CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10715 depositata il 24 maggio 2016
SOCIETÀ DI PERSONE – SOCIETÀ IN NOME COLLETTIVO – RAPPORTI TRA SOCI – DIVIETO DI CONCORRENZA – ESTENSIONE AI SOCI ACCOMANDATARI DI SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE – FONDAMENTO – APPLICAZIONE AI SOCI ACCOMANDANTI – ESCLUSIONE – LIMITI
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
1.- Danile Antonella, in proprio e nella qualità di amministratore unico della s.a.s. “D.. – Studio Fisiokinesi-terapico”, ha proposto ricorso per cassazione – formulando sette motivi – contro la sentenza non definitiva in data 19.7.2012 con la quale la Corte di appello di Palermo ha rigettato il suo appello incidentale contro la decisione di primo grado – nella parte in cui era stata disattesa la sua richiesta di cancellazione dal ruolo di più cause riunite per non essere le parti comparse dinanzi al collegio in udienza nella quale i magistrati avevano aderito all’astensione dalla partecipazione alle udienze proclamata dall’ANM. Con la stessa sentenza la corte di merito, in accoglimento dell’appello principale proposto dai soci accomandanti S. C., C. G. e L.P. A., in parziale riforma della decisione del tribunale, ha annullato la delibera (del 31.8.2004) di esclusione dei predetti soci dalla s.a.s., ritenendo che fosse giustificata la loro mancata partecipazione all’assemblea per non essere stati messi in grado di visionare la documentazione relativa ai bilanci da approvare mentre era insussistente la contestata violazione della collaborazione con società concorrente perché il divieto di concorrenza di cui all’art. 2301 c.c. non è applicabile al socio accomandante ai sensi degli artt. 2315 e 2318 c.c.
Resistono con controricorso S. C., C. G. e L.P. A.. Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. le parti hanno depositato memoria.
1.1.- Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del controricorso – perché notificato presso la cancelleria – sollevata nella memoria dalla ricorrente essendo nella concreta fattispecie applicabile il principio per il quale nel giudizio per cassazione, a seguito delle modifiche dell’art. 366 cod. proc. civ. introdotte dall’art. 25 della legge 12 novembre 2011, n. 183, qualora il ricorrente non abbia eletto domicilio in Roma ed abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria – così come è avvenuto nella concreta fattispecie – è valida la notificazione del controricorso presso la cancelleria della Corte di cassazione, perché, mentre l’indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni è idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto può affermarsi nell’ipotesi in cui l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25215 del 27/11/2014 e successive conformi). Nel ricorso, inoltre, è espressamente eletto domicilio in Agrigento (v. procura speciale a margine del ricorso).
Per mera completezza, poi, va ricordato che – come è stato rilevato in dottrina – nell’interpretazione di espressioni del linguaggio ordinario che sono state tecnicizzate nel discorso giuridico acquisendo un significato diverso da quello comune, il significato medesimo va desunto dai testi normativi o dall’uso dei giuristi, e, nel caso in esame, è sufficiente il raffronto tra l’art. 136 cod. proc. civ. in tema di “comunicazioni” e l’art. 137 cod. proc. civ. in tema di “notificazioni” per escludere che parte ricorrente si volesse riferire, con il termine comunicazioni, indifferentemente, all’una o all’altra forma richiesta dalla legge – diverse sotto il profilo soggettivo e oggettivo – per portare a conoscenza di una parte un determinato atto.
1.2.- Inammissibile, poi, è la produzione di atti e documenti mediante inserimento in fotocopia nel ricorso da pag. 60 a pag. 406 mentre è infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di specialità della procura, posto che questa è apposta a margine del medesimo ricorso e tanto appare sufficiente a integrare la specialità ex art. 365 c.p.c.
2.- Con i primi quattro motivi la ricorrente – denunciando violazione di norme di diritto, vizio di motivazione e nullità della sentenza – censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il proprio motivo di appello incidentale con il quale aveva dedotto che all’udienza del 14 luglio 2005 le cause, poi riunite, avrebbero dovuto essere cancellate dal ruolo perché il tribunale, stante l’adesione di tutti i componenti all’astensione dalle udienze proclamata dall’A.N.M., ha rinviato le cause a udienza successiva nella quale erroneamente è stata disattesa la sua richiesta di cancellazione della causa dal ruolo, non essendo le parti comparse all’udienza rinviata. La censura – avente natura di violazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. – abilita la Corte all’accesso agli atti e, dunque, all’esame diretto del verbale dell’udienza del 14 luglio 2005, dal quale risulta che “il tribunale, preliminarmente dà atto che tutti i componenti aderiscono allo sciopero indetto dall’A.N.M.” …, quindi, “rinvia al 10.11.2005”. Appare evidente che nessuna attività processuale si è svolta nell’udienza predetta, sì che, ammessa la mancata comparizione di tutte le parti, il tribunale neppure avrebbe potuto ordinare la cancellazione della causa dal ruolo.
In altri termini, il rinvio – disposto senza che fosse verbalizzata la presenza o meno delle parti (e non importa che in altra causa ciò sia avvenuto, come deduce la ricorrente) – equivale ad un rinvio d’ufficio e l’unica doglianza che le parti avrebbero potuto muovere sarebbe stata quella della mancata comunicazione del rinvio all’udienza successiva ma in questa le parti sono comparse regolarmente e la richiesta dell’odierna ricorrente di ordinare la cancellazione della causa dal ruolo è stata correttamente disattesa dal tribunale, prima, e dalla corte di appello dopo.
Invero, la cancellazione della causa dal ruolo presuppone la diserzione di una udienza regolarmente tenuta mentre a causa dello sciopero, dei magistrati o anche degli avvocati, si determina un impedimento allo svolgimento dell’udienza (per lo sciopero degli avvocati cfr. Sez. 2, Sentenza n. 11293 del 16/11/1993).
Né rileva la motivazione esibita dalla sentenza impugnata, stante la natura del vizio denunciato. Infatti, jn tema di “errores in procedendo”, non è consentito alla parte interessata di formulare, in sede di legittimità, la censura di omessa motivazione, spettando alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato, o meno, il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto. Né il mancato esame, da parte di quel giudice, di una questione puramente processuale può dar luogo a omissione di pronuncia (nella concreta fattispecie denunciata con il quarto motivo), configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (Sez. l, Sentenza n. 22952 del 10/11/2015).
I primi quattro motivi, dunque, là dove non sono inammissibili per quanto innanzi detto, sono infondati.
3.- Con successivi motivi la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto, vizio di motivazione e nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., lamentando l’erroneità dell’accoglimento della domanda di annullamento della delibera di esclusione. Osserva la Corte che tali censure, per la parte in cui ricostruiscono le contestazioni mosse dai soci esclusi alla ricorrente (ricorso, pagg. 35-46) sono inammissibili perché del tutto eccentriche rispetto alla ratio della decisione impugnata.
E’ del tutto inammissibile, poi, la censura che sostiene l’inapplicabilità dell’art. 2261 c.c. alla società in accomandita semplice, posto che la motivazione della sentenza impugnata è fondata su altri argomenti e, soprattutto, sulla norma di cui all’art. 2320, comma 3, c.c.
Talché, dall’applicazione di tale ultima norma e, dunque, del diritto del socio di verificare la contabilità (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 8407 del 13/06/2002, proprio in relazione a una s.a.s. e al socio accomandante) correttamente la corte di merito ha ritenuto giustificato il comportamento dei soci accomandanti i quali si sono rifiutati di partecipare all’assemblea per l’approvazione dei bilanci senza essere stati messi nelle condizioni per il controllo dei relativi documenti. Invero, l’ultimo coma dell’art. 2320 c.c. dispone che in ogni caso i soci accomandanti “hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l’esattezza consultando i libri e gli altri documenti della società”. Diritto che, come ha accertato la corte di merito, è stato in concreto violato nei confronti dei resistenti.
La sentenza, inoltre, muove dalla specifica previsione statutaria (art. 7) che prevedeva la sottoposizione del rendiconto e del bilancio all’approvazione di tutti i soci. Generica, poi, e, quindi, priva di specificità, appare la censura (pag. 47 e s.) relativa alla mancata indicazione dei comportamenti contestati ai soci esclusi nella delibera di esclusione, posto che la ricorrente si limita a richiamare il contenzioso pregresso e ad affermare semplicemente che la motivazione dell’esclusione era sufficientemente specifica in contrasto con quanto ritenuto dalla corte di merito, con accertamento in fatto adeguatamente motivato. Quanto al divieto di concorrenza, la corte di merito ha correttamente applicato il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale il divieto di concorrenza, previsto dall’art. 2301 cod. civ. con riguardo ai soci di società in nome collettivo, è applicabile nei confronti dei soli soci accomandatari di società in accomandita semplice, che per il combinato disposto degli artt. 2315 e 2318 cod. civ. hanno i diritti e gli obblighi dei soci della società in nome collettivo, e non anche per i soci accomandanti, salvo che per questi ultimi non sia pattiziamente previsto con una disposizione contenuta nel contratto sociale (Sez. 1, Sentenza n. 2887 del 16/06/1989). Patto che, dalla sentenza impugnata, non risulta esistente nella concreta fattispecie.
Infine, l’ultimo motivo concerne una delibera sulla quale la Corte di appello non ha pronunciato, avendo rimesso la causa in istruttoria, sì che le relative censure sono inammissibili.
Il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis, dell’articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condA. la ricorrente – nella spiegata qualità – al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 coma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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