CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10550 del 20 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTO – ASSENZA INGIUSTIFICATA – MANCATA COMUNICAZIONE DI MALATTIA – RECIDIVITà DEL COMPORTAMENTO DEL LAVORATORE
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli con la quale, in accoglimento dell’opposizione proposta dalla soc. A., ex art. 1, comma 49, L. n. 92/2012, era stato dichiarato legittimo il licenziamento intimato al dipendente D.S. ai sensi dell’art. 2119 cc nonché degli artt. 42, comma a) punti 1 e 2, e 68, 1° comma, lett. E) 2° comma del CCNL Federambiente.
La Corte ha rilevato che era stato contestato al lavoratore di avere per l’ennesima volta commesso un grave comportamento analogo a quello posto in essere in svariate precedenti occasioni – invio di certificato medico redatto oltre il termine previsto dall’art. 42 comma a), punto 2 ccnl, mancata comunicazione di malattia nel termine di cui all’art.42 comma a) punto 1 del ccnl, assenza ingiustificata per i quali aveva già ricevuto l’irrogazione di ben 58 giorni complessivi di sospensione nel solo anno 2012 ravvisandosi, pertanto, la recidività del suo comportamento.
La Corte esaminate le singole sanzioni disciplinari oggetto della contestazione di recidiva e rilevata soltanto la tardività della sanzione n. 360/2012 adottata il 25/9/2012 in relazione ad assenze per malattia tra il maggio ed il luglio 2012 ; ritenuto che il licenziamento era stato comminato per giusta causa oltre che in relazione all’art. 68, comma 1 lett. a) del CCNL ciascuna norma di per sé legittimante il potere di recesso e che risultava dalla prova svolta l’affissione nella bacheca del codice disciplinare , ha concluso, considerata la contestata recidiva, ravvisando la giusta causa ai sensi dell’art. 2119 cc e la fattispecie prevista dall’art. 68, comma 1, lettera e) comma 2 CCNL. Ha ritenuto che il reiterarsi di violazioni di obblighi contrattuali relativi alla comunicazione e documentazione delle malattie era idoneo a recidere il legame di fiducia e che la sanzione espulsiva era proporzionata considerato il notevole numero di reiterazioni nel ristretto arco temporale.
Avverso la sentenza ricorre il D. con due motivi. Resiste la società A. che deposita anche memoria ex art. 378 cpc.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 7 Stat. Lav., dell’art. 68 CCNL Federambiente.
Censura la sentenza per avere escluso la duplicazione delle contestazioni (violazione del ne bis in eadem) ritenendo che tutte le contestazioni attenessero a fatti distinti e a violazione di norme diverse e mai agli stessi illeciti nonché per aver escluso l’illegittimità delle contestazioni relative ad assenze verificatesi in date anteriori rispetto alla prima contestazione disciplinare n. 434/2012 del 30/8/2012 per la quale non era stata ancora adottata la sanzione disciplinare in violazione del principio di tempestività ed immediatezza della contestazione.
Con il secondo motivo il D. denuncia violazione dell’art.7 Stat. Lav. e dell’art. 68 CCNL nonché vizio di motivazione. Censura la sentenza che ha ritenuto infondate le eccezioni di violazione ed insussistenza della recidiva nonché dei principi di lealtà e correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 per aver omesso di valutare che il datore di lavoro improvvisamente aveva deciso di esercitare il suo potere disciplinare attraverso la contestazione n. 360/2012 in data 25/7/2012 il cui provvedimento sanzionatorio veniva, tuttavia, irrogato solo dopo numerosi giorni (in data 25/9/2012) e successivamente alla contemporanea notifica a mani in data 20/9/2012 di oltre cinque contestazioni disciplinari.
Deduce che la recidiva in tal modo perdeva la sua funzione di prevenzione, che tale comportamento del datore di lavoro integrava violazione dei principi di buona fede e correttezza ed impediva al lavoratore di comprendere la funzione di prevenzione della recidiva e quindi di adottare un comportamento idoneo a preservare il rapporto di lavoro .
I motivi, congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono infondati.
Con le sanzioni disciplinari oggetto della recidiva la soc. A. ha contestato al ricorrente l’invio di certificati medici redatti oltre il termine previsto dall’art. 42 comma a) punto 2 ccnl, la mancata comunicazione di malattia nel termine di cui all’art 42; comma a) punto 1 del ccnl, l’assenza ingiustificata, fatti per i quali al D. erano stati irrogati complessivamente ben 58 giorni di sospensione nel periodo giugno-agosto 2012 per violazione dei doveri e degli obblighi di comunicazione e documentazione delle malattie di cui all’art 42, lett A), commi 1 e 2, del CCNL.
Il ricorrente lamenta la violazione del principio del ” ne bis in idem” poiché, secondo il D., vi erano state più contestazioni disciplinari in ordine ad un medesimo illecito. Si duole , inoltre, che la Corte territoriale aveva ritenuto insussistente alcuna violazione da parte del datore di lavoro dell’art. 7 e dell’art 68 CCNL senza valutare la tardività delle contestazioni nonché il verificarsi della decadenza dal potere disciplinare poiché erano state contestati al lavoratore fatti antecedenti ad altri già oggetto di procedura disciplinare.
In ordine al primo aspetto la Corte territoriale ha esaminato le singole sanzioni disciplinare oggetto di contestazione della recidiva individuando il fatto contestato , escludendo qualsiasi duplicazione ed affermando la regolare e legittima previsione di distinte infrazioni relative a periodi diversi. La censura del ricorrente sul punto è del tutto generica non avendo il D. indicato nulla di specifico a dimostrazione dell’infondatezza delle affermazioni della Corte che ha invece puntualmente indicato, con riferimento a ciascuna sanzione oggetto di contestazione con la recidiva, i fatti contestati, le violazioni poste in essere e l’epoca del verificarsi dei fatti addebitati.
La Corte territoriale ha accertato la tardività solo in ordine alla contestazione n. 360/2012 in relazione a periodi di malattia dal 18/5/ al 22/5 2012, dal 25 al 30 maggio 2012 e dal 29 giugno al 2 luglio 2012 atteso che la contestazione fu comunicata solo il 26/9/2012. Ha invece escluso qualsiasi decadenza o tardività con riferimento alle contestazioni n. 396/2012, e n. 456/2012 ritenendo ragionevole il periodo di tempo trascorso tra il fatto e la sua contestazione considerato il numero elevatissimo di dipendenti della soc. A. (circa 2500) con conseguente necessità di verificare numerosissime assenze per malattia ogni mese , la pausa estiva ed il conseguente rallentamento delle attività nel mese di agosto. Anche con riferimento a tali affermazioni della Corte le censure sono del tutto generiche.
Quanto infine all’affermazione del ricorrente secondo cui la soc.datrice di lavoro in alcuni casi aveva proceduto alla contestazione di fatti verificatisi in epoche precedenti alle sanzioni già contestate o irrogate, il D. ipotizza in tali casi una sorta di rinuncia della società ad esercitare il potere disciplinare o acquiescenza. La Corte territoriale sul punto ha invece correttamente affermato che la circostanza era priva di rilievo pratico considerato che, comunque, si trattava di violazioni diverse e dunque di accertamenti diversi e che non si era verificata alcuna tardività della contestazione. Quanto, infine, al vizio di motivazione deve rilevarsi che la sentenza impugnata è stata depositata dopo rii settembre del 2012 e pertanto al ricorso per cassazione è applicabile, quanto all’anomalia motivazionale, l’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, conv. con L. n. 134 del 2012.
Anche prima della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, costituiva consolidato insegnamento che fosse sempre vietato invocare in sede di legittimità un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché non ha la Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo la valutazione degli elementi probatori attività istituzionalmente riservata al giudice di merito (tra le molte, v. Cass. 17 novembre 2005, n. 23286; Cass. 18 maggio 2006, n. 11670; Cass. 9 agosto 2007, n. 17477; Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. sez. un., 21 dicembre 2009, n. 26825; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197).
Pertanto non può essere invocata una lettura delle risultanze probatorie difforme da quella operata dalla Corte territoriale, essendo la valutazione di tali risultanze – al pari della scelta di quelle, tra esse, ritenute più idonee a sorreggere la motivazione – un tipico apprezzamento di fatto, riservato in via esclusiva al giudice del merito: il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza peraltro essere tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (per tutte: Cass. 20 aprile 2012, n. 6260).
Nel sistema, l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto. Con esso si è invero avuta (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. In questo contesto, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le partì e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Tanto comporta (Cass. Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881) che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; mentre in ogni caso, la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso. Ne consegue che la ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito è ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili; mentre non si configura un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ove quest’ultimo sia stato comunque valutato dal giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e quindi anche di quel particolare fatto storico, se la motivazione resta scevra dai gravissimi vizi appena detti. E a dir poco evidente che, nella fattispecie, una ricostruzione del fatto pienamente sussiste e che la decisione non è affetta dai vizi appena indicati come soli ormai rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’attuale formulazione.
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente a pagare le spese del presente giudizio. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dpr n 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento , da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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