CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10509 depositata il 20 maggio 2016
SOCIETÀ DI CAPITALI – SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA – CAPITALE SOCIALE – CONFERIMENTI – FINANZIAMENTI DEL SOCIO A SOCIETÀ COOPERATIVA – COMPAGNIA FINANZIARIA “EX LEGE” N. 49 DEL 1985 – POSTERGAZIONE EX ART. 2467 C.C. – ESCLUSIONE – RAGIONI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Società Finanziaria per la Cooperazione di Produzione e Lavoro SO.FI.COOP. s.c.ar.l. impugna, con ricorso notificato il 14- 15 maggio 2010 il decreto del Tribunale di Parma depositato il 15 aprile 2010 che, rigettando il suo reclamo avverso lo stato passivo della Manifattura Abbigliamento s.c.ar.l., in liquidazione coatta amministrativa, ha escluso il rango ipotecario per i crediti vantati verso la società per euro 191.151,34 ed euro 795.373,26, confermandone la degradazione a postergati, quali somme erogate a titolo di mero finanziamento.
Ha ritenuto il tribunale che i finanziamenti erogati dalla Soficoop alla cooperativa in bonis, ai sensi dell’art. 17 della legge 27 febbraio 1985, n. 49, in qualità di socio sovventore, rendano applicabile l’art. 2467 c.c. al credito non rimborsato, tenuto conto dell’estensione alle cooperative della predetta disposizione, dettata in tema di società a responsabilità limitata, e della comprovata situazione di crisi economica SO.FI.COOP. s.c.ar.l. all’epoca dell’operazione.
Il ricorso è affidato a tre motivi, ulteriormente illustrato con memoria ex art.378 cod. proc. civile, cui resiste con controricorso la società in procedura.
La causa è passata in decisione all’udienza del 17 Febbraio 2016 sulle conclusioni del P.G. e dei difensori in epigrafe riportate.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 17 della legge 27 febbraio 1985, n. 49 (Provvedimenti per il credito alla cooperazione e misure urgenti a salvaguardia dei livelli di occupazione), nonché dell’art. 2467 c.c., non avendo il tribunale considerato la specialità, anche di natura pubblicistica, dei finanziamenti erogati in qualità di socia della cooperativa a fini di sostegno alle attività economiche di quest’ultima, in coerenza con la predetta legge: e dunque, al di fuori di prestiti anomali, ovvero sostitutivi di capitale esclusivamente effettuati per rimediare alla sottocapitalizzazione nominale o reale della società.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 2467 c.c., 54, 66, 67 l.fall. e 2808 cod. civile, avendo la pronuncia impugnata trascurato la natura ipotecaria del credito di finanziamento, senza considerare che la procedura non aveva esercitato l’azione revocatoria delle due garanzie, risalenti rispettivamente al biennio e all’anno precedente all’apertura del concorso.
Con il terzo motivo l’istante deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 2467 c.c., per contrasto con l’art. 45 Cost., laddove interpretato nei termini censurati, nella parte in cui non subordina al limite temporale di un anno antecedente all’apertura della procedura concorsuale, la postergazione dei crediti da finanziamento.
Il primo motivo è fondato. Al riguardo, deve essere sottoposta a vaglio critico la statuizione, costituente il fulcro del decreto impugnato, che dà per applicabile, de plano, in via estensiva, la regola della postergazione (art. 2467 cod. civ.) alle società cooperative, in forza del disposto di cui all’art. 2519, secondo comma, cod. civile.
La verifica di tale interpretazione deve prendere le mosse dal dato testuale (art.12 disp. sulla legge in generale).
Sotto questo profilo, premessa l’assenza di alcuna previsione specifica, in subiecta materia, all’interno del titolo VI, si osserva come la norma suddetta elevi a presupposto pregiudiziale per l’applicazione integrativa della disciplina della società a responsabilità limitata – in essa incluso l’art.2467 cod. civ. – il suo espresso richiamo nell’atto costitutivo della cooperativa; cui si aggiungono gli ulteriori requisiti dimensionali – in relazione alternativa – del numero di soci inferiore a venti o dell’attivo patrimoniale non superiore ad un milione di euro. In difetto di prova di tali condizioni di legge, neppure allegate dalla Manifattura Abbigliamento s.c.a r.l., è dunque da ritenere escluso, in limine, il ricorso suppletivo alla disciplina della società a responsabilità limitata; anche a prescindere dall’ulteriore verifica del canone di compatibilità, contestualmente prescritto e rimasto priva di scrutinio in sentenza.
In alternativa, vale il criterio integrativo dettato in via principale dall’art.2519, primo comma, cod. civ., col richiamo delle disposizioni sulle società per azioni (soggetto al consueto limite, di chiusura, della compatibilità): disposizioni, che però non riproducono l’effetto postergativo previsto dall’art.2467 cod. civ.
Né il chiaro disposto testuale può essere eluso sulla base di un’interpretazione teleologica che faccia leva sulla ratio legis di contrastare la non infrequente sottocapitalizzazione delle società, quale tecnica di traslazione su creditori e terzi del rischio da continuazione dell’attività in regime di dissesto; con eventuale profitto dei soci ed aggravamento del dissesto a scapito dei creditori: epifenomeno, ricorrente soprattutto nelle società cd. “chiuse” – id est, con compagine di tipo familiare, o comunque a base ristretta – e determinato dalla convenienza dei soci a ridurre l’esposizione al rischio d’impresa, apportando nuove risorse a disposizione dell’ente collettivo nella forma del finanziamento, anziché in quella appropriata del conferimento.
La plausibilità di siffatta ricostruzione della mens legis – peraltro desunta a posteriori dall’interprete e non espressa dallo stesso legislatore in forma di principio informatore – non può valere, infatti, a consentire il valicamento dei limiti oggettivi di applicabilità, direttamente derivanti dal dato testuale della norma principale di riferimento (art.2519. cod. civ.); oltre che dalla collocazione sistematica della norma richiamata (art.2467 cod. civ.): che, nel sottosistema societario, assume un’accentuata rilevanza, maggiore che nel diritto civile ordinario, in considerazione dei riflessi che la disciplina del tipo riveste anche per i terzi, con i quali la società intesse rapporti commerciali continui. In quest’ottica, l’appartenenza ad un tipo richiama con immediatezza la disciplina relativa e crea un affidamento meritevole di protezione in misura incomparabilmente maggiore che negli ordinari rapporti negoziali, ad efficacia eminentemente – pur se, non esclusivamente – interna.
Ne consegue la ricorribilità più contenuta all’interpretazione estensiva, o a fortiori analogica, che trasponga norme dettate per un tipo sociale ad un altro: tanto più quando, come nella specie, la diversità di tipo corrisponda anche a diversità di causa, rispettivamente lucrativa e mutualistica.
Alla luce di tale divario ontologico, non appare neppure invocabile, in ragione dell’eadem ratio, la giurisprudenza estensiva della regola postergativa alla s.p.a. cd. “chiusa”; connotata, cioè, dall’analogo assetto familiare o ristrettezza di base – da verificare però in concreto – che si vuole presunta, a tal fine, nella società a responsabilità limitata: in cui – si assume – il socio conosce e vuole la sottocapitalizzazione (Cass., sez.1, 7 luglio 2015, n.14056).
In particolare, si è tratto argomento, per predicare la possibile applicazione diretta della regola della postergazione dei finanziamenti alla s.p.a. chiusa, dalla concorrente previsione di cui all’art.2497 quinquies cod. civ. (svalutando, per contro, la rilevanza distintiva, ai fini in esame, dell’appartenenza ad un gruppo): argomento, evidentemente non utilizzabile, in radice, per la società cooperativa.
L’art.2467 cod. civ. è volto, in ultima analisi, essenzialmente a tutelare i terzi creditori estranei alla società, sui quali finirebbe per trasferirsi, di fatto, il rischio d’impresa, qualora, apertasi una procedura concorsuale, dovessero concorrere con i soci finanziatori al riparto dell’attivo liquidato: potendo questi ultimi – secondo l’opinione comune – mediante i significativi poteri di controllo (art. 2476 cod. civ.) e di gestione (art. 2475 cod. civ.) riservati al socio nelle s.r.I., valutare in anticipo gli indici sintomatici di uno stato di crisi aziendale che rendano loro più conveniente l’erogazione di nuova finanza tramite forme di mutuo soggetto a rimborso, piuttosto che con apporti di capitale di rischio.
Conferma di quanto osservato, del resto, si trae dalla lettura dell’art. 182-quater, comma terzo, l. fall. introdotto dal di. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n.122, che disapplica la norma in esame per i finanziamenti dei soci, fino all’ottanta per cento del loro ammontare, effettuati in esecuzione di un concordato preventivo, ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato.
In difetto di un espresso richiamo normativo, come pure di un’affinità di tipo sociale, ritiene quindi il Collegio illegittima l’applicazione della regola della postergazione, siccome ispirata dalla descritta ratio, anche alle cooperative, rette da taluni principi – estranei se non contrapposti a quelli imperanti nelle società lucrative – come quello dello scopo mutualistico (art. 2511 cod. civ.), della variabilità dei soci e del capitale (artt. 2511 e 2524 cod. civ.), della parità di peso del voto tra i soci (art. 2538, comma secondo, cod. civ.) e del tetto massimo alla partecipazione sociale (art. 2525 cod. civ.): principi tutti, concorrenti a contenere, se non sminuire, l’influenza del singolo socio sulle scelte gestionali dell’impresa.
Sul punto, occorre altresì rilevare che, a partire dalla legge 31 gennaio 1992, n.59 (Nuove norme in materia di società cooperative) e poi con la riforma del diritto societario (d.lgs. 9 gennaio 2003, n.6), è stata introdotta nelle sole società cooperative una netta distinzione tra la figura del socio cooperatore e quella del socio finanziatore (o sovventore): e cioè, di colui che è chiamato ad apportare soltanto capitale nell’impresa – senza partecipare alla realizzazione dello scopo mutualistico. Questi, non solo non può essere titolare di più di un terzo dei voti spettanti all’insieme dei soci presenti o rappresentati in assemblea, ma non può neppure eleggere più di un terzo degli amministratori (art. 2542, comma secondo, cod. civ.) e dei componenti dell’organo di controllo (art. 2543, comma secondo, cod. civ.).
Se dunque può escludersi, con sufficiente certezza, che nelle cooperative il socio finanziatore o sovventore, cui resta ex lege sottratto il controllo delle maggioranze in seno agli organi sociali (sia nell’assemblea, che nel consiglio di amministrazione, ovvero nel collegio sindacale), possa determinare gli indirizzi gestionali della società ed influire in maniera determinante sulla decisione di procedere a manovre sul capitale sociale, piuttosto che ricorrere ad altre forme di raccolta del risparmio tra i soci, viene meno anche l’identità di ratio sottesa, secondo la prevalente dottrina, alla regola della postergazione.
Ma un’ulteriore conferma della predetta interpretazione discende, nel caso in esame, anche dalla distinta disamina dell’art. 17 della legge 27 febbraio 1985, n. 49 (cd. legge Marcora), come novellata dall’art. 12 della legge 5 marzo 2001, n.57 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati, che ha previsto l’erogazione di denaro pubblico in favore delle società cooperative.
Il meccanismo previsto in detta legge prevede la partecipazione del Ministero dello Sviluppo Economico al capitale delle cd. compagnie finanziarie; le quali, poi, agendo come soci sovventori ex art. 4 della legge n. 59 del 1992, possono erogare alle società cooperative taluni finanziamenti “al fine di salvaguardare e incrementare l’occupazione, mediante lo sviluppo di piccole e medie imprese costituite nella forma di società cooperativa o di piccola società cooperativa” (così l’art. 17, comma 2, legge n. 49 del 2001).
La natura di vera e propria pubblica sovvenzione, volta alla salvaguardia dei livelli occupazionali nelle aziende cooperative – obbiettivo strategico espresso in rubrica – trova oggi ulteriore riscontro nella scelta del legislatore di operare la completa equiparazione dinanzi al fisco tra i descritti finanziamenti e i fondi di provenienza statale; nonché, nel riconoscimento del rango privilegiato ai relativi crediti da rimborso.
Il riferimento è all’art. 11 del d.l. 23 dicembre 2013, n. 145 (Misure per favorire la risoluzione di crisi aziendali e difendere l’occupazione, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9), che, novellando l’art. 9 della legge n. 49 del 1985, ha previsto che le agevolazioni tributarie di cui all’art. 19 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601 (Disciplína delle agevolazioni tributarie), in relazione ai finanziamenti effettuati con fondi somministrati o conferiti dallo Stato o dalle regioni o gestiti per conto degli stessi, si applichino anche a quelli erogati dalle società finanziarie ai sensi dell’art. 17, comma 5, della legge Marcora.
Analogamente, l’art. 4, comma 5, legge 27 febbraio 1985, n. 49, novellato dall’art. 90, comma 1-bis, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 27 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita’ – CRESCITA LIA), dispone che i crediti derivanti dai finanziamenti “erogati dalle società finanziarie ai sensi dell’articolo 17, comma 5, hanno privilegio sugli immobili, sugli impianti e su ogni loro pertinenza, sui macchinari e sugli utensili della cooperativa, comunque destinati al suo funzionamento ed esercizio”. Disposizione che, seppur temporalmente successiva all’integrazione della fattispecie concreta qui in esame, rende palese la linea di fondo di politica del diritto: volta non già a declassare i finanziamenti erogati in forza di una legge speciale – quasi dissimulassero comportamenti opportunistici di soci mossi da finalità lucrative (poco compatibili, oltretutto, con la temporaneità, fino ad un massimo di dieci anni, e con la natura minoritaria della partecipazione: art.6 – Dismissione delle partecipazioni – D.M 4 aprile 2001 – Modalità e procedure di partecipazione del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato al capitale sociale delle società finanziarie di cui all’art. 17 della legge 27 febbraio 1985, n. 49) – bensì, all’opposto, ad assegnare loro un rango privilegiato (quale, nel caso in esame, perseguito dalla Soficoop, in via di fatto, tramite l’iscrizione ipotecaria), in coerenza con le conclamate finalità sociali ispiratrici della legge Marcora.
Anche sotto questo profilo, dunque, si deve parimenti concludere che erroneamente il tribunale ha ritenuto che i crediti discendenti dai finanziamenti elargiti dalla compagnia finanziaria Soficoop alla Manifattura Abbigliamento, quando quest’ultima versava già in stato di crisi, meritassero di essere collocati al rango postergato: in quanto, da un lato, non v’è da dubitare che la ricorrente fosse socio sovventore, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.m. 4 aprile 2001, recante le “Modalità e procedure di partecipazione del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato al capitale sociale delle società finanziarie di cui all’art. 17 della legge 27 febbraio 1985, n. 49” della società poi posta in liquidazione coatta amministrativa; e dall’altro lato, che tutti i finanziamenti di cui si discute, veicolati dal Ministero dello Sviluppo Economico mediante i fondi pubblici conferiti nella Sovicoop, siano stati destinati a finalità di sostegno occupazionale nell’azienda poi sottoposta a procedura concorsuale.
Il decreto dev’essere dunque cassato, con rinvio al tribunale di Parma, per un nuovo giudizio, ed anche per la liquidazione delle spese della fase di legittimità, sulla base del seguente principio di diritto: i finanziamenti erogati dalla compagnie finanziarie ai sensi dell’art. 17 legge 27 febbraio 1985, n. 49, come modificato dall’art. 12 della legge 5 marzo 2001, n. 57 1in qualità di soci sovventori di società cooperative ex art. 4 della legge n. 59 del 1992, non sono soggetti alla postergazione prevista dall’art. 2467 c.c.
Restano assorbite le residue censure.
P.Q.M.
– Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti, cassa il decreto impugnato con rinvio al Tribunale di Parma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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