CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 11411 del 1 giugno 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – ACCERTAMENTO ISPETTIVO – VERBALI REDATTI DAI FUNZIONARI DEGLI ENTI PREVIDENZIALI E ASSISTENZIALI O DELL’ISPETTORATO DEL LAVORO
Svolgimento del processo
Si controverte dell’opposizione a cartella esattoriale da parte di C.A. in relazione ai contributi evasi ed alle relative sanzioni civili riguardanti la lavoratrice P.S. per il periodo gennaio 2001 – settembre 2004.
Secondo l’Inps quest’ultima era stata inquadrata dal C. come collaboratrice anziché come dipendente ed il medesimo si era visto rigettare l’opposizione di cui sopra in entrambi i gradi del giudizio di merito.
In particolare con la sentenza del 16/7/2009 – 22/1/2010, la Corte d’appello di Roma ha ritenuto maggiormente plausibili le dichiarazioni rese dalla P. in sede di accertamenti ispettivi, traendo elementi di convincimento sull’accertata subordinazione anche dalle modalità di pagamento dei compensi corrisposti alla lavoratrice.
Per la cassazione della sentenza ricorre C. A. con un solo motivo. Rimangono solo intimati l’Inps, la società di cartolarizzazione dei crediti e l’Equitalia Gerit s.p.a.
Motivi della decisione
Con un solo motivo, dedotto per contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello di Roma avrebbe considerato in maniera apodittica la maggiore attendibilità delle dichiarazioni rilasciate in sede di accertamento degli ispettori dell’Inps rispetto alle testimonianze rese innanzi al giudice di primo grado in, contraddittorio tra le parti, nel corso delle quali era stata negata la subordinazione della P.
Inoltre, il ricorrente sostiene che erroneamente la Corte territoriale avrebbe considerato come elemento di prova della subordinazione la modalità di pagamento del corrispettivo che, invece, poteva assumere solo un valore sussidiario ai fini della configurazione della natura subordinata del rapporto di lavoro oggetto di accertamento.
Osserva la Corte che l’unico motivo che sorregge il ricorso è infondato.
Invero, come si è già avuto occasione di spiegare in casi del genere (Cass. sez. lav. n. 13910 del 9/11/2001) “la valutazione delle risultanze della prova testimoniale e il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla loro credibilità involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra alcun limite se non quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare ogni deduzione difensiva (nella specie, con riferimento all’accertamento dell’omesso versamento di contributi previdenziali relativi a rapporti di lavoro subordinato, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva conferito: attendibilità alle dichiarazioni rese da due testimoni agli ispettori dell’Inps rispetto a quelle rese in giudizio dagli stessi, avendo ritenuto le prime più veritiere e genuine in base alla considerazione di una serie di elementi di fatto).
Tale concetto è stato ulteriormente ribadito allorquando si è affermato (Cass. sez. lav. n. 15073 del 6/6/2008) che “i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o dell’Ispettorato del lavoro fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi attestino avvenuti in loro presenza, mentre, per le altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di avere accertato, il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, il quale può anche considerarlo prova sufficiente, qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso d’altri elementi renda superfluo l’espletamento di ulteriori mezzi istruttori” (conf. a Cass. sez. lav. n. 3525; del 22/2/2005 e da ultimo v. Cass. sez. lav. n. 13054 del 10/6/2014 sulla insindacabilità, in sede di legittimità, del “peso probatorio” di alcune testimonianze, rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato).
Ebbene, nella fattispecie la Corte d’appello ha motivato in maniera adeguata ed esente da vizi di natura logico-giuridica il proprio convincimento sulla ravvisata natura subordinata del rapporto lavorativo posto a base della pretesa contributiva oggetto di causa, allorquando ha dato rilievo preponderante alla genuinità delle dichiarazioni rese in sede ispettiva nell’immediatezza dei fatti, dalle quali era emerso che la P. lavorava da circa quattro anni alle dipendenze del C. svolgendo le mansioni di commessa.
Al contrario apparivano meno plausibili, secondo la stessa Corte, le dichiarazioni rese dalla P. in qualità di teste, in quanto la medesima, modificando la precedente versione dei fatti aveva, dapprima, dichiarato di aver lavorato solo come vetrinista nell’arco di tempo intercorso dal mese di gennaio del 2001 a quello di settembre del 2004 per aggiungere, poi, di aver lavorato solo successivamente come commessa. Inoltre, la Corte ha tratto un ulteriore elemento di convincimento della natura subordinata del rapporto in esame dal fatto che le modalità di pagamento dei compensi apparivano più conformi ad un rapporto di lavoro subordinato, stante la previsione della corresponsione di quattordici mensilità e di una indennità di fine rapporto.
In definitiva, la motivazione dell’impugnata sentenza regge alle censure di parte ricorrente e sfugge ai rilievi di legittimità, per cui il ricorso va rigettato.
Non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio in quanto l’Inps, la società di cartolarizzazione dei crediti e l’Equitalia Gerit s.p.a. sono rimasti: solo intimati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
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