CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10096 del 17 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – BRACCIANTE AGRICOLA – CANCELLAZIONE DAGLI ELENCHI ANAGRAFICI – RAPPORTO DI LAVORO FITTIZIO – PROVA
Fatto e diritto
Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Bari, M.I., bracciante agricola, conveniva in giudizio I.N.P.S. contestando la fondatezza e legittimità del provvedimento con il quale l’Istituto l’aveva cancellata dagli elenchi anagrafici per l’anno 2008 sul presupposto della natura fittizia del denunciato rapporto di lavoro. Il Tribunale rigettava la domanda ritenendola non provata. A seguito di impugnazione da parte della M., la Corte di appello di Bari, premessa la tempestività dell’azione giudiziaria rispetto all’invocato termine decadenziale di 120 gg. ex art. 22 d. I. 7/1970, riteneva il gravame fondato, rilevando che l’I.N.P.S. non aveva fornito la prova della fittizietà del rapporto e che il provvedimento di cancellazione era fondato su inconcludenti presunzioni. In riforma della sentenza di primo grado, veniva dichiarato il diritto di M.I. alla reiscrizione negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli del comune di sua residenza per n. 151 giornate per l’anno 2008 e disposta la condanna dell’INPS a tale reiscrizione per le giornate e gli anni suindicati, con ogni consequenziale effetto di legge.
Per la cassazione della pronuncia della Corte territoriale ricorre l’I.N.P.S., affidandosi ad un motivo di impugnazione, cui la lavoratrice resiste con controricorso.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. La controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, 2° comma, c.p.c.
Con l’unico articolato motivo l’I.N.P.S. lamenta violazione e falsa applicazione del R.D. 24 settembre 1940, n. 1949, art. 12, del D.Lgs. 23 gennaio 1948, n. 59, art. 4 (applicabile ratione temporis), del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 9 quinquies, conv.to con mod. dalla L. 28 novembre 1996, n. 608 e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3). Si duole del fatto che l’impugnata sentenza abbia attribuito all’I.N.P.S. – anziché alla lavoratrice – l’onere di provare lo svolgimento di attività di bracciante tale da fondare il diritto all’iscrizione nei relativi elenchi, iscrizione che svolge una funzione di mera agevolazione probatoria, tanto che, in caso di cancellazione, resta a carico del privato dimostrare esistenza, durata e natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all’iscrizione medesima, il che la M. non aveva fatto.
Valutate le osservazioni ed i rilievi della controricorrente, contenuti nella memoria, il Collegio ritiene la infondatezza del ricorso.
In ordine a quanto esposto, va certo mantenuto fermo il principio secondo il quale l’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli svolge una mera funzione ricognitiva della relativa situazione soggettiva e di agevolazione probatoria, che viene meno qualora l’I.N.P.S., a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che trova conferma nel d.lgs. n. 375 del 1993, art. 9) con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all’iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio” (cfr. anche le più recenti Cass. nn. 27144, 27145 del 19 dicembre 2014; Cass. 26949 del 19 dicembre 2014; Cass. n. 25833 del 5 dicembre 2014; Cass., n. 23340 del 3 novembre 2014). Tale principio fa, invero, seguito a quanto già affermato dalle Sezioni unite di questa Corte n. 1133 del 26/10/2000 e nn. 1186, 1187 e 1188 del 17/11/2000 secondo cui “il rapporto giuridico assicurativo nei confronti dell’ente previdenziale sorge come diretta conseguenza di un’attività di lavoro, subordinata o autonoma svolta da un determinato soggetto: l’attività lavorativa, quindi, costituisce il presupposto (o l’elemento) essenziale per la nascita del rapporto”; tuttavia in taluni casi la legge prevede, per la nascita del rapporto, la presenza di ulteriori presupposti. Cosi per il lavoro in agricoltura lo svolgimento di un minimo di giornate lavorative nell’anno deve essere certificato dall’iscrizione negli elenchi nominativi di cui al R.D. 24 settembre 1940 n. 1949 che ha stabilito la compilazione per ogni comune di elenchi nominativi dei lavoratori subordinati dell’agricoltura, distinti per qualifiche, con il relativo compito accertativo affidato dapprima a commissioni comunali, quindi attribuito agli Uffici provinciali SCAU (Servizio per i contributi agricoli unificati). La disciplina è stata successivamente modificata dal D.L. n. 7 del 1970, convertito, con modificazioni, nella legge n. 83 del 1970, che, tra l’altro, ha affidato la compilazione di detti elenchi a commissioni locali della mano d’opera agricola, appositamente costituite presso gli uffici locali di collocamento, poi sostituite da altri organi per effetto delle successive disposizioni che hanno apportato ulteriori modifiche al sistema di accertamento e riscossione dei contributi in agricoltura. Nella materia è, quindi, intervenuto il d.lgs. n. 375 del 1993 (che ha, in particolare, riformato il sistema dei ricorsi amministrativi). Allo SCAU (soppresso dall’art. 19 della legge n. 724/1994) è, poi, subentrato l’I.N.P.S. (art. 9 sexies del D.L. 1/10/1996 n. 510 conv. con modif. nella legge n. 608/1996).
Pur con i vari interventi legislativi, l’iscrizione è rimasta “una vera e propria condizione per l’erogazione delle prestazioni economiche, potendosi asserire che la registrazione ha efficacia costitutiva dello status di assicurato, con diritto alla relativa tutela”.
Ed allora, proprio richiamando le suddette pronunce a Sezioni unite, va tenuta presente la regola generale posta dall’art. 2697, primo comma, cod. proc. civ., secondo cui l’onere della prova del fatto costitutivo del diritto grava su colui che agisce in giudizio per far valere una determinata pretesa nei confronti della controparte. Pertanto, il lavoratore che domandi l’erogazione della prestazione previdenziale deve dimostrare di avere esercitato un’attività di lavoro subordinato per un numero minimo di giornate nell’anno di riferimento e la prova deve essere sempre fornita mediante il documento che dimostra l’iscrizione negli elenchi nominativi (senza che, com’è ovvio, possa essere impedito alla parte di dedurre ulteriori mezzi per fondare il convincimento del giudice), essendo tuttavia sempre possibile che la prestazione previdenziale venga chiesta in giudizio anche in assenza di iscrizione negli elenchi nominativi (in tal caso il ricorrente, sul quale grava ogni onere probatorio, potrà chiedere contestualmente la declaratoria giudiziale del suo diritto a tale iscrizione ovvero chiedere che il relativo accertamento avvenga incidentalmente, al solo fine della pronuncia sulla prestazione previdenziale per cui agisce). Se poi è vero che l’iscrizione negli elenchi ha la funzione di rendere certa la qualità di lavoratore agricolo, conferendole efficacia nei confronti dei terzi, la stessa non integra una prova legale – salvo che per quanto concerne la provenienza del documento stesso e i fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti – costituendo, alla stregua di qualsiasi altra attestazione proveniente dalla pubblica amministrazione, una risultanza processuale che deve essere liberamente valutata dal giudice.
Ne deriva che, quando contesti l’esistenza dell’attività lavorativa o del vincolo della subordinazione, l’ente previdenziale ha l’onere di fornire la relativa prova, cui l’interessato può replicare mediante offerta, a sua volta, di altri mezzi di prova (che si rivelano indispensabili qualora la contestazione verta sulla non esistente presunzione di onerosità del rapporto determinata da un vincolo di parentela o di coniugio o di affinità con il datore di lavoro); con l’ulteriore conseguenza che, se la prova (contraria) viene data mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi – i quali, a loro volta, essendo attestazioni di fatti provenienti da organi della pubblica amministrazione, sono soggetti al medesimo regime probatorio sopra illustrato per l’iscrizione negli elenchi (cfr. Cass. Sez. un. 3 febbraio 1996, n. 916 e numerose successive conformi) – l’esistenza della complessa fattispecie deve essere accertata mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi acquisiti alla causa.
Nel caso in esame tale comparazione è stata effettuata dalla Corte barese che, da una parte, ha ritenuto che i dati evincibili dal verbale ispettivo redatto – peraltro indicato come mai prodotto – nei confronti della Ditta Q.F. s.r.l. non fossero significativi della fittizietà dei rapporti di lavoro dell’appellata (lavoratrice estranea ai controlli dell’I.N.P.S. al punto da non risultare mai citata nel verbale stesso), e proprio di questa, e deponessero, contrariamente alla prospettazione dell’Istituto, per lo svolgimento effettivo da parte dell’azienda di attività di natura agricola sia pure nell’ accertato rilievo di irregolarità (riguardanti, peraltro, l’azienda e non necessariamente il rapporto con la singola lavoratrice) e, dall’altra, ritenuto che il provvedimento di cancellazione, fondato su verifiche prive di specifica inferenza dimostrativa, fosse idoneamente contrastato dagli elementi offerti dall’interessata (foglio del registro d’impresa, sei prospetti paga prodotti dalla lavoratrice), tenuto conto della mancata contestazione delle circostanze dalla stessa allegate, in relazione alle quali era stata anche richiesta prova per testi.
Trattasi di valutazione involgente apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito che, come tale, non può essere sindacata in questa sede di legittimità.
Conseguentemente, il ricorso va rigettato.
La regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità segue la soccombenza. Le stesse vanno distratte in favore del difensore dichiaratosene antistatario.
Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedtbile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
Essendo il ricorso in questione integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna L’I.N.P.S. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%, da corrispondersi all’avv. M.D.V., dichiaratosene antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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