CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10223 depositata il 18 maggio 2016
IMPOSTA di REGISTRO – STIMA UTE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’agenzia delle entrate propone cinque motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 28/21/10 del 4 marzo 2010 con la quale la commissione tributaria regionale di Firenze, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di rettifica e liquidazione da essa agenzia notificato ad G.A.M. e M.M. a titolo di maggiore imposta di registro su compravendita 12 giugno 2001, nonchè di maggior valore finale Invim al 31 dicembre 92. Ciò con riguardo ad una villa nobiliare assoggettata a vincolo – di interesse storico – culturale ex L. n. 1089 del 1939, e sottoposta dall’amministrazione finanziaria a valutazione con criterio sintetico.
Resiste la sola G. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3 e art. 52, comma 1; per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto che l’amministrazione finanziaria avesse inammissibilmente modificato in corso di causa (da sintetico-comparativo a sintetico-diretto) il criterio estimativo nella specie adottato, là dove il mutamento era stato solo terminologico (eliminazione di un refuso occorso nell’avviso di rettifica), fermi restando i presupposti giuridici e fattuali della stima, così come desumibili dalla nota dell’agenzia del territorio n. 429977/1360/02 allegata all’avviso.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 insufficiente ed illogica motivazione su un fatto decisivo e controverso; per avere la commissione tributaria regionale comunque escluso l’ammissibilità nella specie, trattandosi di bene fatiscente sottoposto a vincolo culturale, tanto del criterio sintetico-comparativo quanto di quello sintetico-diretto. In particolare, erroneamente la commissione tributaria regionale aveva ritenuto inapplicabile il criterio del valore dell’edificio realizzabile sul terreno, previa demolizione dell’esistente e ricostruzione, con abbattimento del 75% (dunque, con attribuzione al terreno di un quarto del valore dell’immobile realizzabile).
1.2 Questi due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria, sono infondati, in quanto inidonei a sovvertire il ragionamento di fondo della commissione territoriale, secondo cui il criterio di stima indicato nell’avviso di rettifica e liquidazione (indipendentemente dal fatto che esso dovesse qualificarsi ab initio come sintetico-diretto ovvero sintetico-comparativo) era comunque tale da invalidare l’accertamento di maggior valore (“il criterio sintetico-comparativo non poteva pertanto trovare applicazione, come non poteva del resto trovare applicazione il metodo sintetico-diretto che l’ufficio ha ritenuto di aver applicato sin dall’inizio dell’accertamento).
La ratio decidendi della sentenza qui impugnata, in definitiva, travalica l’aspetto puramente procedurale (inammissibilità del mutamento del criterio di stima nel corso del giudizio, con la nota dell’agenzia del territorio 23 agosto 2005), per attestarsi su un aspetto sostanziale e tipicamente di merito; costituito dal fatto che, al di là della terminologia usata, il criterio del valore edificabile del terreno, previo abbattimento dell’esistente e ricostruzione, non era in grado di dare conto di una fattispecie del tutto peculiare, risolvendosi in definitiva in un parametro astratto e, per ciò soltanto, non in grado di sostenere il maggior valore in concreto accertato.
Questo ragionamento non si pone in conflitto con i criteri di stima di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3 il quale è mirato a far si che la valutazione dell’immobile sia quanto più possibile conforme – sulla scorta di elementi di valutazione non già apodittici e stereotipati, bensì concreti ed obiettivi – a quello ad esso commercialmente attribuibile.
Nemmeno, trova riscontro la doglianza di natura motivazionale, avendo la commissione tributaria regionale chiaramente individuato ed esplicitato i suddetti elementi di tipicità della fattispecie, rappresentati: – dalla sussistenza sulla villa di un vincolo storico- culturale ex L. n. 1089 del 1939; – dalla preclusione normativa alla sua totale demolizione e ricostruzione ex novo; – dallo stato di fatiscenza e degrado in una con le notevoli dimensioni dell’immobile.
Ebbene, è evidente che queste circostanze fattuali erano tali – per un verso – da precludere l’adozione di un criterio valutativo di tipo sintetico comparativo e – per altro verso – da rendere di per sè inadeguato un criterio (quale quello proposto dall’amministrazione finanziaria) basato proprio sulla edificabilità del terreno (ancorchè con abbattimento fino ad un quarto del valore dell’immobile realizzabile su di esso).
Va d’altra parte considerato che la circostanza che non si trattasse di un criterio di stima specificamente adattato alla concretezza della fattispecie è stato ammesso, anche nel presente giudizio di legittimità, dalla stessa amministrazione finanziaria; la quale ha riconosciuto che si trattava pur sempre di un “criterio astratto che viene di prassi adottato per la valutazione dei terreni edificabili” (v. ric. pag. 13), dunque a prescindere dai vincoli storico- culturali.
Il che conferma una volta di più l’inapplicabilità di un criterio generalizzato e di prassi (atto a valutare le aree ordinariamente edificabili) ad una fattispecie nella quale tale edificabilità doveva invece essere esclusa per legge.
In definitiva, il convincimento della commissione tributaria regionale deve trovare qui conferma, atteso che il criterio adottato dall’amministrazione finanziaria sostanzialmente finalizzato a convertire tout court la villa sotto vincolo storico-artistico in terreno edificabile – si poneva, esso sì, in contrasto con i criteri di cui all’art. 51 cit.; basandosi inoltre su una motivazione (appunto relativa ad una prassi riferibile ad altre ed ordinarie tipologie di beni immobili) inadeguata, perchè priva di richiami ad una realtà fattuale diversa e peculiare, così come ricostruita dal giudice di merito nell’ambito di un sindacato qui non censurabile.
2. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 21; per avere la commissione tributaria regionale escluso a priori la demolizione del fabbricato esistente e la ricostruzione di altro fabbricato, posto che tale operazione, ancorchè relativa ad un bene vincolato, poteva pur tuttavia essere autorizzata dal ministero per i beni culturali, con conseguente rilevanza di tale autorizzazione anche ai fini fiscali.
All’accoglimento di questa doglianza ostano almeno due considerazioni logico-giuridiche.
La prima attiene al fatto che, anche in tal caso, l’agenzia delle entrate ha richiamato una possibilità puramente teorica ed astratta, insita nella autorizzabilità ministeriale (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 21 Codice dei beni culturali e del paesaggio) all’abbattimento della villa nobiliare esistente, ed alla sua ricostruzione; senza, però, dedurre in giudizio elementi tali da far ritenere attuale e concreta questa eventualità, vista la sussistenza nella specie di tutti i suoi presupposti in fatto e diritto. In assenza di ciò, corretta appare la valutazione del giudice di merito di assoggettare l’immobile in questione al regime ordinario suo proprio, che è quello di vincolo, conservazione e limitazione d’uso (gli stessi obblighi e limiti a fronte dei quali operano, a titolo di equa compensazione, le agevolazioni fiscali in materia di beni storico- culturali).
La seconda concerne il fatto che il maggior valore accertato dall’ufficio non dà comunque nemmeno conto dell’incidenza economica di questa possibile demolizione-ricostruzione nei limiti della autorizzazione ministeriale; ciò nel senso che non risultano in alcun modo specificati i parametri di stima attribuibili, non già alla edificazione tout court del terreno (come se si trattasse un’area ordinariamente edificabile, senza vincoli di tipo storico, artistico o culturale), ma alla complessa e peculiare operazione rappresentata dalla demolizione dell’esistente e dal suo rifacimento ex novo secondo le possibili direttive ministeriali (nemmeno, vengono indicati i parametri edilizi ed urbanistici presi a riferimento per la stima economica di tale operazione). In alternativa, è altresì mancata la valutazione dei costi non già di demolizione e ricostruzione ex novo, bensì di restauro e conservazione; anch’essi idonei ad incidere apprezzabilmente sul valore del bene al momento del suo trasferimento.
3. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta insufficiente ed illogica motivazione su un fatto controverso e decisivo; per avere la commissione tributaria regionale ritenuto inidoneo il criterio di stima adottato dall’ufficio, nonostante che quest’ultimo si basasse sull’accertamento dell’agenzia del territorio e, dunque, di un soggetto terzo rispetto all’agenzia delle entrate, e particolarmente qualificato per i fini istituzionali da esso perseguiti.
La doglianza non può trovare accoglimento, dovendosi qui ribadire il costante orientamento di legittimità secondo cui, in materia di accertamenti tributari: – la rettifica del valore di un immobile ben può fondarsi sulla stima dell’UTE o di altro organismo pubblico a ciò preposto nell’ambito delle sue finalità istituzionali, ma tale stima ha lo stesso valore di una perizia di parte, facendo piena prova soltanto della sua provenienza, non anche del suo contenuto valutativo; – di conseguenza, il giudice investito dell’impugnativa dell’accertamento, pur non potendo ritenere tale valutazione inattendibile sol perchè proveniente da un’articolazione dell’amministrazione finanziaria, nemmeno la può considerare di per sè (vale a dire, in ragione del solo dato formale della sua provenienza pubblica) dirimente nel supportare l’atto impositivo;
dovendo invece verificarne l’idoneità a superare le contestazioni del contribuente, ed a fornire la prova dei più alti valori pretesi;
– ciò richiede al giudice di merito di esplicitare adeguatamente le ragioni del proprio convincimento in ordine all’efficacia dimostrativa attribuibile, nell’ambito di un procedimento connotato da ampia incidenza di prove atipiche e nel quale l’amministrazione finanziaria si pone sullo stesso piano del contribuente, alla stima allegata dall’ufficio (Cass. 9357/15; 2193/15; 14418/14 ed altre).
Orbene, nel caso di specie la commissione tributaria regionale ha fatto corretta applicazione di tali principi, argomentando le fonti del proprio convincimento e, soprattutto, le ragioni per cui la stima dell’amministrazione finanziaria – ancorchè basata sull’accertamento di un organo certamente qualificato come l’agenzia del territorio – non poteva reputarsi adeguata a dare conto della peculiarità della fattispecie.
4. Con il quinto motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7; per avere la commissione tributaria regionale omesso, pur dopo aver ritenuto inidoneo il criterio di stima sintetico-diretto, di disporre una consulenza tecnica d’ufficio, ovvero altri accertamenti istruttori per verificare la correttezza della stima proposta.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’agenzia ricorrente, l’attivazione dei poteri istruttori ufficiosi di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 non costituisce un diritto della parte, dal momento che anche nel processo tributario: – vige il principio generale sull’onere della prova ex art. 2697 cod. civ., restando in particolare a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di provare i presupposti in fatto del maggior valore accertato, inteso quale fondamento della pretesa tributaria dedotta in giudizio;
l’esercizio, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, di poteri istruttori ufficiosi ex art. 7 cit. ha natura non vincolata ma discrezionale, rientrando nella delibazione del giudice di merito; – tale esercizio, in ogni caso, non può sortire l’effetto di sollevare la parte dall’onere probatorio del quale è gravata, nè di supplire alle carenze istruttorie alle quali la parte stessa abbia dato origine.
Ciò posto, la valutazione qui resa dalla commissione tributaria regionale di non disporre accertamenti istruttori ufficiosi, ovvero consulenza tecnica d’ufficio, non è sindacabile nella presente sede di legittimità. Proprio perchè non concretante vizio di attività da parte del giudice di merito, il quale (indipendentemente dal fatto che la consulenza tecnica d’ufficio gli fosse stata effettivamente sollecitata, aspetto non affrontato dalla ricorrente) ha correttamente ritenuto che, in assenza della proposizione da parte dell’amministrazione finanziaria di un valido criterio di stima, l’esercizio di qualsivoglia potere istruttorio si risolvesse, appunto, nell’indebita alterazione della regola sull’onere probatorio.
Conclusione non censurabile, vieppiù considerato che la consulenza tecnica d’ufficio costituisce non già un mezzo di prova, ma un mezzo di valutazione tecnica di prove ritualmente acquisite nel giudizio nel rispetto della regola generale di cui all’art. 2697 cod. civ..
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE – rigetta il ricorso;
– condanna parte ricorrente agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 7.000,00 per compenso professionale; oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.
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