atti diversi da quelli sopra indicati. Infatti, per espressa previsione della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, avvenuta il 4 luglio 2009. Essendo il presente giudizio iniziato in primo grado nell’anno 2007 ad esso non può applicarsi la nuova disposizione ( in tal senso fra le più recenti Cass. 18.10.2016 n. 21037; Cass. 7.11.2014 n. 23778; Cass. 6.6.2014 n. 12831; Cass. 26.3.2010 n. 7241).
2. Il ricorso denuncia con un unico motivo, articolato in più punti e formulato ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. «violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ai sensi dell’art. 112 c.p.c.; violazione e falsa applicazione delle norme in tema di applicabilità degli istituti della causa di servizio e dell’equo indennizzo; erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia». Sostiene la società ricorrente che la Corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio di ultra o extra petizione perché la M. aveva agito in giudizio per il pagamento dell’equo indennizzo e non per ottenere il risarcimento del danno cagionatole dalla prolungata inerzia della società. Il giudice del merito doveva limitarsi ad accertare la sussistenza o meno del diritto soggettivo fatto valere in giudizio, in realtà non più azionabile dopo l’abrogazione dell’istituto ad opera del C.C.N.L. 16 aprile 2003, e non accogliere la domanda sulla base di una diversa causa petendi.
La società ripropone, poi, la tesi disattesa nei due gradi del giudizio di merito secondo cui l’assenza di qualsiasi richiamo all’equo indennizzo nel contratto collettivo nazionale 16 aprile 2003, art. 26, e nel contratto collettivo aziendale, art. 16, manifesterebbe la volontà delle parti collettive di ritenere non più applicabile l’art. 209 della legge n. 425 del 1958 che aveva esteso al personale dipendente dell’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato l’istituto dell’equo indennizzo previsto per i soli dipendenti dello Stato dal d.P.R. n. 3 del 1957. Evidenzia al riguardo che a seguito della privatizzazione avvenuta con la legge n. 210 del 1985 il rapporto di lavoro dei dipendenti delle Ferrovie è stato disciplinato dalla contrattazione collettiva, che con i contratti del 18 luglio 1990 e del 6 febbraio 1998 hanno manifestato la volontà di ritenere ancora operante l’istituto, richiamandolo espressamente nelle disposizioni relative alla struttura della retribuzione.
Infine la ricorrente sostiene che il diritto all’equo indennizzo nasce solo a seguito del riconoscimento della dipendenza della infermità o della lesione da causa di servizio, nella fattispecie intervenuto quando già era entrato in vigore il nuovo CCNL.
3. Il motivo, nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., è formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti al ricorrente per cassazione dagli artt. 366 n. 6 e 369 cod. proc. civ. . La denuncia di un error in procedendo, che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali non dispensa il ricorrente dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, provvedendo, inoltre, alla allegazione degli stessi o quantomeno a indicare, ai fini di un controllo mirato, i luoghi del processo ove è possibile rinvenirli (fra le più recenti Cass. 4.7.2014 n. 15367, Cass. S.U. 22.5.2012 n. 8077; Cass. 10.11.2011 n.23420).
Dal principio di diritto discende che, ove il ricorrente denunci il vizio di ultra o extra petizione affinché la censura possa essere valutata, è necessario che nel ricorso vengano riportati, quantomeno nel loro contenuto essenziale, le deduzioni formulate dalla parte nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e nell’appello ( o nella memoria difensiva), di modo che la Corte, ancor prima di effettuare la verifica degli atti, possa valutare ex actis la fondatezza del rilievo.
In difetto il motivo non potrà che essere dichiarato inammissibile.
4. Alle medesime conclusioni si giunge quanto alle ulteriori censure, non scrutinabili per le ragioni già indicate da questa Corte con le sentenze nn. 15637/2016, 499/2016, 12911/2013, pronunciate in fattispecie sovrapponibili a quella oggetto di causa. Anche in questa sede la società ricorrente, in violazione degli oneri imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., non trascrive nel ricorso le norme contrattuali a suo dire rilevanti, non produce i testi integrali dei contratti collettivi, non fornisce indicazioni per il reperimento degli stessi.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno al riguardo precisato che «l’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis, secondo comma, cod. proc. civ., la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (nel testo sostituito dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale.» (Cass. S.U. 23.9.2010 n. 20075).
E’ stato evidenziato, inoltre, che, ove gli atti e i documenti siano stati inseriti nei fascicoli di parte dei gradi del giudizio di merito, il deposito di questi ultimi consente di assolvere all’onere di cui al richiamato art. 369 n. 4 cod. proc. civ. ma resta ferma l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 n. 6 cod. proc. civ., non solo del contenuto degli atti e dei documenti ma anche dei dati necessari al reperimento degli stessi (Cass. S.U. 3.11.2011 n. 22726).
5. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile con conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, sulla base delle tabelle di cui al D.M. 10.3.2014 n. 55. A tal fine sono stati considerati unicamente lo studio della controversia e la fase introduttiva del giudizio, giacché la nullità dell’atto di costituzione rende tamquam non esset la partecipazione all’udienza di discussione.
Poiché il ricorso risulta iscritto in data 2.5.2012 non è applicabile ratione temporis l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 3.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.
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