CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10104 depositata il 11 marzo 2016
REATI TRIBUTARI – OMESSO VERSAMENTO DI RITENUTE ALLA FONTE INDICATE NELLA DICHIARAZIONE – RESPONSABILITA’ PENALE – NATURA INDIZIARIA DELLA DICHIARAZIONE – MANCATA CORRESPONSIONE DELLE RETRIBUZIONI E DEI COMPENSI – MODIFICA NORMATIVA – APPLICAZIONE RETROATTIVA – ESCLUSIONE
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 1 dicembre 2014 la Corte di Appello di Cagliari ha confermato la sentenza di condanna alla pena di quattro mesi di reclusione emessa dal Tribunale di Cagliari in data, 29.11.2013, in ordine al reato di cui all’art. 10 bis d.lgs. 74 del 2000, perché (…), in qualità di legale rappresentante della (…) s.p.a., ometteva di versare le ritenute alla fonte relative agli emolumenti erogati nel periodo di imposta 2007, pari ad € 257.755,0, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta.
2. Avverso tale provvedimento il difensore dell’imputato, Avv. (…) (…), ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Deduce, invero, contestualmente i vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e), c.p.p., per erronea applicazione della legge penale (art. 10 bis d.igs. 74 del 2000) e manifesta illogicità, contraddittorietà e insufficienza della motivazione: lamenta che la natura meramente indiziaria della dichiarazione contenuta nel Mod. 770 non è sufficiente all’affermazione della responsabilità penale, mancando, nella specie, l’effettiva corresponsione dei compensi, a causa delle oggettive difficoltà finanziarie che hanno successivamente condotto al dissesto della società.
Deduce, poi, il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., in relazione alla mancata assunzione di una prova decisiva ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’imputato, mediante escussione di uno dei due curatori fallimentari in merito alla circostanza che, in relazione al periodo di imposta considerato, non risultavano pagamenti in favore del personale dipendente e dei collaboratori autonomi.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. La questione di diritto oggetto delle censure del ricorrente concerne, essenzialmente, il valore probatorio – esclusivo o non – da attribuire al c.d. “Mod. 770” in materia di omesso versamento delle ritenute certificate da parte del datore di lavoro.
Giova, al riguardo, procedere ad una breve ricognizione normativa, strettamente funzionale all’illustrazione dei due divergenti orientamenti giurisprudenziali che si sono formati nell’interpretazione dell’art. 10 bis d.lgs. 74 del 2000, e che, pur avendo condotto alla rimessione (Sez. 3, n. 21629 del 29/04/2015) del contrasto interpretativo alle Sezioni Unite, non è stato risolto, avendo il Supremo consesso di tale Corte, all’udienza del 24/09/2015, dovuto preliminarmente rilevare una causa di estinzione del reato.
Successivamente è intervenuta la riforma del sistema penale tributario, che, con l’art. 7 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, ha modificato l’art. 10 bis, aggiungendo un’espressione (“dovute sulla base della stessa dichiarazione”) che, come si rileverà, non appare inerte nella risoluzione del contrasto interpretativo oggetto della questione di diritto sottoposta al sindacato di questa Corte.
3. La materia in esame è disciplinata dall’art. 4 d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, il cui primo comma testualmente recita: “i soggetti indicati nel titolo III del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, obbligati ad operare ritenute alla fonte, che corrispondono compensi, sotto qualsiasi forma, soggetti a ritenute alla fonte secondo le disposizioni dello stesso titolo, nonché gli intermediari e gli altri soggetti che intervengono in operazioni fiscalmente rilevanti tenuti alla comunicazione di dati ai sensi di specifiche disposizioni normative, presentano annualmente una dichiarazione unica, anche ai fini dei contributi dovuti all’Istituto nazionale per la previdenza sociale (I.N.P.S.) e dei premi dovuti all’Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (I.N.A.I.L.), relativa a tutti i percipienti, redatta in conformità ai modelli approvati con i provvedimenti di cui all’art. 1, comma 1”.
3.1. A sua volta il comma 6 ter del medesimo articolo 4 dispone che: “i soggetti indicati nel comma 1 rilasciano un’apposita certificazione unica anche ai fini dei contributi dovuti all’Istituto nazionale per la previdenza sociale (I.N.P.S.) attestante l’ammontare complessivo delle dette somme e valori, l’ammontare delle ritenute operate, delle detrazioni di imposta effettuate e dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché gli altri dati stabiliti con il provvedimento amministrativo di approvazione dello schema di certificazione unica. La certificazione è unica anche ai fini dei contributi dovuti agli altri enti e casse previdenziali. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, emanato di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sono stabilite le relative modalità di attuazione. La certificazione unica sostituisce quelle previste ai fini contributivi.
3.2. La norma incriminatrice che viene in rilievo è l’art. 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000, come introdotto dall’art. 1, comma 414, L. 30 dicembre 2004, n. 311 (c.d. “Finanziaria 2005”) a tenore del quale “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo d’imposta”.
Come già rilevato, la riforma apportata con d.lgs. 158 del 2015 ha parzialmente, ma significativamente, modificato la norma, sotto il profilo dell’aumento della soglia di punibilità e dell’attestazione delle ritenute, che attualmente recita: “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta le ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”.
3.3. Naturalmente le modifiche normative vengono in rilievo, nel presente giudizio, soltanto in quanto abbiano effetti in bonam partem; se l’aumento della soglia appare concretamente irrilevante, concernendo il reato contestato all’odierno ricorrente omissioni contributive ben superiori (€ 257.755,00) anche alla nuova soglia, occorre verificare la portata, anche interpretativa, della novella relativa alla fonte dichiarativa delle ritenute.
4. Fin qui i dati normativi di riferimento, cui è seguita una cospicua elaborazione giurisprudenziale in tema di prova necessaria per dimostrare l’omesso versamento delle ritenute.
Al riguardo, va evidenziato che uno dei dati tradizionalmente utilizzati per dimostrare l’omesso versamento delle ritenute certificate è rappresentato dal c. d. “Mod. 770”.
Tale documento, che si distingue in semplificato ed ordinario, altro non è che la dichiarazione dei sostituti di imposta, ossia dei datori di lavoro o enti di previdenza che, per legge, sostituiscono il contribuente nei rapporti con il fisco, trattenendo le tasse relative a compensi, salari, pensioni. I sostituti di imposta sono tenuti a comunicare all’Agenzia delle Entrate, mediante apposita dichiarazione annuale, i dati relativi alle ritenute operate.
Per quanto qui rileva, nel modello semplificato vanno indicati, secondo i casi, i dati relativi alle certificazioni rilasciate ai contribuenti ai quali sono stati corrisposti nell’anno di riferimento: redditi di lavoro dipendente, equiparati e assimilati; le indennità di fine rapporto; i redditi di lavoro autonomo; le provvigioni e redditi diversi; altri redditi.
Il modello 770 va presentato in via telematica, direttamente o mediante intermediario abilitato, all’Ufficio Finanziario competente. La dichiarazione si intende presentata nel giorno in cui è conclusa la ricezione dei dati da parte dell’Agenzia delle Entrate, che è tenuta a rilasciare la comunicazione di avvenuta ricezione della dichiarazione.
L’orientamento prevalente di questa Sezione si è sviluppato nel senso di considerare sufficiente a dimostrare l’omesso versamento delle ritenute o la produzione di tale modello fiscale, ovvero la prova testimoniale costituita dalle dichiarazioni rese dal funzionario dell’Agenzia delle Entrate sulla presentazione da parte del soggetto obbligato alla emissione delle certificazioni attestanti le ritenute indicate nel mod. 770 (Sez. 3, n. 20778 del 06/03/2014, Leucci, Rv. 259182; Sez. 3, n. 19454 del 27/03/2014, Onofrio, Rv. 260376; Sez. 3, n. 1443 del 15/11/2012, Salmistrano, Rv. 254152; Sez. 3, n. 27479 del 30/05/2014, Giua, Rv. 259198).
4.1. Il punto di partenza del percorso argomentativo è rappresentato dalla sentenza delle S.U. Favellato (S.U. 28.3.2013 n. 37425, Favellato, Rv. 255759), che, premessa la differenza tra l’illecito amministrativo di cui all’art. 13 comma 1, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e l’illecito penale conseguente al mancato versamento nei termini delle ritenute risultanti dalle certificazioni indicate nella dichiarazione annuale (mod. 770) di cui all’art. 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000, si è soffermata sulle caratteristiche del meccanismo di riscossione dell’imposta.
L’Amministrazione Finanziaria, anziché riscuotere direttamente l’imposta dal percettore del reddito, incassa il tributo da un altro soggetto (quello che eroga gli emolumenti), che assume la qualifica di “sostituto” d’imposta ed è tenuto al pagamento del tributo in luogo dell’altro (normale soggetto passivo, c.d. “sostituito”), previo l’obbligatorio prelievo di una percentuale (c.d. “ritenuta alla fonte”), da versare all’Erario (generalmente entro i primi sedici giorni del mese successivo a quello di effettuazione delle ritenute, così come prevede l’art. 8 D.P.R. n. 600 del 1973) della somma oggetto di erogazione (costituente il reddito).
Il procedimento di sostituzione d’imposta implica l’adempimento di alcuni obblighi strumentali a carico del sostituto, il quale deve, anzitutto, rilasciare al sostituito una certificazione attestante l’ammontare complessivo delle somme corrisposte e delle ritenute operate in modo da permettere al soggetto passivo di documentare e di dimostrare il prelievo subito (art. 4, commi 6 ter e 6 quater d.P.R. n. 322 del 1998); ancora, presentare annualmente una dichiarazione unica di sostituto d’imposta dalla quale risultino tutte le somme pagate e le ritenute operate nell’anno precedente (il cd. mod. 770).
4.2. Tale essendo il meccanismo di riscossione dell’imposta, nella ricordata sentenza delle S.U. Favellato vengono delineati i tratti essenziali della fattispecie penale, la quale è caratterizzata da una condotta omissiva che si realizza con il mancato versamento, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore ad Euro 50.0, 00 per ciascun periodo d’imposta.
Trattasi, come precisato dalle Sezioni Unite, di una ipotesi di reato omissivo proprio, istantaneo e di mera condotta, integrato dal mancato compimento di un’azione dovuta.
L’erogazione di somme comportanti l’obbligo di effettuazione delle ritenute alla fonte (art. 23 e ss. d.P.R. n. 600 del 1973) e di versamento delle stesse all’Erario con le modalità stabilite (art. 3 d.P.R. n. 602 del 1973), ed il successivo rilascio al soggetto sostituito di una certificazione attestante l’ammontare complessivo delle somme corrisposte e delle ritenute operate nell’anno precedente si pongono quali presupposti della condotta omissiva vera e propria, che si concretizza nel mancato versamento, per un ammontare superiore ad Euro 50.000,00 delle ritenute complessivamente operate nell’anno di imposta e risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti nel termine fissato per l’adempimento, coincidente con quello previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta relativa all’anno precedente.
Ne consegue che il rilascio della certificazione non è elemento costitutivo del reato, ma mero presupposto della condotta omissiva.
4.3. Diversamente opinando, il rilascio della certificazione dovrebbe costituire il fatto tipico, la cui materialità risulterebbe integrata da una condotta mista (omissiva, quanto al mancato versamento, ed attiva, quanto al rilascio di una certificazione).
5. Ricostruita nei termini di cui sopra la fattispecie in esame, può dirsi acclarata la necessità del rilascio della certificazione per potersi integrare il delitto di cui all’art. 10 bis D.Lgs. n. 74 del 2000 (nella formulazione precedente al d.lgs. 158 del 2015).
6. Connessa all’individuazione degli elementi normativi della fattispecie è la questione della prova dell’avvenuto rilascio della certificazione delle ritenute operate.
6.1. Sul punto, come anticipato, si è formato un primo orientamento di questa Corte secondo il quale il rilascio delle certificazioni da parte del sostituto ai sostituiti può dirsi provato o dalla dichiarazione fiscale acquisita agli atti (il mod. 770), ovvero dalla testimonianza del funzionario erariale che ha svolto le indagini sul contenuto delle dichiarazioni annuali.
Con tale modello sono comunicati in via telematica all’Agenzia delle Entrate i dati fiscali relativi alle ritenute operate nell’anno precedente, nonché gli altri dati contributivi ed assicurativi richiesti, tra i quali quelli inerenti alle certificazioni rilasciate ai soggetti cui sono stati corrisposti in tale anno redditi di lavoro dipendente, equiparati ed assimilati, o indennità di fine rapporto.
6.2. Secondo tale orientamento, dunque, è stato affermato – con riferimento a fattispecie nelle quali è stata ritenuta sufficiente la allegazione dei mod. 770 provenienti dallo stesso datore di lavoro, ovvero la testimonianza del funzionario dell’Agenzia delle Entrate che li abbia esaminati, riferendone oralmente il contenuto – che la prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, può essere fornita dal pubblico ministero anche mediante prove documentali, testimoniali o indiziarie (v. da ultimo, Sez. 3, n. 20778 del 06/03/2014, Leucci, Rv. 259182; Sez. 3, n. 33187 del 12/06/2013, Buzi, Rv. 256429; Sez. 3, n. 1443 del 15/11/2012, Salmistrano, Rv. 254152).
Secondo tale orientamento, infatti, incombe sulla Pubblica Accusa provare i fatti costitutivi dell’addebito contestato, tra cui il rilascio delle certificazioni (onere che può ben essere assolto per via documentale, testimoniale o indiziaria); incombe, invece, sull’imputato l’onere di falsificare l’ipotesi accusatoria mediante “prova” dei fatti che paralizzino la “pretesa punitiva”; con la conseguenza che la semplice affermazione di non avere rilasciato le certificazioni ai sostituiti o di non aver retribuito i dipendenti (e di conseguenza neppure operato le ritenute) non è sufficiente a rendere assolto l’onere probatorio, e dunque l’imputato non è esonerato dalle responsabilità di fronte a prove documentali, dallo stesso provenienti, che comprovino l’esatto il contrario.
7. Di recente, in contrapposizione a tale orientamento, che poteva definirsi stabilizzato, si è formato un diverso indirizzo che non attribuisce alla prova documentale (o anche testimoniale) siffatto valore probatorio assoluto, ma il più circoscritto valore di mero indizio, che necessita di ulteriori riscontri, che, ove mancanti, rendono inidonea la prova del rilascio della certificazione e, di riflesso, la prova dell’omesso versamento.
7.1. Il principio di diritto espresso da questo recente indirizzo si sostanzia nel rilievo che nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova dell’elemento costitutivo rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate, il cui onere incombe sull’accusa, non può essere integrata dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro (Sez. 3, n. 40256 del 08/04/2014, Gagliardi, Rv. 260090; Sez. 3, n. 6203 del 29/10/2014, Rispoli, Rv. 262365; Sez. 3, n. 11335 del 15/10/2014, dep. 2015, Pareto, Rv. 262855).
In tale decisione, che prende comunque le mosse dalla già richiamata sentenza Favellato delle S.U., l’elemento specializzante (che vale a distinguere l’illecito amministrativo da quello penale) viene individuato nel rilascio delle certificazioni da parte del sostituto di imposta al sostituito, con la conseguenza che il reato non può configurarsi non soltanto quando non siano state operate le ritenute, ma anche quando il datore di lavoro non abbia rilasciato la certificazione, ovvero quando la abbia rilasciata in un momento successivo alla scadenza del termine per effettuare il versamento (il 28 febbraio dell’anno successivo).
La tipicità del reato sarebbe, dunque, integrata, per un verso, dall’erogazione di somme comportanti l’obbligo di effettuazione delle ritenute alla fonte e di versamento delle stesse all’Erario con le modalità stabilite e, per altro verso, dal rilascio al soggetto sostituito di una certificazione attestante l’ammontare complessivo delle somme corrisposte e delle ritenute operate nell’anno precedente.
Il segmento passivo della condotta si concretizzerebbe nel mancato versamento, per un ammontare superiore ad Euro 50.000,00, delle ritenute complessivamente operate nell’anno di imposta e risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, entro il termine previsto.
Al riguardo, la sentenza “Gagliardi” – che inaugura questo secondo orientamento – trae spunto dalla sentenza “Favellato” per ribadire il principio di diritto ivi espresso, secondo il quale “la condotta penalmente rilevante non è l’omesso versamento delle ritenute nel termine previsto dalla normativa tributaria, ma il mancato versamento delle ritenute certificate nel maggiore termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta dell’anno precedente” (S.U. Favellato, cit.).
7.2. Tale orientamento, espresso dalla sentenza “Gagliardi”, afferma che gli elementi costitutivi della fattispecie sono costituiti dalle porzioni di condotta (attiva) comprendenti tanto l’effettuazione della ritenuta, quanto la successiva emissione della certificazione.
Se così è, per ritenere sussistente il delitto, occorre che la Pubblica Accusa fornisca la prova di tali elementi e, in particolare, la prova che il sostituto abbia rilasciato ai sostituiti la certificazione (o le certificazioni) da cui risultino le ritenute il cui versamento è stato poi omesso.
Dunque, il delitto de quo sarà ravvisabile solo in seguito al materiale rilascio della certificazione, mentre alcun illecito penale può sussistere se il soggetto che ha effettuato le ritenute non le abbia poi versate al fisco e non abbia rilasciato ai sostituiti la relativa certificazione, ovvero l’abbia rilasciata in ritardo.
7.3. L’opposta conclusione, secondo la quale sarebbe sufficiente ad integrare il reato la sola effettuazione delle ritenute seguita dal loro mancato versamento al fisco, senza che venga acquisita la prova del rilascio della certificazione, condurrebbe, secondo la sentenza Gagliardi, ad una inammissibile interpretazione parzialmente abrogatrice della disposizione, in contrasto con la lettera e la ratio del nuovo sistema normativo, che ha previsto un doppio binario sanzionatorio, con applicazione sia di sanzioni amministrative sia di sanzioni penali.
7.4. Con riferimento alla questione della prova necessaria a dimostrare l’avvenuto versamento delle ritenute, l’orientamento espresso dalla sentenza “Gagliardi” la risolve in termini diversi rispetto a quelli espressi in precedenza.
Muovendo dalla considerazione che la dichiarazione rilasciata dal sostituto di imposta (il Mod. 770) non può costituire di per sé la sola prova dell’avvenuto rilascio e della effettiva consegna agli interessati della certificazione, si sottolinea che il P.M. non deve necessariamente fornire la prova del rilascio delle certificazioni documentalmente, ma può fornirla anche mediante altri documenti, testimoni o indizi (Sez. 3, n. 1443/12, Salmistrano, cit.).
Deve, ovviamente, trattarsi – secondo quanto stabilito dall’art. 192 c.p.p., comma 2 – di indizi plurimi, gravi, precisi e concordanti.
Ebbene, al riguardo, la sentenza “Gagliardi” ritiene che la sola presentazione, da parte del datore di lavoro, del modello 770 non possa ritenersi indizio sufficiente, come richiesto dall’art. 192 c.p.p. (grave, preciso e concordante), perché il modello fiscale non contiene anche la dichiarazione di avere tempestivamente emesso le certificazioni: in altri termini, il mod. 770 contiene una dichiarazione non vincolante per il sottoscrittore che, se non integrata dall’elemento della avvenuta consegna delle certificazioni, non è sufficiente ad integrare la prova del delitto.
7.5. Secondo l’orientamento opposto, il modello 770 costituirebbe indizio sufficiente (quanto meno in termini di gravità e precisione) a dimostrare che le ritenute sono state certificate, in quanto non avrebbe alcun senso “dichiarare quello che non è stato corrisposto e, perciò stesso, certificato”.
7.6. La sentenza “Gagliardi” si discosta da tale orientamento, ritenendo, invece, che la ratio delle decisioni sopra richiamate riposi su un presupposto, ritenuto fallace, che fa leva sulla presunzione che tutto quello che è stato dichiarato, sarebbe stato per ciò stesso necessariamente anche certificato.
7.7. Riprendendo la natura giuridica del reato, qualificato come delitto a condotta mista, in cui alla componente omissiva (mancato versamento nel termine delle ritenute effettuate) si affianca una precedente componente commissiva (versamento della retribuzione con l’effettuazione delle ritenute e rilascio ai sostituiti delle certificazioni prima dello spirare del termine previsto per la presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta), la sentenza “Gagliardi” definisce tali dati come elementi costitutivi del reato, ribadendo che è preciso onere dell’accusa fornire la prova della loro sussistenza.
7.8. Senonché la presentazione del modello 770 può costituire un mero indizio dell’avvenuto versamento delle retribuzioni e della effettuazione delle ritenute, in quanto con tale modello il datore di lavoro dichiara di averle appunto effettuate, ma non può costituire indizio sufficiente (o prova) dell’avvenuto rilascio delle certificazioni ai sostituiti prima del termine previsto per presentare la dichiarazione, “dal momento che tale modello non contiene anche la dichiarazione di avere tempestivamente emesso le certificazioni”.
Tale conclusione viene sostenuta sulla base di una analisi del mod. 770 (sia nella versione ordinaria che in quella semplificata), dalla quale emerge che il sostituto dichiara le somme versate soggette a ritenuta, l’aliquota applicata, le ritenute operate, e le somme versate al Fisco. Tuttavia, si è osservato, da nessuna “casella” o dichiarazione contenuta nei modelli 770 emerge che il sostituto attesti anche (sia pure indirettamente o implicitamente) di avere rilasciato ai sostituiti le relative certificazioni.
Nel sottolineare le differenze sostanziali che intercorrono tra la dichiarazione mod. 770 e la certificazione rilasciata ai sostituiti, si afferma che sono “tali da non consentire di ritenere, automaticamente, che l’uno non possa risultare indipendente dall’altro”, ribadendo che si tratta di documenti disciplinati da fonti distinte, rispondenti a finalità tra loro non coincidenti e che non devono essere consegnati o presentati contestualmente.
Invero, mentre la certificazione delle ritenute (che va consegnata entro il 28 febbraio di ogni anno successivo a quello in cui sono state operate le ritenute) è disciplinata dall’art. 4, comma 6 ter, D.P.R. n. 322 del 1998, ed ha la funzione di attestare l’importo delle somme corrisposte dal sostituto di imposta e delle ritenute da lui operate, il cd. mod. 770 è regolato dall’art. 4, comma 1 e ss., del medesimo D.P.R., ed assolve alla funzione di informare l’Agenzia delle Entrate delle somme corrisposte ai sostituiti, delle ritenute operate sulle stesse e del loro versamento all’erario, dovendosi inoltrare nel rispetto di termini di volta in volta fissati dal legislatore (a seconda che si tratti di mod. 770 normale o semplificato).
La differenza tra i due documenti, secondo tale orientamento, non è solo di ordine formale, ma anche sostanziale: mentre le certificazioni devono essere emesse soltanto quando il datore ha provveduto a versare le ritenute, la dichiarazione mod. 770 va, invece, obbligatoriamente presentata entro il termine stabilito per legge (salvo, in caso contrario, l’applicazione di sanzioni amministrative).
Il corollario di tale affermazione consiste nell’impossibilità, in ragione del differente contenuto e della diversa funzione dei due atti, di desumere dai dati riportati nel modello 770, il concreto rilascio, ad uno o più sostituiti di imposta, del relativo certificato.
7.9. Altra ragione a sostegno di tale secondo orientamento risiede nel fatto che se davvero fosse possibile effettuare sempre ed in ogni caso l’equiparazione fra presentazione del modello 770 e rilascio delle certificazioni, nel senso che l’inoltro del modello 770 sarebbe ex se dimostrativo dell’avvenuto rilascio delle certificazioni, diverrebbe irrazionale e privo di senso lo stesso sistema normativo delineato dal legislatore con l’introduzione dell’art. 10 bis D.Lgs. n. 74 del 2000.
Invero, con l’introduzione di tale norma, il legislatore del 2000 ha reintrodotto la distinzione tra illecito amministrativo ed illecito penale, mantenendo ferma la punizione con una sanzione amministrativa per il mancato versamento di qualsiasi tipo di ritenuta, e punendo (oltre che con la sanzione amministrativa) anche con la sanzione penale il mancato versamento di ritenute certificate che superino una certa soglia.
Tale impianto normativo, come riconosce la stessa sentenza delle Sezioni Unite “Favellato”, si basa sul presupposto che ben possono esistere (e di solito esistono), da un lato, omessi versamenti di ritenute per le quali non è stata rilasciata certificazione, e dall’altro lato, omessi versamenti di ritenute per le quali essa è stata rilasciata.
7.10. L’orientamento prevalente, invece, seguito, da ultimo, con la sentenza “Leucci”, comporterebbe la conseguenza di eliminare qualsiasi distinzione fra le due ipotesi, presupponendo che ogni ritenuta effettuata debba necessariamente essere stata certificata. Ma così facendo – afferma la sentenza “Gagliardi” – l’illecito amministrativo e quello penale avrebbero ad oggetto sostanzialmente il medesimo fatto e sarebbe più difficile ritenere possibile la duplicità di sanzioni in caso di ritenute che superino la soglia.
7.11. Proseguendo in tale ragionamento, si esclude che possa esservi una regola (o massima) di esperienza alla stregua della quale le ritenute risultanti dal modello 770 “devono ritenersi per ciò stesso certificate, dal momento che non avrebbe senso dichiarare quello che non è stato corrisposto e, perciò stesso, certificato”.
Se così fosse “ossia, se davvero la presentazione della dichiarazione di sostituto presupponesse, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, sempre e comunque la formazione e consegna dei certificati ai sostituiti, il legislatore ne avrebbe certamente tenuto conto ed avrebbe, con notevole semplificazione probatoria, punito unicamente il mancato versamento delle ritenute riportate nella dichiarazione modello 770”.
Viceversa, deve ritenersi che il legislatore fosse ben consapevole delle differenze strutturali e della radicale autonomia dei due distinti documenti, sicché non era possibile desumere automaticamente dall’esistenza dell’uno la sussistenza dell’altro.
7.12. Un’ulteriore ragione per escludere che la presentazione del modello 770 possa costituire prova o indizio sufficiente dell’avvenuto rilascio delle certificazioni viene individuata nella circostanza che, per potersi parlare di prova di un fatto-reato, occorre una pluralità di indizi, gravi, precisi e concordanti, così come prescrive l’art. 192 c.p.p., comma 2, (Sez. 4, n. 40061 del 21/06/2012, Trìtella, Rv. 253723; Sez. 1, n. 702 del 08/03/2000, Di Telia, Rv. 216181; Sez. 6, n. 736 del 23/02/1995, Doria, Rv. 201109).
Tale principio sarebbe compromesso dalla conclusione cui è pervenuto l’orientamento compendiato nella sentenza Leucci, per la quale la prova viene desunta da un solo indizio (l’avvenuta presentazione del modello 770). E, a tutto voler concedere, si tratterebbe in ogni caso di un indizio non avente il carattere della gravità e della precisione, in quanto suscettibile di diversa interpretazione, con la conseguenza inevitabile che la sola presentazione del modello 770 non sarebbe di per sé in grado di escludere il ragionevole dubbio che le certificazioni, invece, non siano mai state rilasciate ai dipendenti.
7.13. Considerato che il delitto di cui all’art. 10 bis d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 sanziona penalmente non già l’omesso versamento delle ritenute risultanti dal modello 770, bensì l’omesso versamento delle ritenute risultanti dalle certificazioni (ossia dai CUD) rilasciati ai sostituiti, viene, così, ribadito che la valenza indiziaria della sola presentazione del modello 770, ai fini della prova del rilascio delle certificazioni “non solo non è sorretta da alcuna massima di esperienza e dall’id quod plerumque accidit, ma è anche implicitamente, ma indiscutibilmente, esclusa dal legislatore, che altrimenti avrebbe molto più semplicemente punito con la sanzione penale l’omesso versamento (oltre una certa soglia) di ritenute risultanti dal modello 770 e non già di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti”. (Sez. 3, 40526/14, cit.).
8. Nel solco di tale decisione si collocano le successive pronunce di questa Sezione n. 6203 del 29/10/2014, Rispoli, Rv. 262365; Sez. 3, 21/01/2015 n. 5736, Patti, non massimata).
9. Così riepilogati i due contrapposti indirizzi, vanno ulteriormente svolte alcune brevi considerazioni sulla valenza probatoria della dichiarazione mod. 770.
9.1. È senz’altro vero che il delitto di cui all’art. 10 bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non punisce (recte, non puniva) l’omesso versamento delle ritenute risultanti dal modello 770, ma l’omesso versamento delle ritenute risultanti dalle certificazioni (ossia dai CUD) rilasciate ai sostituiti.
Tuttavia nessuno dei due orientamenti richiamati si sofferma analiticamente sulla natura della dichiarazione contenuta nel mod. 770 e, in ipotesi, sulla assoggettabilità di tale dichiarazione, una volta sottoscritta e inviata all’Ente finanziario, alla disciplina prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 46 e 76 d. P.R. n. 445 del 2000.
In particolare non si è esaminato se la dichiarazione in parola possa eventualmente rientrare nella categoria delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni di cui alla lettera p) dell’art. 46, del citato d.P.R. 445/2000, inerenti all’assolvimento di specifici obblighi contributivi con la indicazione dell’ammontare corrisposto. Una eventuale dichiarazione infedele nel mod. 770 contenente l’asserzione di avere operato ritenute in realtà mai effettuate potrebbe essere qualificata come dichiarazione non veritiera assoggettabile – ove ne ricorrano le condizioni – alle sanzioni penali previste dall’art. 76 del d.P.R. 445/2000.
Del resto, negli avvisi contenuti nella prima pagina del mod. 770 sono riportate nella apposita casella intitolata “conferimento dati” le seguenti indicazioni: “I dati richiesti devono essere forniti obbligatoriamente al fine di potersi avvalere degli effetti delle disposizioni in materia di dichiarazione dei redditi. L’indicazione di dati non veritieri può fare incorrere in sanzioni amministrative o, in alcuni casi, penali (…)”.
Si tratta, all’evidenza, di avvisi che intendono attribuire un significato formale ad una dichiarazione destinata, oltretutto, ad un soggetto pubblico, e suscettibile di controlli, sicché a parte la considerazione empirica che non avrebbe senso dichiarare quello che non è stato corrisposto e, perciò stesso, certificato, andrebbe valutato quale responsabilità incomba sul soggetto autore della dichiarazione mod. 770, indipendentemente dal profilo concernente il delitto di cui all’art. 10 bis del d.lgs. n. 74 del 2000.
9.2. Un utile paragone potrebbe farsi con la dichiarazione rilasciata dal datore di lavoro all’INPS nei cd. Mod. DM10 comprovanti il pagamento delle retribuzioni ed il versamento delle ritenute previdenziali, in quanto, anche in quel caso, tale modello, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, costituisce prova dell’avvenuto pagamento delle retribuzioni. A conferma della valenza probatoria di tale dichiarazione e del suo carattere vincolante sotto il profilo penale va ricordato che la falsa dichiarazione da parte del datore di lavoro, contenuta nel mod. DM10, concernente la corresponsione di prestazioni previdenziali in realtà mai effettuate e tuttavia detratte contabilmente a conguaglio dei contributi dovuti all’INPS, integra il reato di cui all’art. 37 L. n. 689 del 1981 (Sez. 3, n. 15077 del 02/03/2006) ovvero il reato di cui all’art. 640 cpv. cod. pen. (Sez. 3, n. 45225 del 03/11/2014), ovvero, secondo diversi orientamenti, il reato di appropriazione indebita aggravata (Sez. 2, n. 41357 del 14/07/2015, Aschettino, Rv. 264869), o, ancora, il reato di indebita percezione di erogazioni di cui all’art. 316 ter cod. pen. (Sez. 2, n. 48663 del 17/10/2014, Talone, Rv. 261140).
10. Sulla base del contrasto illustrato, come anticipato, questa Sezione aveva rimesso la questione alle Sezioni Unite, al fine di risolvere il dubbio interpretativo se nella ipotesi delittuosa disciplinata dall’art. 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000 possa darsi valore di prova indiziaria decisiva, ai sensi dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., alla semplice produzione e/o acquisizione al processo della dichiarazione fiscale mod. 770, chiarendone la portata e le conseguenze nascenti da una eventuale inveridicità, ovvero se, in presenza di tale dichiarazione, debba essere indispensabile acquisire altri riscontri, ed in particolare la certificazione rilasciata dal sostituto di imposta ai singoli sostituiti per l’anno di riferimento.
Come già rilevato, il contrasto rimesso alle Sezioni Unite non è stato risolto, avendo il Supremo consesso di tale Corte, all’udienza del 24/09/2015, dovuto preliminarmente rilevare una causa di estinzione del reato.
11. Successivamente è intervenuta la riforma del sistema penale tributario, che, con l’art. 7 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, ha modificato l’art. 10 bis, aggiungendo un’espressione (“dovute sulla base della stessa dichiarazione”) che assume, all’evidenza, un significativo rilievo nella risoluzione della questione di diritto sottoposta al sindacato di questa Corte.
L’attuale formulazione dell’art. 10 bis, infatti, è del seguente tenore: “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta le ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”.
12. Laddove la modifica normativa venisse ritenuta una norma di interpretazione autentica della precedente fattispecie, oggetto di interpolazione, i riflessi sul piano interpretativo, e, soprattutto, sulla dimensione probatoria del reato di omesso versamento di ritenute sarebbe immediato, e coinvolgerebbe anche i fatti commessi precedentemente all’entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015 (e dunque anche il presente ricorso).
In tal senso, dovrebbe ritenersi che il legislatore, consapevole del contrasto interpretativo sulla portata della norma penale, abbia inteso attribuire valenza probatoria anche alla dichiarazione di cui al mod. 770, così assecondando il primo orientamento giurisprudenziale richiamato.
Va tuttavia osservato che, pur avendo la giurisprudenza costituzionale più volte affermato che il legislatore può adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative, non solo quando sussista una situazione di incertezza nell’applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo della Corte di cassazione, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore (ex multis, Corte Cost. n. 525 del 2000; n. 311 del 1995; n. 397 del 1994, secondo cui “Per costante insegnamento della Corte costituzionale, il ricorso da parte del legislatore a leggi di interpretazione autentica non può essere utilizzato per mascherare norme effettivamente innovative dotate di efficacia retroattiva, in quanto così facendo la legge interpretativa tradirebbe la funzione che le è propria: quella di chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di imporre una delle possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale, sia al fine di eliminare eventuali incertezze interpretative, sia per rimediare ad interpretazioni giurisprudenziali divergenti con la linea politica del diritto voluta dal legislatore. Tale carattere interpretativo deve peraltro desumersi non già dalla qualificazione che tali leggi danno di se stesse, quanto invece dalla struttura della loro fattispecie normativa, in relazione cioè ad “un rapporto fra norme – e non fra disposizioni – tale che il sopravvenire della norma interpretante non fa venir meno la norma interpretata, ma l’una e l’altra si saldano fra loro dando luogo a un precetto normativo unitario”; n. 480 del 1992), nondimeno ha individuato una serie di limiti alla legittimità delle norme dì c.d. interpretazione autentica, che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali; ed uno dei limiti, connessi al principio di irretroattività della norma incriminatrice, deve ritenersi concernere proprio la materia penale, per la peculiare tutela del singolo rispetto all’efficacia retroattiva della legge.
Pertanto, oltre alle perplessità derivanti da una modifica normativa che avesse esclusivo valore probatorio, in sostanziale violazione del principio del libero convincimento del giudice e del principio dell’assenza di prove legali nel processo penale, osta ad una tale interpretazione il limite posto alle norme di interpretazione autentica in materia penale, in ragione essenzialmente del divieto di retroattività della norma incriminatrice.
13. L’interpolazione normativa, dunque, deve ritenersi innovativa della fattispecie legale, con un ampliamento della tipicità che, necessariamente, non può avere efficacia retroattiva.
L’attuale formulazione dell’art. 10 bis, dunque, comprende nel perimetro di tipicità della fattispecie penale l’omesso versamento delle ritenute, sia quelle risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti, sia quelle risultanti dalla dichiarazione trasmessa all’Agenzia delle Entrate (il c.d. Mod. 770).
La portata innovativa della novella, peraltro, sembra offuscare la distinzione
– sottolineata anche dalle Sezioni Unite, nella già richiamata sentenza “Favellato”
– tra illecito amministrativo (avente ad oggetto l’omesso versamento di ritenute) e illecito penale (avente ad oggetto l’omesso versamento delle ritenute certificate e superiori alla soglia legale), lasciando soltanto la soglia di rilevanza penale – ora elevata ad € 150.000,00 – a delimitare il confine; con un verosimile riflesso sui problemi interpretativi in tema di c.d. “doppio binario” sanzionatorio e divieto del bis in idem originati dalla recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo (decisione 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia).
14. La portata innovativa della novella, dunque, non può assumere incidenza “‘normativa” sulla definizione del ricorso in esame, non potendo avere efficacia retroattiva, in ragione della già evidenziata estensione dell’ambito dell’incriminazione.
Può, tuttavia, assumere, a questo punto, un’incidenza “interpretativa”, nel senso di ritenere che, se il legislatore ha inteso estendere la tipicità del reato anche alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione (c.d. Mod. 770), non soltanto la precedente formulazione racchiudesse nel proprio perimetro di tipicità soltanto l’omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti – rilievo sostanzialmente pacifico nella giurisprudenza di legittimità -, ma richiedesse, sotto il profilo probatorio, la necessità di una prova del rilascio della certificazione ai sostituiti; il criterio logico dell’argumentum a contrario, desunto dalla novella normativa che ha esteso la rilevanza normativa all’omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione, infatti, impone di escludere dalla portata applicativa della norma quanto non vi era espressamente compreso in precedenza.
14.1. Nel caso in esame, dalla lettura del ricorso e della sentenza impugnata emerge che la prova dell’omesso versamento delle ritenute è fondata essenzialmente sulla verifica del modello 770 e sulla deposizione del funzionario delle Agenzie delle Entrate; un quadro probatorio, alla stregua delle considerazioni che sono state svolte, che appare insufficiente all’affermazione di responsabilità, alla luce del mutato quadro normativo e dei riflessi interpretativi evidenziati.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, che risulta assorbente anche rispetto al secondo, va dunque annullata la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari, per la valutazione della sussistenza e dello spessore degli elementi probatori dai quali desumere il rilascio delle certificazioni ai sostituiti da parte dell’ordierno ricorrente.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Cagliari altra sezione.
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