CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10448 del 20 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – RAPPORTO DI LAVORO PART-TIME – ASSENZA DELLA PROVA DELLA SUSSISTENZA DEL RAPPORTO
Svolgimento del processo/Motivi della decisione
1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 cod. proc. civ., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 cod. proc. civ.:
“Il Tribunale di Palermo, decidendo sull’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da S.P., condannava quest’ultimo al pagamento, nei confronti dell’I.N.P.S., delle differenze contributive scaturenti dall’applicazione ai rapporti part-time oggetto di verbale ispettivo del regime ordinario di contribuzione, in luogo di quello ridotto e dalla parametrazione della contribuzione alla retribuzione dovuta a lavoratrici con mansioni di “generica”, oltre somme aggiuntive e sanzioni come per legge. La decisione veniva riformata dalla Corte di appello di Palermo che, ritenendo non assolto dall’I.N.P.S. l’onere probatorio con riguardo a tutte le pretese contributive, rigettava la domanda di pagamento formulata in via monitoria dall’Istituto.
Per la cassazione di tale decisione ricorre l’I.N.P.S., in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.p.A., affidando l’impugnazione ad unico motivo.
S.P. resiste con controricorso.
Con l’unico motivo l’Istituto ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione al D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 5 convertito con modificazioni in L. n. 351 del 1984, per avere la Corte territoriale ritenuto applicabile il regime contributivo di favore previsto da tale norma a contratti di lavoro a tempo parziale che non risultavano formalmente stipulati e così ponendo a carico dell’I.N.P.S. l’onere probatorio della durata parziale del tempo di lavoro in realtà incombente sul datore che ne alleghi la sussistenza.
Si osserva preliminarmente che il motivo supera il vaglio di ammissibilità atteso che nello stesso è ben enucleato il punto della decisione che si assume in contrasto con le disposizioni denunciate ed è altresì testualmente riprodotto il contenuto del verbale ispettivo (posto a base della richiesta monitoria dell’Istituto, così come si evince dalla stessa sentenza impugnata) nella parte utile a reggere le censure.
Si rileva, poi, che i rilievi dell’I.N.P.S. attengono solo “all’ultima parte dell’accertamento in discorso” e cioè alla parte in cui, a fronte di un accertamento ispettivo il cui esito era così riassunto nel verbale: “Per n. 2 lavoratrici si è provveduto a considerare a partire dalla data di assunzione il rapporto di lavoro part time in full time in quanto il contratto stipulato dal datore di lavoro e dalle lavoratrici porta la data dell’1/3/1990, si tratta di A.G. per il periodo dal 13/7/1989 al 28/2/1990 e T.P. dall’ 1/11/1989 al 28/2/1990”.
L’I.N.P.S., dunque, censura la sentenza impugnata solo nella parte in cui il rapporto di lavoro delle suddette dipendenti A. e T. è stato considerato a tempo parziale anche prima della formalizzazione del contratto come tale e cioè relativamente al periodo dalla data di assunzione a quella del contratto pari time (non avendo formato oggetto di doglianza l’esclusione dei presupposti per le – altre – pretese e così per quelle, a termini di verbale, riferite alle posizioni delle lavoratrici M.P. e R.B. ed alle omissioni contributive per “differenze di massimali non applicati per il periodo giugno 1985 sino a dicembre 1988 nella misura corretta” nonché per quelle afferenti il disposto cambio di livello di inquadramento “avuto riguardo alla qualifica per la quale sono state assunte” e quelle relative alle ulteriori omissioni registrate sempre con riferimento alle differenze retributive scaturite dall’esame delle previsioni del c.c.n.l).
Ciò precisato, il motivo è manifestamente fondato.
È principio da tempo affermato da questa Corte quello secondo cui il rapporto di lavoro subordinato, in assenza della prova di un rapporto part time, nascente da atto scritto, si presume a tempo pieno ed è onere del datore di lavoro, che alleghi invece la durata limitata dell’orario di lavoro ordinario, fornire la prova della consensuale riduzione della prestazione lavorativa (cfr. Cass. 23 febbraio 2000, n. 2033; Cass. 13 maggio 2002, n. 6878; Cass. 18 marzo 2004, n. 5518).
La suddetta presunzione opera, evidentemente, anche per quanto attiene all’obbligo contributivo nel senso che, in mancanza di prova di un rapporto part – time, nascente come detto da atto scritto, il datore di lavoro è tenuto alla contribuzione nella misura intera e non in quella ridotta.
Ciò risulta coerente con la giurisprudenza di questa Corte che è ormai da tempo consolidata, a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite di cui alla sentenza 5 luglio 2004, n. 12269, nel sostenere che al contratto di lavoro a tempo parziale, che abbia avuto esecuzione pur essendo nullo per difetto di forma, non può applicarsi la disciplina in tema di contribuzione previdenziale prevista dal D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 5, convertito in L. n. 863 del 1984, ma deve invece applicarsi il regime ordinario di contribuzione che prevede anche i minimali giornalieri di retribuzione imponibile (così come si applica anche la disciplina di cui al D.L. n. 338 del 1989, art. 1, convertito in L. n. 389 del 1989) – si vedano le successive conformi e Cass. 24 agosto 2004, n. 16670; Cass. 5 maggio 2008, n. 11011; Cass. 7 gennaio 2009, n. 52; Cass. 24 settembre 2014, n. 20104 -. Infatti, da un lato il sistema contributivo regolato dal predetto art. 5 è applicabile, come da tenore letterale della norma, solo in presenza di tutti i presupposti previsti dai precedenti commi ed è condizionato, in particolare, dall’osservanza dei prescritti requisiti formali; dall’altro, sarebbe irrazionale un sistema che imponesse, per esigenze solidaristiche, a soggetti rispettosi della legge l’osservanza del principio del minimale, con l’applicazione ad essi di criteri contributivi da parametrare su retribuzioni anche superiori a quelle in concreto corrisposte al lavoratore, e – nel contempo – esentasse da tali vincoli quanti, nello stipulare il contratto di lavoro pari time, abbiano mostrato, col sottrarsi alle prescrizioni di legge, di ricorrere a tale contratto per perseguire finalità non istituzionali, così agevolando forme di lavoro irregolare.
Ed infatti in materia di contribuzione previdenziale opera il principio del così detto minimale, nel senso che l’esigenza di garantire agli istituti operanti nel settore un livello minimo di entrate, tale da consentire la disponibilità di risorse sufficienti per l’erogazione delle prestazioni dovute agli assicurati ed anche di attribuire ai lavoratori di un unico settore economico, attraverso la parità della contribuzione, una pensione di pari ammontare (Cass. 9 gennaio 1999, n. 140), viene soddisfatta mediante la determinazione dei contributi ad un livello minimo retributivo, pur se in concreto è stata corrisposta al lavoratore una somma inferiore. A tal fine l’art. 1, comma primo, del D.L. n. 338 del 1989, convertito in legge n. 389 del 1989, stabilisce che i contratti individuali o gli altri accordi collettivi diversi dai contratti nazionali possono essere presi a parametro ai fini della suddetta determinazione soltanto se la retribuzione è di importo superiore. Allo scopo di favorire i livelli occupazionali, con l’art. 5, quinto comma D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 19 dicembre 1984, n. 863, è stato introdotto un diverso sistema di calcolo, poi modificato con il D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, per rapportare la contribuzione ai livelli retributivi per la prestazione di lavoro a tempo parziale, ovviamente inferiori ai minimi di categoria previsti per la prestazione ad orario completo (si veda anche Cass. 26 aprile 2002, n. 6097).
D’altra parte, secondo i principi più volte affermati da questa Corte, grava sul datore di lavoro l’onere di provare le c.d. circostanze eccettuative cioè le circostanze in base alle quali si ricadrebbe nell’ambito di una deroga rispetto all’onere contributivo ordinariamente previsto; così, ad es., provare che parte delle somme erogate alla cessazione del rapporto di lavoro siano escluse dalla base imponibile (Cass. 8 febbraio 1999, n. 1077; Cass. 11 gennaio 2001, n. 461); ovvero provare i presupposti per la riduzione dei contributi a seguito di fiscalizzazione degli oneri sociali (Cass. 9 febbraio 2004, n. 2387); oppure provare di avere diritto ad usufruire degli sgravi quale eccezione all’obbligo contributivo (Cass. 15 dicembre 2008, n. 29324; Cass. 26 ottobre 2010, n. 21898; Cass. 3 maggio 2012, n. 6671).
Così, quando il datore di lavoro pretenda di far valere una riduzione contributiva (così, nella specie, un regime contributivo agevolato sulla base del presupposto dell’esistenza di rapporti di lavoro a tempo parziale in luogo di quello ordinario ricollegabile alla presunzione di una prestazione resa a tempo pieno) l’onere della prova della sussistenza di contratti di lavoro legittimamente e formalmente stipulati come contratti partirne resta a suo carico.
Ed allora la Corte territoriale ha errato nel ritenere, limitatamente alla posizione delle lavoratrici A. e T. e con riguardo alle emergenze del verbale ispettivo di cui sopra si è detto, che l’I.N.P.S. non avesse soddisfatto l’onere di provare il presupposto della pretesa laddove, in mancanza di forma scritta dei contratti pari time (anche) per i periodi indicati operava, in favore dell’Istituto, la presunzione di una prestazione resa a tempo pieno (con onere a carico del datore di lavoro di fornire la prova contraria).
In conclusione, si propone l’accoglimento del ricorso, la cassazione in parte qua della sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice di merito che, attenendosi ai principi sopra illustrati, procederà, relativamente alle posizioni sopra evidenziate, ad un nuovo esame, il tutto con ordinanza ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5>>.
2 – Non sono state depositate memorie ex art. 380 bis, co. 2, cod. proc. civ.
3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo.
4 – In conclusione il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Palermo che, in diversa composizione, attenendosi ai principi sopra illustrati, procederà, relativamente alle posizioni sopra evidenziate, ad un nuovo esame e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione.
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