CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10731 del 24 maggio 2016
LAVORO – APPALTO DI SERVIZI – COMMITTENTE PRIVATO – RESPONSABILITA’ SOLIDALE CON L’APPALTATORE PER I TRATTAMENTI RETRIBUTIVI E I CONTRIBUTI PREVIDENZIALI
Fatto
Con sentenza 13 marzo 2013, la Corte d’appello di Cagliari, s.d. di Sassari, rigettava l’appello proposto da T. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto l’opposizione avverso il decreto con cui lo stesso Tribunale aveva ingiunto ad essa e alla datrice (…) s.c.ar.l. (contumace in entrambi i gradi), in via solidale ai sensi dell’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003 (quale committente nel rapporto di appalto con la seconda per i servizi e le pulizie del materiale rotabile del lotto 15 Sardegna), il pagamento, in favore di (…) dipendente della società appaltatrice (che vi aveva lavorato da aprile 2006 a dicembre 2010), della somma di € 11.972,93 a titolo di T.f.r., ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità, indennità per ferie non godute, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.
A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva l’infondatezza dell’appello, meramente ripropositivo di argomentazioni già disattese dal primo giudice, ribadendo in particolare l’applicabilità alla committente, in quanto soggetto privato, del regime di solidarietà previsto dall’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003 (e non del d.lg. 163/2006, recante codice degli appalti pubblici) e l’infondatezza della prospettata questione di (illegittimità costituzionale della prima norma citata, nell’insussistenza di violazioni di alcun parametro, né sotto il profilo dell’art. 3, né dell’art. 24 Cost o di eccesso di delega. Essa rilevava poi l’assenza di contestazioni sulla qualità di lavoratrice nell’appalto di (…) e (…) neppure sull’entità della retribuzione ed infine riteneva l’inammissibilità, per novità, della differente natura (risarcitoria) dell’indennità sostitutiva delle ferie, pertanto da escludere dall’obbligo di solidarietà legale.
Con atto notificato il 1° giugno 2013, T. s.p.a. ricorre per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.; (…) – e (…) s.c.ar.l. sono rimasti intimati.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 29 d.lg. 276/2003, 118, sesto comma d.lg. 163/2006 e 5 d.p.r. 207/2010, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per la propria soggezione, in quanto “ente aggiudicatore nel campo dei servizi ferroviari” (secondo l’all. D al d.lg. 163/2006) in relazione ai servizi sussidiari prestati per il settore trasporti (pulizia dei rotabili ferroviari e altri servizi connessi), al regime di responsabilità previsto dal citato decreto, di disciplina degli appalti pubblici, modulato sulla solidarietà solo tra appaltatore e subappaltatore, nel coinvolgimento del committente soltanto nei limiti della disciplina generale prevista dall’art. 1676 c.c.
Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 29 d.lg. 276/2003, 2094 e 2099 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea inclusione nel regime di garanzia solidale del committente nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto, previsto soltanto per i “trattamenti retributivi”, anche del credito per T.f.r., non riconducibile a detta nozione, come comprovato dalla successiva modificazione della norma denunciata, per effetto dell’art. 21, primo comma d.l. 5/2012, conv. con mod. in L. 35/2012, correttamente ritenuto non applicabile, estensivo della garanzia legale per i trattamenti retributivi “comprese le quote di trattamento di fine rapporto … in relazione ai periodo di esecuzione del contratto di appalto”.
Con il terzo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 437 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea assunzione della novità in appello della dedotta esclusione dalla garanzia solidale prevista dall’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003 per l’indennità sostitutiva delle ferie, in quanto di natura risarcitoria: non già eccezione in senso stretto, ma mera integrazione in diritto di una negazione in fatto tempestivamente introdotta in primo grado, con la contestazione dell’applicabilità alla fattispecie della normativa invocata a fondamento della pretesa della lavoratrice.
Con il quarto, la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia sul motivo di appello riguardante il difetto di legittimazione passiva dell’appaltatrice datrice (…) s.c.ar.l. (e, di conseguenza, propria), in ragione del trasferimento del debito per T.f.r., con decorrenza dal gennaio 2007, secondo le illustrate modalità previste dal d.lg. 252/2005, al Fondo di Tesoreria istituito presso l’Inps.
In via preliminare deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso nei confronti di s.c.ar.l., in quanto non notificatole, non avendo avuto seguito l’omessa notificazione “perché trasferita altrove come da informazioni ivi assunte”, secondo la risultanza della relazione dell’ufficiale giudiziario del 31 maggio 2013.
La scindibilità delle cause, per la natura solidale della responsabilità della committente T. s.p.a. e dell’appaltatrice (…) s.c.ar.l. nei confronti del lavoratore dipendente della seconda, comporta la formazione del giudicato sulla sentenza della Corte territoriale nei soli confronti della parte non attinta dalia notificazione del ricorso (Cass. 19 luglio 2004, n. 13334).
Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 29 d.lg. 276/2003, 118, sesto comma d.lg. 163/2006 e 5 d.p.r. 207/2010, per la soggezione di T. s.p.a. al regime di responsabilità previsto dal codice di disciplina degli appalti pubblici, è infondato.
Esso pone la questione della compatibilità tra le due normative di disciplina della materia dell’occupazione e del mercato del lavoro e quindi della tutela delle condizioni dei lavoratori (d.lg. 276/2003) e dei contratti pubblici (d.lg. 163/2006) e dei relativi regimi di « responsabilità: solidale del committente con l’appaltatore per i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali da questo dovuti ai suoi lavoratori dipendenti (art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003); diretta dell’appaltatore nei confronti dei propri dipendenti e solidale con i subappaltatori per i loro per l’osservanza integrale del trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e la zona di esecuzione delle prestazioni (art. 118, sesto comma d.lg. 163/2006) e sostitutiva del committente (stazione appaltante) in caso di inadempienza contributiva e retributiva dell’esecutore e dell’appaltatore (artt. 4 e 5 d.p.r. 207/2010, recante regolamento di esecuzione ed attuazione del d.lg. 163/2006, codice dei contratti pubblici).
Come noto, la questione è stata risolta negativamente da un recente arresto di questa Corte (Cass. 7 luglio 2014, n. 15432) in riferimento alle pubbliche amministrazioni (nel caso di specie: ministero della giustizia). E ciò appare chiaro fin dall’esordio della sua parte motiva, secondo cui: “La questione centrale per il presente giudizio è rappresentata dallo stabilire se la delineata disciplina della responsabilità solidale tra committente e appaltatore sia applicabile anche agii appalti pubblici e, conseguentemente, se gli obblighi posti in capo al committente dall’art. 29 d.lg. 276/2003 si applichino anche nell’ipotesi in cui lo stesso sia una pubblica amministrazione”.
In esito ad un articolato procedimento argomentativo, di individuazione delle disposizioni regolanti i rapporti tra i soggetti coinvolti nell’appalto pubblico e l’osservanza dei loro obblighi retributivi e contributivi (“Dall’insieme di tali disposizioni” – essenzialmente quelle sopra citate – “si desume che a garanzia dei crediti retributivi e contributivi dei lavoratori impegnati negli appalti – o nei subappalti – pubblici sono previsti specifici strumenti che, se attivati nei tempi e nei modi prescritti, consentono agli interessati di avere direttamente dall’amministrazione committente il pagamento delle retribuzioni dovute dal loro datore di lavoro anche in corso d’opera. Al contempo, con l’attivazione di tale tutela speciale, il lavoratore può consentire al committente di applicare le opportune sanzioni … aI datore di lavoro inadempiente ed ottenere un ristoro pieno del proprio credito per le retribuzioni corrisposte ai lavoratori, obiettivo raggiungibile anche “detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’esecutore deI contratto ovvero dalle somme dovute al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto ai sensi degli art. 37, comma 11, ultimo periodo e art. 118, comma 3, primo periodo del codice”), da cui trae la constatazione della più rigorosa disciplina del codice degli appalti (anche) a tutela della natura pubblica della committenza (“Da tutto ciò si desume che il mancato pagamento delle retribuzioni nell’ambito di un appalto pubblico è, dal legislatore, considerato più grave deI mancato pagamento delle retribuzioni nell’ambito di un appalto privato, perché la questione non riguarda solo i lavoratori, ma anche l’appaltatore inadempiente, nel suo rapporto con il committente pubblico”), la Corte, previsto in via sussidiaria il ricorso dei lavoratori alla tutela stabilita dall’art. 1676 c.c. (“che in base ad orientamenti consolidati e condivisi di questa Corte, è applicabile anche ai contratti di appalto stipulati con le pubbliche amministrazioni”), risolve la questione nel senso detto, di inapplicabilità della responsabilità prevista dall’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003 alle pubbliche amministrazioni con l’affermazione del seguente principio di diritto: “per i contratti pubblici di appalto relativi a lavori, servizi e forniture, in caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni o dei contributi dovuti al personale dipendente dell’esecutore o del subappaltatore o dei soggetti titolari di subappalti e cottimi di cui all’art. 118, comma 8, ultimo periodo, del relativo codice, di cui al D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, i lavoratori devono avvalersi degli speciali strumenti di tutela previsti dai codice citato, le cui modalità di utilizzazione sono determinate, in particolare, dagli artt. 4 (per i contributi) e 5 (per le retribuzioni) del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (recante il Regolamento di esecuzione ed attuazione del suddetto codice). Tale disciplina che, peraltro, consente agli interessati di recuperare – anche in corso d’opera – quanto dovuto, è articolata in modo tale da dimostrare che, nell’ambito degli appalti pubblici, il legislatore attribuisce allo scorretto comportamento tenuto dal datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti un disvalore maggiorato dal fatto di considerarlo anche lesivo degli interessi pubblici al cui migliore perseguimento è preordinata la complessiva disciplina regolatrice degli appalti pubblici. Ne consegue che alla suindicata fattispecie non è applicabile il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, come peraltro stabilisce il precedente art. 1, comma 2, che esclude che il decreto stesso sia applicabile “per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale” e come, di recente ha confermato dal D.L. 28 giugno 2013, n. 76, art. 9, comma, (convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 99). Viceversa nel caso di mancata utilizzazione da parte dei lavoratori degli strumenti previsti dalla suindicata normativa speciale, è possibile fare ricorso, in via residuale, alla tutela di cui all’art. 1676 cod. civ., che in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, è applicabile anche ai contratti di appalto stipulati con le pubbliche amministrazioni”.
E ciò si spiega per l’espresso divieto di applicazione del d.lg. 276/2003 alle pubbliche amministrazioni, a norma del suo art. 1, secondo comma {“Il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale”), ulteriormente ribadito da quello più specifico introdotto dall’art. 9, primo comma d.l. 76/2013 conv. con mod. in L. 99/2013 (inapplicabile ratione temporis, ma utilizzabile in via interpretativa, come anche ritenuto da Cass. 7 luglio 2014, n. 15432), secondo cui: “Le disposizioni di cui all’articolo 29, comma 2 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modificazioni … non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” (secondo cui: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”).
Ma un analogo divieto di applicazione dell’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003 non esiste nei confronti dei soggetti privati, quale T. s.p.a.,, cui pure si applica il codice dei contratti pubblici, nella sua qualità di “ente aggiudicatore”, secondo la definizione dell’art. 3, ventinovesimo comma d.lg. 163/2006 (nel campo dei servizi ferroviari in base all’allegato VI D ed ai fini dell’applicazione della parte III, artt. 206 ss., secondo la previsione dell’art. 3, trentesimo comma d.lg. cit.) e quindi anche l’art. 118, sesto comma, neppure essendo la norma in esame stata abrogata dall’art. 256 d.lg. cit.
Giova poi ancora sottolineare come il codice dei contratti pubblici non contenga una disciplina di legge autosufficiente, in sé esaustiva né aliunde integrabile: al contrario, esso è compatibile con disposizioni ad esso esterne, come chiaramente denunciato dal rinvio, per quanto in esso non espressamente previsto in riferimento all’attività contrattuale, alle disposizioni stabilite dal codice civile (art. 2, quarto comma d.lg. 163/2006). E proprio in virtù di un tale rimando, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, cui è preclusa per espresso divieto di legge l’integrazione con il d.lg. 276/2003, si è ritenuto applicabile il regime di garanzia dei lavoratori (più in generale degli ausiliari) dell’appaltatore previsto dall’art. 1676 c.c. (ancora da Cass. 7 luglio 2014, n. 15432).
Sicché, ben a ragione si deve ritenere applicabile il regime di responsabilità solidale stabilito dall’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003 a quei soggetti privati, quale T. s.p.a., anche qualora committenti in appalti pubblici, alla cui disciplina pure siano soggetti.
Ed infatti, nessuna incompatibilità è ravvisabile tra le due discipline.
Il d.lg. 276/2003 regola la materia dell’occupazione e del mercato del lavoro, sul piano della tutela delle condizioni dei lavoratori, con riserva di una più forte protezione ad essi, titolari di un’azione diretta nei confronti (in via solidale con il proprio datore di lavoro) del committente per ottenere i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti in dipendenza dell’appalto e non soltanto, come a norma dell’art. 5, primo comma d.p.r. 207/2010, le retribuzioni arretrate (peraltro nei limiti delle somme dovute all’esecutore del contratto ovvero al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto, con detrazione da queste del loro importo): e ciò non per riconoscimento di un proprio diritto, ma per esercizio di una facoltà (“possono pagare anche in corso d’opera”) attribuita ai soggetti indicati dall’art. 3, primo comma, lett. b) d.p.r. cit. (“amministrazioni aggiudicatrici, organismi di diritto pubblico, enti aggiudicatori, altri soggetti aggiudicatori, soggetti aggiudicatori e stazioni appaltanti: i soggetti indicati rispettivamente dall’art. 3, commi 25, 26, 29, 31, 32 e 33, del codice”).
Il d.lg. 163/2006 opera, invece, sul diverso piano della disciplina degli appalti pubblici, anche apprestando una tutela ai lavoratori, nei limiti detti, in corso d’opera, ma con più intensa concentrazione sull’esecuzione dell’appalto in conformità a tutti gli obblighi previsti dalla legge: e ciò mediante un costante monitoraggio dell’osservanza del loro regolare adempimento a cura dell’appaltatore e dei suoi subappaltatori, per effetto di una disciplina sintomatica di una più preoccupata attenzione legislativa alla corretta esecuzione dell’appalto pubblico, siccome non riguardante soltanto diritti dei lavoratori, ma anche l’appaltatore inadempiente nel suo rapporto con il committente pubblico (come osservato anche da Cass. 7 luglio 2014, n. 15432).
Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente la possibilità di un concorso, nei confronti di un imprenditore soggetto di diritto privato come T. s.p.a., delle due discipline, in assenza di un espresso divieto di legge e tra loro, per le ragioni dette, ben compatibili.
Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 29 d.lg. 276/2003, 2094 e 2099 c.c., per erronea inclusione nel regime di garanzia solidale del committente nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto anche del credito per T.f.r., è infondato. Ed infatti, esso deve a pieno titolo essere compreso tra i “trattamenti retributivi” previsti dall’art. 29 d.lg. 276/2003 (in questo senso, in più specifico riferimento all’individuazione del giudice competente da adire dal lavoratore che, deducendo l’illegittimità della trattenuta sulla retribuzione effettuata a titolo di T.f.r. e di indennità di mancato preavviso, agisca contro l’appaltatore e il committente, facendo valere nei confronti di quest’ultimo la responsabilità solidale con il primo ai sensi dell’art. 29, secondo comma d. lg. cit.: Cass. 31 luglio 2013, n. 18384).
E ciò per il carattere retributivo e sinallagmatico del T.f.r., che ne costituisce la natura di istituto di retribuzione differita (Cass. 8 gennaio 2016, n. 164; Cass. 14 maggio 2013, n. 11479; Cass. 22 settembre 2011, n. 19291, con particolare riguardo a cessione d’azienda soggetta al regime previsto dall’art. 2112 c.c.).
Una tale interpretazione ha quindi trovato conferma, sul piano del diritto positivo, nell’esplicita previsione nell’inclusione delle quote di T.f.r. nei trattamenti retributivi, in relazione ai periodi di esecuzione dell’appalto, del cui pagamento solidalmente responsabile il committente, ai sensi dell’art. 29 d.lg. 276/2003, come modificato dall’art. 21, primo comma d.l. 5/2012 conv. con mod. in L. 35/2012.
Il terzo motivo, relativo a violazione dell’art. 437 c.p.c., per erronea assunzione della novità in appello della dedotta esclusione dalla garanzia solidale prevista dall’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003 per l’Indennità sostitutiva delle ferie, in quanto di natura risarcitoria, è infondato.
La generica prospettazione di integrazione “in diritto” senza alterazione delle allegazioni introdotte in primo grado (penultimo capoverso di pg. 26 del ricorso), indubbiamente carente sotto il profilo dell’autosufficienza per la mancata specifica indicazione e trascrizione della allegazione tempestivamente dedotta in primo grado (Cass. 9 aprile 2013, n. 8569; Cass. 16 marzo 2012, n. 4220), non assolve all’obbligo di puntuale dimostrazione della tempestiva contestazione a pena di decadenza, ai sensi dell’art. 416 c.p.c. Né, d’altro canto, il divieto di nova in appello, ai sensi dell’art. 437 c.p.c., riguarda soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma anche le contestazioni nuove, non esplicitate in primo grado: e ciò per l’evidente modificazione dei temi di indagine (e trasformazione del giudizio di appello da revisio prioris instantiae in iucficium novum, estraneo al vigente ordinamento processuale), con alterazione cosi della parità delle parti, comportando l’esposizione dell’altra parte all’impossibilità di chiedere l’assunzione di quelle prove alle quali, in ipotesi, abbia rinunciato, confidando proprio nella mancata contestazione ad opera de [l’avversa rio (Cass. 28 febbraio 2014, n. 4854; Cass. 10 giugno 2009, n. 13369; Cass. 22 febbraio 2008, n. 4583).
Il quarto motivo, relativo a violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul motivo di appello di difetto di legittimazione passiva dell’appaltatrice datrice (…) s.c.ar.l. (e, di conseguenza, della ricorrente) per il trasferimento del debito per T.f.r. con decorrenza dal gennaio 2007 al Fondo di Tesoreria istituito presso l’Inps, è inammissibile. Su detta legittimazione è, infatti, precluso ogni esame, per la formazione di giudicato interno, ben rilevabile d’ufficio (Cass. 18 marzo 2014, n. 6246), al pari di quello esterno (Cass. 16 marzo 2010, n. 6326; Cass. s.u. 25 maggio 2001, n. 226) sull’accertamento di legittimazione passiva di G. s.c.a.r.l. E. (Cass. 16 ottobre 2015, n. 20928; Cass. 27 ottobre 2014, n. 22781), a seguito dell’accertata inammissibilità del ricorso nei suoi confronti per omessa notificazione.
Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’inammissibilità del ricorso nei confronti di (…) s.c.ar.l, ed il suo rigetto nei confronti di (…); senza alcun provvedimento sulle spese, per la mancata costituzione in giudizio delle parti vittoriose.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di (…) s.c.ar.l. e lo rigetta nei confronti dì nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater d.p.r. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.