CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 1103 del 21 gennaio 2016
FALLIMENTO – SOCIETÀ E CONSORZI – SOCIETÀ CON SOCI A RESPONSABILITÀ ILLIMITATA -FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ E DEI SOCI ILLIMITATAMENTE RESPONSABILI – LEGITTIMAZIONE DEL CURATORE DEL FALLIMENTO SOCIALE ALL’AZIONE REVOCATORIA CONTRO GLI ATTI DEL SOCIO – RIPROPOSIZIONE DELLA MEDESIMA AZIONE QUALE CURATORE DEL FALLIMENTO PERSONALE DEL SOCIO – PRECLUSIONE – FONDAMENTO
FATTO E DIRITTO
E’ stata depositata la seguente relazione:
1) La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 27.1.012, ha respinto l’appello proposto da Unicredit Banca s.p.a. (nuova denominazione del Credito Italiano s.p.a.) contro la sentenza di primo grado che, accogliendo la domanda L. Fall., ex art. 66, e art. 2901 c.c. proposta contro la banca dal Fallimento di S.C. (socio accomandatario della s.a.s. Nevano Arredamenti, fallito, ai sensi della L. Fall., art. 147, per effetto del fallimento della societa’), aveva dichiarato inefficace l’atto del 6.7.98 con il quale il Credito Italiano aveva posto in vendita i titoli di credito che il S. aveva costituito in pegno in suo favore e a garanzia dello scoperto del conto corrente della societa’ di cui era accomandatario, utilizzandone poi il ricavato per ripianare altri debiti, contratti nei suoi confronti dallo stesso garante e da soggetti terzi. La sentenza e’ stata impugnata da Unicredit s.p.a. (incorporante per fusione Unicredit Banca s.p.a.) con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui il Fallimento di S.C. ha resistito con controricorso.
2) Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione del principio del ne bis in idem. Deduce che la domanda ex artt. 66 e 2901 c.c. era stata gia’ proposta nei confronti del Credito Italiano dal Fallimento della s.a.s. Nevano Arredamenti ed era stata respinta con sentenza del Tribunale di Napoli del 29.7.04, divenuta definitiva per mancata impugnazione; lamenta che, cio’ nonostante, la corte d’appello abbia dichiarato infondata la sollevata eccezione di giudicato in base all’errato rilievo che detta sentenza era stata emessa fra soggetti in parte diversi, non potendosi ritenere che il curatore del fallimento della societa’ avesse agito anche nella veste di curatore del fallimento del socio accomandatario. Il motivo appare manifestamente fondato.
Nel caso di sentenza dichiarativa del fallimento di una societa’ di persone e dei soci illimitatamente responsabili, il fatto che il patrimonio della societa’ resti autonomo rispetto a quello dei soci, e che vadano conseguentemente tenute distinte le diverse masse attive e passive, non implica infatti che il curatore possa agire separatamente per la revocatoria del medesimo atto di disposizione compiuto dal socio, una volta in rappresentanza dei creditori della societa’ e l’altra in rappresentanza unicamente di quelli del socio, in modo da potersi giovare – a suo piacimento – della sentenza che gli sia piu’ favorevole.
Dal principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui il curatore del fallimento sociale e’ attivamente legittimato ad agire in revocatoria anche contro atti di disposizione compiuti dal socio (in considerazione dell’interesse correlato agli effetti positivi che, ai fini del soddisfacimento dei creditori sociali, deriva dall’incremento dell’attivo del fallimento personale del socio) puo’, al contrario, agevolmente ricavarsi che la pronuncia che definisce la causa in tal veste instaurata dal curatore e’ destinata a produrre in primo luogo i suoi effetti sulla massa attiva del socio: il vittorioso esperimento dell’azione comportera’ infatti l’acquisizione del bene (o del tantundem) al medesimo patrimonio dal quale e’ fuoriuscito, con la conseguenza che sul ricavato potranno soddisfarsi anche i creditori particolari del socio.
E’ pertanto del tutto indifferente che il curatore promuova l’azione spendendo il nome del solo fallimento sociale o, viceversa, del solo fallimento del socio, posto che, in un caso o nell’altro, il passaggio in giudicato della sentenza emessa nel relativo giudizio fa stato nei confronti dei creditori di entrambe le masse. Nel caso di specie e’ pacifico che il curatore del Fallimento della s.a.s. Nevano Arredamenti avesse gia’ proposto nei confronti del Credito Italiano le domande (di declaratoria di inefficacia ex artt. 66 e 2901 c.c. dell’atto di realizzazione dei titoli costituiti in pegno dal S. e di condanna alla restituzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni) che formano oggetto del presente giudizio e che tali domande fossero state respinte con sentenza del Tribunale di Napoli passata in giudicato.
Atteso il principio del ne bis in idem, era dunque precluso al giudice di pronunciare sulle medesime domande, ancorche’ riproposte dall’attore nella sola veste di curatore del fallimento del socio accomandatario.
Si dovrebbe pertanto concludere per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri motivi, e per la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., u.c., in quanto il processo non poteva essere proseguito; tanto, con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c..
Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne ha condiviso le conclusioni. La sentenza impugnata va pertanto cassata senza rinvio, perche’ il processo non poteva essere iniziato.
Le spese del doppio grado di merito e di questo giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara che il giudizio non poteva essere iniziato. Condanna il Fallimento al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 500 per spese 2.000 per diritti e 5.500 per onorari per il giudizio di primo grado, in Euro 1.000 per spese 1.500 per diritti e 4.000 per onorari per quello di secondo grado ed in Euro 7.200 per il presente giudizio di legittimita’, oltre, per tutti e tre i gradi rimborso forfetario e accessori di legge.
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