CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10016 del 16 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTO – NON SUSSISTE – ASSENZA NON GIUSTIFICATA INFERIORE AD UN GIORNO – MULTA
Svolgimento del processo
1 – La Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza depositata l’11 aprile 2013 ha parzialmente accolto l’appello proposto dalla (…) s.r.l. avverso la decisione del giudice di prime cure che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato dalla società, con missiva del 7 dicembre 2010, ad (…) ed aveva condannato la resistente alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro in precedenza occupato ed al risarcimento dei danni, quantificati in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegra.
2 – La Corte territoriale ha confermato la statuizione relativa alla ritenuta illegittimità del recesso, evidenziando che la condotta contestata (ossia “essersi recato nella sua abitazione dopo avere prelevato alle 8 il mezzo aziendale per uscirne alle 9,10 senza avere comunicato alcun imprevisto”) integrava una assenza non giustificata inferiore ad un giorno, come tale sanzionabile, secondo le previsioni del CCNL applicabile al rapporto, solo con la multa.
Il giudice di appello ha, però, escluso la applicabilità della tutela reale prevista dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970 ed ha evidenziato che, a fronte della produzione del modello DM 10 attestante l’assenza, sia pure in un periodo successivo al licenziamento, del requisito dimensionale, il Tribunale avrebbe dovuto esercitare i poteri previsti dall’art. 421 c.p.c.. Ha, pertanto, ritenuto ammissibile la produzione documentale effettuata dalla società solo in grado di appello ed ha evidenziato che dalla stessa emergeva che nell’anno 2010 la (…) s.r.l. non aveva mai occupato più di quindici dipendenti. Ha, quindi, condannato la società appellante a “riassumere (…) entro tre giorni o, in difetto, risarcirgli il danno, versandogli una retribuzione pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto..”.
3 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (…) sulla base di due motivi. La (…) s.r.l. ha resistito con tempestivo controricorso ed ha proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, illustrato anche da memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1 – Preliminarmente deve essere disposta la riunione ex art. 335 c.p.c. delle impugnazioni proposte avverso la medesima decisione.
2 – Il ricorso principale denuncia, con il primo motivo, “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345, 421 e 437 c.p.c. anche in relazione all’art. 115 stesso codice”. Rileva il ricorrente che nel corso del giudizio di primo grado la società si era limitata a produrre copia di un unico modello DM10, inidoneo a dimostrare l’asserita insussistenza del requisito dimensionale, sia perché formato dalla stessa (…) s.r.l., sia perché lo stesso non si riferiva all’epoca dell’intimato licenziamento. La Corte territoriale, pertanto, avrebbe dovuto ritenere inammissibile la produzione documentale effettuata in grado di appello in quanto tardiva. Aggiunge che nel rito del lavoro i poteri di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c. non possono essere esercitati contro la volontà manifestata dalle parti o con riferimento a fatti non allegati o non acquisiti al processo in modo rituale.
Con il secondo motivo (…) censura la sentenza impugnata per “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.” e rileva, in sintesi, che, in ogni caso, i documenti prodotti solo in grado di appello (visura camerale e attestazione INPS) erano privi di efficacia dimostrativa quanto alla consistenza dell’organico aziendale, trattandosi di certificazioni formate sulla base dei dati forniti dallo stesso datore di lavoro.
3 – Il ricorso incidentale denuncia, invece, “violazione e/o falsa applicazione del principio di non contestazione, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”. Rileva la società che la difesa del (…), a seguito della rituale e tempestiva costituzione della resistente, avrebbe dovuto contestare in modo specifico la dedotta insussistenza del requisito dimensionale richiesto dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970. In assenza di contestazione i fatti allegati nella memoria difensiva dovevano essere ritenuti provati, perché incontroversi.
4 – Innanzitutto deve essere esaminato il ricorso incidentale, perché la questione dallo stesso posta precede logicamente quella oggetto della impugnazione principale.
L’unico motivo formulato dalla s.r.l. (…) è inammissibile.
Occorre premettere che, anche qualora il ricorrente prospetti una violazione della legge processuale tradottasi in errar in procedendo, rispetto al quale la Corte di cassazione è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito presuppone l’ammissibilità della censura ex art. 366 c.p.c., sicché la parte non è dispensata dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, di indicare in modo egualmente specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, diversi dalla sentenza impugnata (fra le più recenti Cass. 30.9.2015 n. 19410 e Cass. 4.7.2014 n. 15367).
Detti principi risultano applicabili nell’ipotesi in cui il ricorrente lamenti la violazione dell’art. 115 c.p.c., nel testo modificato dall’art. 45, comma 14, della legge n. 69 del 2009, e voglia far valere a suo vantaggio le conseguenze ricollegabili alla non contestazione dei fatti posti a fondamento della domanda o dell’eccezione (cfr. Cass. 19.4.2006 n. 9076 e Cass. 23.7.2009 n. 17253).
In tal caso, poiché il rito del lavoro si caratterizza per una circolarità di oneri di allegazione, contestazione e prova (Cass. S.U. 17.6.2004 n. 11353), è necessario che il ricorso per cassazione riporti le deduzioni contenute negli atti difensivi delle parti in relazione alla questione che si assume non controversa, atteso che da un lato il principio di non contestazione può operare solo con riferimento a circostanze che siano state indicate in modo specifico dalla parte; dall’altro il fatto dedotto dal resistente non può essere ritenuto pacifico qualora già nell’atto introduttivo il ricorrente abbia allegato circostanze incompatibili con quelle dedotte dalla controparte in funzione difensiva.
La ricorrente incidentale avrebbe, quindi, dovuto riportare il contenuto del ricorso introduttivo, della memoria difensiva e del verbale della udienza di discussione, al fine di consentire al giudice di legittimità di accertare la sussistenza della denunziata violazione.
Si deve poi aggiungere che la Corte di Appello ha ritenuto di dovere riformare parzialmente la decisione di prime cure, non perché l’assenza del requisito dimensionale non fosse in contestazione fra le parti, bensì perché la documentazione prodotta in sede di gravame sarebbe stata idonea a dimostrare che l’organico aziendale non aveva mai superato i quindici dipendenti.
Era, quindi, onere della ricorrente incidentale riportare anche il contenuto del ricorso in appello, giacché la questione degli effetti derivanti dalla non contestazione doveva essere prospettata innanzitutto al giudice di secondo grado, con uno specifico motivo di impugnazione.
In difetto di dette specificazioni, necessarie ex art. 366 n. 4 c.p.c., e delle conseguenti produzioni ex art. 369 n. 4 c.p.c., la censura non può essere esaminata nel merito siccome inammissibile.
5 – I motivi del ricorso principale, da trattarsi congiuntamente perché connessi, sono, invece, fondati.
Nel rito del lavoro l’omessa indicazione dei documenti prodotti nell’atto di costituzione in giudizio e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determina la decadenza del diritto alla produzione, che può essere superata solo per effetto dell’esercizio del potere istruttorio officioso previsto dagli artt. 421 e 437, secondo comma, c.p.c., che pongono un contemperamento al principio dispositivo, ispirato all’esigenza della ricerca della verità materiale (fra le più recenti Cass. 23.6.2015 n. 12902).
E’ stato, però, evidenziato da questa Corte, sulla scorta dei principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 11353 del 17 giugno 2004, che detta esigenza giustifica la ammissione di prove indispensabili per la dimostrazione o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione solo qualora tali fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento (Cass. 4.5.2012 n. 6753).
Con specifico riferimento alla produzione documentale questa Corte ha anche affermato che “nel rito del lavoro, in deroga al generale divieto di nuove prove in appello, è possibile l’ammissione di nuovi documenti, su richiesta di parte o anche d’ufficio, solo nel caso in cui essi abbiano una speciale efficacia dimostrativa e siano ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione della causa, facendosi riferimento per “indispensabilità” delle nuove prove ad una loro “influenza causale più incisiva” rispetto alle prove in genere ammissibili in quanto “rilevanti”, ovvero a prove che sono idonee a fornire un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale per essere dotate di un grado di decisività e certezza tale che da sole considerate, e quindi a prescindere dal loro collegamento con altri elementi e da altre indagini, conducano ad un esito “necessario” della controversia.” (Cass. 26.7.2012 n. 13353).
5.1 – Va, inoltre, evidenziato che, allorquando, come nella fattispecie, si assuma che il giudice di merito abbia esercitato i poteri officiosi al di fuori dei limiti consentiti dagli artt. 421 e 437 c.p.c., come interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte, il vizio è riconducibile all’ipotesi prevista dall’art. 360 n, 3 c.p.c. (Cass. S.U. 17.6.2004 n. 11353) ed integra un error in procedendo, sicché nel giudizio di legittimità il sindacato non può limitarsi alla sufficienza ed alla logicità della motivazione, come accade, invece, nei casi in cui il giudice del merito abbia discrezionalmente ritenuto di non dovere esercitare i poteri officiosi, sebbene sollecitati, oppure li abbia esercitati e la censura investa la scelta discrezionale operata, non già la violazione dei limiti posti al potere riconosciuto dalla norma processuale.
La prospettazione dell’error in procedendo, consente l’esame diretto degli atti processuali, posto che in tal caso la Corte di Cassazione è anche giudice del fatto processuale.
5.2 – Ciò premesso rileva il Collegio che la sentenza impugnata, nel consentire alla società la produzione solo in grado di appello di documenti non depositati in primo grado e nel fondare la decisione unicamente su detti documenti, non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, innanzitutto perché nella memoria difensiva di primo grado, il cui contenuto nella parte che qui rileva risulta trascritto in ricorso, la resistente, pur contestando la sussistenza del requisito dimensionale, non aveva indicato quale fosse la consistenza dell’organico aziendale alla data del licenziamento (nella memoria difensiva era stato riportato il numero dei dipendenti assunti al momento della costituzione in giudizio) né detto dato era desumibile dalla documentazione depositata, avendo la società prodotto solo un modello DM10 relativo ad un periodo successivo a quello della intimazione del recesso.
Rispetto, quindi, alla consistenza dell’organico alla data del licenziamento, che sola consente di escludere il requisito dimensionale richiesto dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970, mancavano sia l’allegazione puntuale del fatto, sia la semipiena probatio meritevole di integrazione.
La documentazione ammessa (visura camerale e attestazione INPS) risulta, inoltre, priva di quella particolare efficacia dimostrativa della circostanza da provare, necessaria ai fini della ammissibilità ex art. 437 c.p.c., trattandosi di atti meramente riproduttivi dei dati comunicati dal datore di lavoro (sulla inidoneità della visura camerale si rimanda anche a Cass. 11.2.2014 n. 3026).
6 – La sentenza impugnata va, quindi, cassata in relazione al ricorso accolto con rinvio alla Corte di Appello di Cagliari che farà applicazione dei principi di diritto sopra indicati, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 1152, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dalla ricorrente incidentale.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Cagliari in diversa composizione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del cit, art. 13, comma 1-bis.
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