CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10742 del 24 maggio 2016
LAVORO – CONTRATTO A TERMINE – INSUSSISTENZA DELLE RAGIONI GIUSTIFICATIVE DEL TERMINE – INSTAURARSI DI UN RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO
Fatto
Con sentenza dell’1.4-17.5.2010 la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da P.I. spa nei confronti di S.G. avverso la sentenza nr. 3938/2006 del Tribunale di Roma, che aveva dichiarato la nullità del termine finale di durata apposto al contratto stipulato tra le parti ai sensi dell’art. 1 del D.lvo n. 368 del 2001 per il periodo dal 14 luglio 2004 al 30 ottobre 2004 “per ragioni di carattere sostitutivo, correlate atta specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’area operativa e addetto aI servizio di recapito e trasporto presso la filiale di Messina 2, assente con diritto alla conservazione dei posto di lavoro”.
La Corte, dichiarato inammissibile il motivo di appello formulato in ordine alla specificità della causale, in quanto inconferente rispetto alle ragioni di accoglimento della domanda in primo grado, riteneva carente la allegazione delle circostanze di fatto idonee a provare non solo la effettiva esistenza della ragione sostitutiva Indicata nel contratto ma anche il rapporto di causalità tra tale esigenza e la assunzione a termine del Segreto.
A tale fine, a giudizio della Corte Territoriale, Poste Italiane avrebbe dovuto indicare nella memoria difensiva: le specifiche ragioni delle assenze del personale sostituito, la loro esatta durata, il numero e la collocazione aziendale del personale assente nell’ambito della realtà lavorativa cui il S. era stato addetto.
Stante la genericità delle allegazioni contenute nella memoria difensiva, correttamente il Tribunale aveva ritenuto inammissibile la prova testimoniale articolata.
La Corte rigettava altresì il motivo di appello relativo alla assunta nullità dell’intero contratto per effetto della ritenuta nullità della clausola del termine.
Da ultimo rigettava l’appello incidentale proposto dal S. in merito alla individuazione della decorrenza del risarcimento del danno dalla data di messa in mora alla data della sentenza.
Avverso la sentenza propone ricorso la s.p.a. P.I., articolato in tre motivi.
Resiste con controricorso S.G., illustrato da memoria.
Diritto
l. Con il primo motivo la società P.I. denunzia – ai sensi dell’art. 360 co. 1 nr. 3 c.p.c. – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 per avere l’impugnata sentenza affermato che per ritenere soddisfatto il requisito formale di cui al comma due dell’articolo 1 era necessario inserire nel testo contrattuale elementi sufficienti al controllo della reale esistenza delle ragioni sostitutive.
Il motivo è inammissibile in quanto inconferente rispetto ai contenuti della decisione
Nella sentenza oggetto di ricorso non è affatto ritenuta la violazione del requisito di specificità della causale; la Corte di merito ha anzi dichiarato inammissibile il motivo di appello articolato sullo stesso punto da P.I., rilevando che già nel primo grado l’accoglimento della domanda era stato fondato non già sul rilievo di un vizio di forma della clausola del termine ma sulla omessa allegazione di elementi di fatto idonei a dimostrare la effettività della causale.
2. Con il secondo motivo la società ricorrente denunzia.- ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 cc.
Censura la sentenza per avere affermato che era onere della società allegare specifiche circostanze di fatto idonee a provare non solo la effettiva sussistenza della temporanea esigenza sostitutiva richiamata nella clausola di durata ma anche il rapporto di causalità tra tale esigenza e la singola assunzione.
Assume che ai sensi dell’articolo 2697 c.c. è il lavoratore che agisce per l’accertamento della illegittimità della apposizione del termine ad avere l’onere di provare l’insussistenza delle ragioni poste dal datore di lavoro a fondamento della clausola del termine; il carattere negativo del fatto da provare non determinava infatti la inversione dell’onere probatorio.
Sotto il profilo della violazione dell’articolo 115 c.p.c. assume che la Corte territoriale era incorsa in vizio della motivazione e violazione dell’articolo 115 c.p.c. per non avere preso in esame le richieste istruttorie avanzate dalla società in primo grado- reiterate in appello- volte ad offrire la prova che nel periodo in considerazione i lavoratori a termine complessivamente assunti avevano coperto solo in minima parte le giornate di assenza del personale a tempo indeterminato.
Il motivo è infondato quanto alla dedotta violazione della regola di riparto dell’onere probatorio di cui all’articolo 2697 cc.
Questa Corte si è già pronunziata nel senso che l’onere dì provare le ragioni obiettive poste a giustificazione della clausola appositiva del termine grava sul datore di lavoro e deve essere assolto sulla base delle istanze istruttorie dallo stesso formulate (v. Cass. n. 2279/10; Cass. 21 maggio 2008 n. 12985), rilevando come anche anteriormente alla esplicita introduzione del comma “premesso” dalle L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 39 (secondo cui “il contratto di lavoro subordinato è stipulato dì regola a tempo indeterminato”) il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo pur sempre l’apposizione del termine una ipotesi derogatoria.
La attribuzione dell’onere probatorio al datore di lavoro trova conferma, poi, nel dato relativo alla “vicinanza” al datore dì lavoro delle situazioni che consentono la deroga, anch’essa elemento normalmente significativo del conseguente carico probatorio in giudizio.
Per quanto attiene al vizio di violazione dell’articolo 115 c.p.c. si precisa che l’errore di diritto viene in rilievo solo in caso di violazione delle regole di formazione della prova ovvero quando il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (articolo 115 c.p.c.).
La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il suo potere diprudente apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5.
In sostanza, la erroneità della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, regolata dagli art. 115 e 116 c.p.c., ridonda in vizio deducibile ex art. 360, n. 5, c.p.c. (Cassazione civile, sez. III, 13/06/2014, n. 13547).
Nella fattispecie in esame il motivo, cosi correttamente riqualificato è inammissibile.
Per assolvere all’onere di specificità imposto, a pena di inammissibilità, dall’articolo 366 nr. 6 c.p.c. parte ricorrente avrebbe dovuto indicare in ricorso i capitoli di prova formulati e non ammessi nonché l’atto in cui erano stati articolati onde consentire a questa Corte di valutare la tempestività della allegazione la sua specificità e la sua decisività.
La società ricorrente si duole della mancata ammissione delle istanze istruttorie ma non provvede in alcun modo a specificarle.
3. Con il terzo motivo di ricorso la società lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 2 e 5 DLvo 368/2001 in relazione all’art. 1419 cc.
La censura si riferisce al rigetto della dedotta nullità dell’intero contratto di lavoro.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha da tempo rilevato (Cassazione civile, sez. lav., 27/03/2014 n. 7244; n. 2279/2010; 21/05/2008, n. 12985) che pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza di ragioni giustificatrici o la nullità della clausola che le individui, dal “sistema” nel suo complesso e dai principi generali si ricava la nullità parziale della clausola del termine, conformemente a quanto statuito dalla Corte di merito. Come già rilevato in punto di attribuzione dell’onere della prova, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
“Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonché alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (Cass. 27/03/2014 n. 7244).
Il ricorso deve essere pertanto respinto.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, con attribuzione dell’Avv. G.C. per dichiarato anticipi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 100,00 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con attribuzione.
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