CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 11000 depositata il 27 maggio 2016
TRIBUTI – CONTENZIOSO TRIBUTARIO – CONTRASTO MOTIVAZIONE E DISPOSITIVO
RITENUTO IN FATTO
La Guardia di Finanza eseguiva una verifica fiscale nei confronti della Impresa F. s.r.l., esercente attività di lavori speciali di costruzione, rilevando le violazioni riportate nel processo verbale di constatazione del 19.12.2006.
Sulla base dei dati contenuti nel verbale, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società verificata due avvisi di accertamento con i quali, per l’anno di imposta 2004, accertava un reddito di impresa di euro 299.384 a fronte di un reddito dichiarato di euro 143.821; per l’anno di imposta 2003 accertava un reddito di impresa di euro 1.625.467 a fronte di un reddito dichiarato di euro 991.910; conseguentemente determinava le maggiori imposte Irpeg, Iva ed Irap dovute. Gli avvisi di accertamento venivano notificati in data 22.3.2007; quindi l’Ufficio , in via cautelativa, notificava nuovamente i medesimi avvisi di accertamento in data 26.9.2007 con la dicitura ” il presente atto annulla e sostituisce quello precedentemente notificato”. In data 14.1.2008 veniva notificata la cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo provvisoria delle somme dovute sulla base degli accertamenti precedentemente notificati.
Avverso gli avvisi di accertamento e la cartella di pagamento la società proponeva distinti ricorsi.
La Commissione tributaria provinciale di Catanzaro con sentenza del 13.11.2008, previa riunione dei ricorsi, confermava la legittimità degli avvisi di accertamento, mentre annullava la cartella di pagamento perché emessa sulla base degli avvisi del 22.3.2007, successivamente annullati.
La società P. srl, già Impresa Costruzioni F.V. srl, proponeva appello alla Commissione tributaria regionale di Catanzaro che con sentenza n. 561 del 22.11.2010 confermava la decisione appellata.
Contro la sentenza di appello la società P. srl in liquidazione propone ricorso per i seguenti motivi:1) illegittimità della sentenza per violazione dell’art. 36 comma 2 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4 cod. proc. civ., nella parte in cui ha dichiarato l’infondatezza dell’appello, in quanto la sentenza non contiene “la succinta esposizione dei motivi in fatto ed in diritto” richiesti dal citato art. 36 comma 2 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 ;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 53 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 e 342 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 comma primo n. 4 cod. proc. civ., nella parte in cui ha ritenuto che l’atto di appello difettasse del requisito di specificità dei motivi di gravame.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Equitalia Sud spa resiste con controricorso.
La società deposita memoria.
CONSIDERATO IN FATTO
1. Il primo motivo è infondato.
Non sussiste la dedotta nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 comma 2 n. 4 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, poiché la sentenza è munita di apparato argomentativo che rende manifesta la ratio decidendi del giudice, il quale ha ritenuto l’atto di appello sfornito del requisito della specificità dei motivi di impugnazione. Neppure è ipotizzabile una nullità della sentenza per contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte sussiste un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 156 e 360 n. 4 cod. proc. civ., nel solo caso in cui il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale, non essendo possibile ricostruire la statuizione del giudice attraverso il confronto tra motivazione e dispositivo, mediante valutazioni di prevalenza di una delle affermazioni contenute nella prima su altre di segno opposto presenti nel secondo. (Sez. 6-3, Sentenza n. 15990 del 11/07/2014, Rv. 632120).
Nel caso in esame la statuizione del giudice è chiaramente ricostruibile dalla motivazione, in cui si afferma che i motivi di appello difettano del requisito della specificità, richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 53 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546.
2. Il secondo motivo è infondato.
Il giudice di appello ha applicato, e non violato, l’art. 53 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 poiché, svolgendo una valutazione in fatto, ha ritenuto la genericità dei motivi di appello costituenti mera riproduzione di quelli formulati nel ricorso di primo grado. Questa Corte non è legittimata a sostituirsi alla Commissione tributaria regionale negli apprezzamenti di fatto circa la sussistenza del requisito di specificità dei motivi di appello. Poiché non è stato dedotto il vizio della motivazione ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5 cod. proc. civ., ma esclusivamente il vizio di violazione di legge, questa Corte neppure è legittimata ad esaminare la tenuta logica o la sufficienza della motivazione con la quale il competente giudice di merito ha rilevato il difetto del requisito della specificità dei motivi di appello.
La società ricorrente deve essere condannata al rimborso delle spese a favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in euro 7.000 oltre eventuali spese prenotate a debito, ed a favore di Equitalia Sud spa liquidate in euro 7.000, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese a favore della Agenzia delle Entrate liquidate in euro 7.000, oltre eventuali spese prenotate a debito, ed a favore di Equitalia Sud spa liquidate in euro 7.000, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
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