CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10172 depositata il 18 maggio 2016
FALLIMENTO DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO – PROCEDIMENTO – PROCEDIMENTO PREFALLIMENTARE – NATURA – COGNITIVA E NON ESECUTIVA – FONDAMENTO – CONSEGUENZE – SOSPENSIONE DEI PROCEDIMENTI ESECUTIVI – INAPPLICABILITÀ
IL PROCESSO
Edil 2000 s.r.l. impugna la sentenza App. Napoli 22.7.2010 n. 134/2010 che, rigettando il proprio reclamo avverso la sentenza Trib. Benevento 22.9.2009, n. 11/2009 che ne aveva dichiarato il fallimento, confermo’ la impugnata declaratoria, cosi’ non condividendo la dedotta mancanza del requisito oggettivo di cui alla L. Fall., art. 5 e la pretesa violazione, da parte del primo giudice, della regola di sospensione della procedura prefallimentare quale connessa all’essere la parte, in quanto vittima dei reati di estorsione e usura, beneficiaria del predetto effetto protettivo.
Ritenne la corte d’appello, in primo luogo, la inapplicabilita’ della sospensione, per come disciplinata dalla L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4, al procedimento per la dichiarazione di fallimento nella sua interezza, ostandovi la lettera della norma, insuscettibile di estendersi oltre le procedure esecutive singolari. In ogni caso, in via di fatto, anche i crediti dei lavoratori istanti per il fallimento erano scaduti da oltre 300 giorni all’atto della dichiarazione di fallimento, il reclamante non aveva puntualmente riferito ad uno specifico periodo la pretesa attivita’ usuraria delle banche ed infine, anche a considerare decorrente detto termine dalle denunce di reato dell’ottobre 2008, il giudice aveva rinviato la decisione ad un periodo ancora posteriore, derivandone percio’ il superamento della questione del mancato parere del Prefetto e della decorrenza del termine dei 300 giorni.
Quanto all’insolvenza, la pur indimostrata pretesa di 320 mila Euro verso le banche per il rimborso di interessi assunti quali anatocistici ed usurari, non poteva sottacere la rilevante esposizione debitoria per TFR e crediti di lavoro, come ammesso dalla relazione al bilancio del 2007, che dava atto della sospensione dell’attivita’ e dei licenziamenti del 20 dicembre 2007 e senza che peraltro tale situazione fosse nel citato documento riferita in modo esclusivo alle condotte delle banche.
Il ricorso e’ affidato a tre motivi.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, quanto alla L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4, ove la sentenza impugnata ha erroneamente escluso che la norma di sospensione potesse riguardare anche i procedimenti per la dichiarazione di fallimento, attesa la ratio protettiva del debitore vittima di usura od estorsione a proseguire l’attivita’ e cercare i fondi per soddisfare i creditori.
Con il secondo motivo viene dedotta la violazione di legge, quanto alla L. Fall., art. 5, per il comportamento illegittimo del ceto bancario ed i suoi riflessi sui debiti finali.
Con il terzo motivo viene contestato il vizio di motivazione, laddove la corte d’appello ha errato nel non considerare che la riassunzione dei giudizi civili, da parte della curatela e verso le banche, e la non ammissione al passivo di queste, facevano supporre un giudizio del giudice delegato di non condivisione della declaratoria di fallimento e la congettura per cui la societa’, con le elargizioni richieste, avrebbe superato la propria crisi.
1. Il primo motivo e’ infondato, opponendosi al suo accoglimento l’indirizzo, consolidato nella vigenza dell’impianto originario della L. n. 44 del 1999 per la parte ratione temporis applicabile, per cui, poiche’ la procedura prefallimentare non ha natura esecutiva ma cognitiva, in quanto, prima della dichiarazione di fallimento, non puo’ dirsi iniziata l’esecuzione collettiva (cosi’ come, prima del pignoramento, non puo’ dirsi iniziata l’esecuzione individuale), ne consegue che il procedimento per la dichiarazione di fallimento non resta soggetto alla sospensione dei procedimenti esecutivi prevista dalla L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4, in favore delle vittime di richieste estorsive e dell’usura (Cass. 5259/2015, 6309/2014, 22756/2012, 8432/2012).
2. Il secondo motivo e’ infondato poiche’, per un verso, la sospensione dei procedimenti pendenti, in favore del soggetto vittima di richieste estorsive o di usura, prevista dalla citata L. 23 febbraio 1999, n. 44, art. 20, comma 4, (a tenore del quale Sono sospesi per la medesima durata di cui al comma 1 (cioe’ per 300 giorni) l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili e i termini relativi a processi esecutivi mobiliari ed immobiliari, ivi comprese le vendite e le assegnazioni forzate), puo’ riguardare singoli crediti oggetto degli specifici provvedimenti amministrativi previsti dal comma 7 della norma in esame, senza tuttavia pregiudicare la potesta’ del giudice, una volta riscontrata l’insolvenza comunque dell’imprenditore ai sensi della L. Fall., art. 5 e dunque con riguardo ad ogni altra generalita’ di debiti, di dichiararne il fallimento (Cass. 2541/2016). Dall’altro lato, la sentenza ha escluso che la stessa debitrice imputasse alle responsabilita’ esclusive delle banche il proprio stato di crisi e, sul punto, non ha individuato la porzione di indebitamento non bancario comunque estranea ad usurarieta’ o estorsivita’ della rispettiva causazione (nemmeno allegata quanto ai fatti determinativi, per sintesi di circostanze, date e durata) isolandone, per detta entita’, la prospettiva solutoria quale prescindente dall’indebitamento bancario. Il ricorrente si e’ invero limitato ad invocare non solo una tutela pregiudiziale assoluta dal processo di accertamento dell’insolvenza, tra l’altro attivato dalla iniziativa prefallimentare di creditori non bancari, e senza percio’ alcuna distinzione tra essi, ma ha anche omesso di precisare una alternativa nozione inevitabilmente selettiva della sua insolvenza, contraddetta nell’ambito di un generico richiamo ad un vago principio deterministico per cui le condotte bancarie avrebbero comunque generato ogni propria difficolta’ finanziaria, in cio’ risolvendosi la tesi in netta contrarieta’ al pacifico operare oggettivo della clausola di cui alla L. Fall., art. 5 (Cass. 7252/014).
3. Il terzo motivo e’ inammissibile perche’ generico, non riportando – a significarne la non novita’ – in quali forme la relativa censura sia stata rappresentata al giudice dell’appello e con quale tempestivita’ di deduzione e comunque esso si traduce in mere congetture, del tutto prive di ogni correlazione a fatti storici, oltre che ampiamente smentite dagli accertamenti sull’insolvenza condotti dalla corte d’appello, in punto di piena autonomia di essa anche rispetto alle stesse esposizioni bancarie.
Il ricorso va dunque rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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