CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10095 del 17 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – OMESSA CONTRIBUZIONE – CARTELLA ESATTORIALE – PRESCRIZIONE QUINQUENNALE – INTERRUZIONE
Fatto e diritto
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 19.4 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione, redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“La Corte di appello di Napoli, con la sentenza impugnata, accoglieva parzialmente il gravame proposto da D.L. I. avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato il ricorso in opposizione avverso le cartelle esattoriali relative a contributi inerenti la gestione commercianti dovuti dal predetto per gli anni dal 2000 al 2005 e relative sanzioni.
La Corte territoriale riteneva prescritti i contributi inerenti il I trimestre per l’anno 2000 ed i contributi inerenti il II, III e IV trimestre per gli anni 2000, 2001 e 2002, reputando infondati gli altri motivi di gravame, rilevando la validità quale atto interruttivo del termine di prescrizione quinquennale della raccomandata 25.5.2006 – richiamata in memoria difensiva e tempestivamente prodotta all’atto della costituzione dell’INPS in primo grado – il cui avviso di ricevimento era stato prodotto solo successivamente, ma, comunque, nel corso del primo grado di giudizio all’udienza del 10.11.2008, diversa valutazione dovendo operarsi per il verbale ispettivo, neppure richiamato in memoria difensiva dall’istituto all’atto della propria costituzione in primo grado. Nello specifico affermava, con riguardo alla produzione documentale, in conformità a principi della giurisprudenza di legittimità richiamati, che l’eccezione di interruzione della prescrizione poteva essere rilevata anche d’ufficio sulla base di allegazioni e prove, incluse quelle documentali, ritualmente acquisite al processo nonché di fatti anch’essi ritualmente acquisiti al contraddittorio, non potendo prodursi in appello il documento attestante l’avvenuta interruzione ove una qualche prova in merito non fosse stata acquisita o il fatto interruttivo non fosse stato allegato in primo grado.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il D.L. con unico motivo – cui resiste l’INPS (Equitalia intimata) -, con il quale denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 416, co. 3, e dell’art. 437, co. 2, c.p.c., rilevando che l’utilizzazione ai fini della decisione da parte del giudice del gravame della ricevuta comprovante la ricezione della raccomandata 25.5.2006, prodotta dall’INPS solo in corso di causa e non all’atto di costituzione in giudizio, si ponga in violazione delle norme citate, e che nel caso esaminato non era stata giustificata la produzione tardiva del documento, requisito imprescindibile per ritenerne la producibilità oltre i termini di decadenza previsti. Osserva, poi, che le spese della fase del merito, in seguito all’accoglimento della censura, debbano essere diversamente modulate.
Il ricorso è infondato.
Nella specie la decisione del giudice del gravame, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, nel ricostruire il quadro probatorio, ha dato atto della natura di eccezione in senso lato della eccezione di interruzione della prescrizione, rilevabile come tale d’ufficio sulla base degli elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti (in tal senso cfr., tra le altre, Cass. 25213/2009, Cass. 16542/2010 e, da ultimo, Cass. 1.2.2013 n. 2420 sul potere di rilevamento anche d’ufficio delle eccezioni in senso lato sulla base di elementi probatori ritualmente e tempestivamente allegati dalle parti), ed ha osservato come nel giudizio di opposizione alla pretesa esecutiva le allegazioni dell’lnps, ritualmente e tempestivamente effettuate nella memoria di costituzione del giudizio di opposizione, erano state corroborate da pertinente documentazione, soltanto integrata nei corso del giudizio di primo grado. Tra la documentazione considerata ritualmente prodotta in causa è stato indicato l’avviso di ricevimento relativo a raccomandata del 25.5.2006 inviata dall’INPS, munita incontestabilmente di efficacia interruttiva della prescrizione quinquennale, sicché in modo affatto conforme ai principi processuali richiamati è stato ritenuto che sia stato dato ingresso all’ulteriore documentazione (rispetto a quella depositata contestualmente alla costituzione in giudizio di I grado) di provenienza INPS, in coerenza con la prevista possibilità del giudice di attivare i poteri di cui all’art. 421 c.p.c.
A tale riguardo è stato, invero, osservato che l’eccezione di interruzione della prescrizione, configurandosi, diversamente dall’eccezione di prescrizione, come eccezione in senso lato, può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice in qualsiasi stato e grado del processo, ma sulla base di allegazioni e di prove ritualmente acquisite o acquisibili al processo e, in ordine alle controversie assoggettate al rito del lavoro, sulla base dei poteri istruttori legittimamente esercitabili anche di ufficio ai sensi dell’art. 421, secondo comma, cod. proc. civ., dal giudice, tenuto, secondo tale norma, all’accertamento della verità dei fatti rilevanti ai finì della decisione. Pertanto, in presenza di un quadro probatorio che non consenta di ritenere sicuramente insussistente un fatto costitutivo od impeditivo, l’esercizio di tali poteri istruttori è doveroso ove l’incertezza possa essere rimossa con opportune iniziative istruttorie sollecitate dal giudice (cfr. Cass. 14.7.2010 n. 16542). Tra la documentazione che ha trovato ingresso in causa, sia pure tardivamente, ma in virtù dell’attivazione di tali poteri di ufficio, come ribadito legittimamente esercitati, vi era l’avviso suddetto.
E’, poi, assorbente il rilievo per il quale il ricorrente non deduce di aver contestato già in primo grado la produzione documentale della controparte in quanto tardiva, ne’ contesta minimamente l’accertamento operato dalla Corte d’appello sul contenuto integrativo del documento in questione, accertamento dal quale il giudicante ha tratto il convincimento che la prova della interruzione doveva ritenersi acquisita. Si è, infatti, statuito (Cass. sez. lav. n. 19810 del 28/8/2013) che “in tema di produzione di documenti nel processo nel lavoro, l’omessa indicazione dei documenti prodotti nell’atto di costituzione in giudizio e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto determinano decadenza dal diritto di produrli, salvo che si siano formati successivamente alla costituzione in giudizio o la loro produzione sia giustificata dall’evoluzione della vicenda processuale; pertanto, nel caso in cui sia chiesta da una parte la produzione di documenti all’udienza di discussione della causa e la controparte non proponga tempestivamente, nel termine perentorio fissato dal giudice, proprie istanze istruttorie o comunque non si opponga alla produzione, deve ritenersi che la parte nei cui confronti è chiesta la produzione abbia accettato il provvedimento giudiziale di ammissione” (per il caso in cui il silenzio della controparte – a cui spetta la facoltà, entro il termine perentorio assegnato dal giudice, di dedurre proprie istanze istruttorie – comporti l’accettazione del provvedimento giudiziale di ammissione v. Cass. Sez. Lav. n. 16781 del 29/7/2011).
Negli stessi termini si è pronunciata, da ultimo, questa stessa Corte con decisione del 18.5.2015, n. 10102, ed è stato ulteriormente ribadito, in termini generali, con riguardo anche al giudizio di appello, il principio secondo il quale “nel rito del lavoro, (applicabile anche alle controverse agrarie), l’omessa indicazione dei documenti prodotti nell’atto di costituzione in giudizio (ovvero, nella memoria difensiva depositata dall’attore rispetto alla domanda riconvenzionale proposta nei suoi confronti) e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determina la decadenza del diritto alla produzione, che può essere superata solo per effetto dell’esercizio, in presenza di condizioni idonee a giustificarlo, del potere istruttorio officioso previsto dagli artt. 421 e 437, secondo comma, cod. proc. civ., che pongono un contemperamento al principio dispositivo, ispirato all’esigenza della ricerca della verità materiale cui è ispirato il rito del lavoro (cfr. Cass. 23.6.2015, n.12902, e tra le altre, Cass. 28.8.2013, n. 19810, Cass. 6.3.2012, n. 3506, Cass. 29.7.2011, n. 16781).
Si propone, pertanto il rigetto del ricorso, ai sensi dell’art. 375, n. 5 c. p. c., rilevandosi che, stante l’esito del giudizio, risulta assorbita la richiesta avanzata in relazione alle spese dei gradi del merito”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.
Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sul rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, si impone di dare atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Vi delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,0 per esborsi, euro 2900,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura de! 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.