CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10526 depositata il 20 maggio 2016
FALLIMENTO – LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA – AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELLE GRANDI IMPRESE IN CRISI – FACOLTÀ DI SCIOGLIMENTO DA CONTRATTO D’OPERA PROFESSIONALE – CONFIGURABILITÀ – FONDAMENTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 16/620/7/2010, ha rigettato l’appello di B.M.P., D.R.A. e D.R.F. nei confronti della Compagnia Tirrena di assicurazioni s.p.a. in l.c.a. avverso la sentenza del Tribunale, che aveva respinto la domanda degli eredi di D.R.G., intesa ad ottenere il pagamento della somma di Lire 609.952.624, oltre accessori, sulla deduzione che la societa’, all’epoca in amministrazione straordinaria, aveva esercitato illegittimamente, con la lettera del 15/5/1992, il recesso dal rapporto di prestazione d’opera intellettuale in essere con il de cuius quale consulente medico legale, sottoposto a termine di durata.
La Corte capitolina ha escluso l’applicabilita’ per via di analogia dell’art. 81 L. Fall. dettato per l’appalto, ma ha comunque concluso per l’applicazione del principio di carattere generale previsto dall’art. 72 L. Fall. per la vendita, ritenendo che la procedura aveva optato per il recesso, avvalendosi della manifestazione di volonta’ gia’ posta in essere dalla societa’ in amministrazione straordinaria, come desumibile dal mancato conferimento di incarichi successivamente al 31/5/93; di talche’, o la societa’ in a.s. aveva manifestato legittimamente la facolta’ di recesso con la lettera del 15/5/92, dato che la facolta’ di recesso ad nutum di cui all’art. 2237 c.c. e’ senz’altro derogabile e che non necessariamente l’apposizione di un termine di durata comporta detta deroga, o il recesso era illegittimo, ma allora il rapporto era cessato per l’esercizio legittimo della facolta’ di recesso ex artt. 72 e 201 L. Fall. da parte del commissario liquidatore, a far data dal giugno 1993; in ogni caso, nulla spettava agli appellanti, ed il compenso di fine rapporto infine era previsto solo per il mancato rinnovo alla scadenza.
Ricorrono avverso detta sentenza B. ed altri, con ricorso affidato a due motivi.
Si difende la Compagnia Tirrena di Assicurazioni s.p.a. in l.c.a. con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1.- Col primo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 72 e 201 L. Fall., art. 12 preleggi, artt. 2237 e 1322 c.c..
Censurano l’assimilazione del contratto d’opera alla vendita, e rilevano che, prima della riforma di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006, la L.Fall. individuava tassativamente i contratti rispetto ai quali il fallimento spiega i suoi effetti, e tra questi non vi e’ il contratto d’opera intellettuale; rilevano che la dichiarazione di recesso precede di un anno circa la messa in l.c.a., che non ha valenza liquidatoria ma conservativa del patrimonio aziendale; sostengono che l’unica norma applicabile e’ l’art. 2237 c.c. e che anche nell’applicazione di detta norma la Corte del merito e’ incorsa in errore, atteso che l’art. 2237 c.c. va ritenuto derogabile e concretamente derogato con l’apposizione di un termine finale al contratto.
1.2.- Col secondo, si dolgono del vizio di motivazione quanto agli effetti sostanziali del recesso ad nutum operato dalla Compagnia in a.s., per avere la Corte d’appello ritenuto convalidato tacitamente il recesso avvenuto ad opera dell’amministrazione straordinaria ben oltre un anno prima; deducono che nella sentenza sono state enunciate due prospettive, la prima e’ astratta e per la seconda vale quanto gia’ rilevato e la traslazione temporale del recesso dal maggio 1992 al maggio 1993 per l’ipotetica tacita convalida non trova riscontri di fatto.
2.1.- Il primo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilita’, per quanto di seguito esposto.
E’ opportuno premettere che la sentenza impugnata ha adottato due diversi percorsi argomentativi, che costituiscono due diverse rationes decidendi, rilevando che o la societa’ in amministrazione controllata aveva esercitato legittimamente il recesso ex art. 2237 c.c. pur essendo stabilito nel contratto il termine di durata, o la societa’ in l.c.a. aveva esercitato validamente la facolta’ di scioglimento, con conseguente risoluzione del rapporto, secondo il combinato disposto di cui agli artt. 72 e 201 L. Fall..
Cio’ posto, si deve ritenere infondata la censura dei ricorrenti intesa a far valere il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3 della statuizione addotta come seconda ratio dalla Corte del merito.
Ed infatti, e’ corretto il richiamo alla pronuncia 799/1980, sulla possibilita’ di desumere dall’art. 72 l.f., applicabile alla l.c.a. in forza del richiamo contenuto nell’art. 201 l.f., il principio generale espressivo della facolta’ di sciogliersi dai rapporti pendenti, se non derogato da norme specifiche, quali, ad esempio, l’art. 2119 c.c. per il contratto di lavoro subordinato; in tema, si sono pronunciate le S.U. con la sentenza 4715/1996, in relazione al contratto di somministrazione, affermando che la scelta se subentrare, o non, nel contratto, ed a quali condizioni (scelta che puo’ essere fatta anche per fatti concludenti, quali l’utilizzazione in concreto dell’energia elettrica), costituisce pur sempre una potesta’ che compete al commissario, avvalendosi della disposizione dell’art. 74 l.f., nonche’ della sospensione del rapporto concessa dall’art. 72 L.f.; piu’ di recente, con la pronuncia 2754/2002, e’ stato ribadito che l’art. 72 L. Fall., per quanto dedotto con compravendita, di una regola specifico riferimento al contratto di pone un principio da ritenersi espressione piu’ generale, se non derogato da precise norme, non riscontrabili per il caso del contratto che qui interessa.
E tale facolta’ di scioglimento puo’ risultare anche per fatti concludenti (cfr. tra le ultime la pronuncia 18834/2008, che si e’ espressa nel senso di ritenere che l’esercizio da parte del curatore o di altro organo di procedura concorsuale della facolta’ di scelta tra lo scioglimento o il subingresso nel contratto di somministrazione pendente, ai sensi degli artt. 72 e 74 legge fall., nel testo, vigente “ratione temporis”, anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 5 del 2006, puo’ anche essere tacito, per effetto di fatti concludenti incompatibili con la facolta’ alternativa, non essendosi in presenza di un negozio formale e descrivendo il citato art. 72, comma 2, L. Fall., gia’ prevedente la dichiarazione espressa, solo la condotta legale tipica, nella sua forma ordinaria ma non tassativa.
L’infondatezza della censura rivolta nei confronti della seconda ratio fatta valere dalla Corte d’appello rende inammissibile la censura rivolta nei confronti della prima ratio.
2.2.- Il secondo motivo e’ inammissibile.
La parte censura la pronuncia impugnata operando, per un verso, la commistione tra le due rationes adottate dalla Corte capitolina e, nella parte in cui si rivolge nei confronti della seconda ratio, postula la fondatezza della censura avanzata nel primo motivo e nel resto si rivolge direttamente e quindi inammissibilmente, nei confronti dell’apprezzamento di fatto in ordine all’avvenuto esercizio della facolta’ di scioglimento.
Inammissibili sono le doglianze avanzate nei confronti della prima delle due rationes decidendi.
3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso; le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 10.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
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