CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 11417 del 9 marzo 2017
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6.3.2014 la terza Sezione della Corte di Cassazione annullava la sentenza del 18.1.2013 della Corte di appello di Milano, limitatamente alla richiesta ex art. 53 I. 689/1981 di conversione della pena (da detentiva a pecuniaria) avanzata dall’appellante Guerino Moffa, ritenendo sul punto erronea la motivazione adottata dal giudice di merito per opporre diniego alla detta richiesta.
2. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 4.11.2014, decidendo in sede di rinvio, nel ridurre la pena inflitta a mesi 4 di reclusione (per il reato ex art. 10-bis dlgs. 74/2000) , confermava nel resto la sentenza del primo giudice, rigettando nuovamente la richiesta dell’imputato di sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria ex art. 53 I. 689 cit. La Corte riteneva di non aderire alla richiesta di conversione per le seguenti ragioni: particolare gravità della condotta criminosa, trattandosi di omesso versamento di ritenute certificate per C 218.410; assenza di spontaneità nel pagamento tardivo (dopo quattro anni) dell’imposta; mancata dimostrazione della sussistenza di difficoltà economiche dell’azienda; sussistenza di cinque condanne a carico per reati analoghi e conseguente impossibilità di formulare un giudizio prognostico positivo.
3. Il difensore dell’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 53 I. 689/1981 quanto alla omessa sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, deducendo la illogicità e contraddittorietà della motivazione al riguardo adottata dal giudice di merito.
4. La difesa ha depositato memoria in data 31.3.2016 con cui deduce motivi aggiunti: insiste sul vizio di motivazione in ordine all’applicazione dell’art. 53 cit.; deduce lo ius superveniens relativamente alla causa di non punibilità di cui all’art. 13, d.lgs. n. 74/2000, introdotta dall’art. 11 1 d.lgs. n. 158/2015, avendo l’imputato provveduto a versare, prima dell’apertura del dibattimento, l’intero importo dell’imposta evasa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. E’ fondato ed assorbente il motivo con il quale è stato invocato lo ius superveniens relativamente alla causa di non punibilità di cui all’art. 13, d.lgs. n. 74/2000, introdotta dall’art. 11, comma 1, d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (pubblicato il 7.10.15 ed entrato in vigore il 22.10.2015).
2. Tale norma prevede che «i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10- quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso». Al riguardo è stato di recente affermato il principio secondo cui, in tema di reati tributari, la suddetta causa di non punibilità è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento (Sez. 3, n. 40314 del 30/03/2016, Fregolent, Rv. 267807). In tale arresto giurisprudenziale, che si condivide, si sostiene che la modifica normativa introdotta dall’I’art. 11 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, ha attribuito all’integrale pagamento dei debiti tributari, nel caso dei reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma 1, d.lgs 74 del 2000, efficacia estintiva, e non più soltanto attenuante. Pur indicando nella dichiarazione di apertura del dibattimento il limite di rilevanza della causa estintiva, si rileva che la diversa natura giuridica e la più ampia efficacia attribuite alla fattispecie implica, nei procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. 158/2015, la necessità di una parificazione degli effetti della causa di non punibilità anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione “procedimentale”. Ciò in quanto la diversa natura assegnata al pagamento del debito tributario, quale “fatto” che non riguarda più soltanto il quantum della punibilità, ma l’an della punibilità, comporta che nei procedimenti in corso, anche se sia stato oltrepassato il limite temporale di rilevanza previsto dalla norma, l’imputato debba essere considerato nelle medesime condizioni fondanti l’efficacia della causa estintiva; ciò è imposto dal principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti per situazioni uguali, dovendosi ritenere che il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015, che avvenga dopo tale limite, purché prima del giudicato; viceversa, si registrerebbe una disparità di trattamento in relazione a situazioni uguali in ordine alla quale sarebbe prospettabile una questione di illegittimità costituzionale.
3. Nel caso che occupa risulta pacificamente dalla sentenza impugnata che il ricorrente, imputato del reato di cui all’art. 10-bis d.lgs. 74/2000, ha provveduto al pagamento integrale degli importi tributari dovuti in data 15.12.2010, e ciò addirittura prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, avvenuta in data 10.5.2012, tant’è che gli veniva riconosciuta, nella formulazione in allora vigente, l’attenuante speciale prevista dall’art. 13 d.lgs. 74/2000, attualmente divenuta, sulla base degli stessi elementi, causa di non punibilità del reato. Nulla quaestio, dunque, in ordine alla sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l’applicabilità, nel caso di specie, della disposizione di cui all’art. 13 d.lgs. cit., che nella vigente formulazione è configurata come causa di non punibilità della fattispecie di reato oggetto di imputazione.
4. Al riconoscimento della detta esimente non osta la formazione del giudicato progressivo conseguente alla precedente sentenza della terza Sezione che, annullando solo parzialmente la precedente sentenza di condanna in punto di trattamento sanzionatorio, avrebbe precluso l’esame di ogni altro punto della decisione (art. 624, comma 1, cod. proc. pen.).
4.1. Al riguardo si deve premettere che le Sezioni Unite hanno stabilito che l’efficacia del giudicato penale nasce dalla necessità di certezza e stabilità giuridica, propria della funzione tipica del giudizio, ma anche dall’esigenza di porre un limite all’intervento dello Stato nella sfera individuale, sicché si esprime essenzialmente nel divieto di “bis in idem”, e non implica l’immodificabilità in assoluto del trattamento sanzionatorio stabilito con la sentenza irrevocabile di condanna nei casi in cui la pena debba subire modificazioni necessarie imposte dal sistema a tutela dei diritti primari della persona (Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, P.M. in proc. Gatto, Rv. 260696). Con tale sentenza le Sezioni Unite hanno registrato e descritto un processo di progressiva erosione del “mito” della intangibilità del giudicato, che negli ultimi tempi ha subito una forte accelerazione, sotto la necessità di dare esecuzione all’obbligo di ripristinare i diritti del condannato, alla luce di alcune pronunce della Corte costituzionale e della CEDU che hanno inciso su norme penali, a tutela dei valori costituzionali, della salvaguarda dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
4.2. Peraltro nel caso in disamina, a ben vedere, non si pone un problema di intangibilità del giudicato, atteso che la questione ancora sub iudice è strettamente connessa con l’applicazione dell’art. 13 d.lgs. n. 74/2000. Si vuol significare che nel procedimento di cui si tratta è ancora in itinere la questione attinente al momento sanzionatorio, nell’ambito della quale si deve necessariamente tenere conto degli effetti di cui al disposto dell’art. 13 cit., che hanno indubbia rilevanza in punto di applicazione della pena (prima come circostanza attenuante, ora come causa di non punibilità). Ebbene, nel momento in cui gli effetti della norma, a seguito di successione di leggi, si modificano in me/ius nei termini già visti, è evidente che, in applicazione dei principi che governano nel nostro sistema il fenomeno della successione di leggi penali (art. 2 cod. pen.), la norma più favorevole deve necessariamente trovare applicazione, in quanto essa forma parte integrante del tema, non ancora definito in questo giudizio, delle modalità di applicazione (ovvero, a questo punto, di esclusione) della pena. Pertanto, in considerazione degli effetti più favorevoli della legge sopravvenuta, essa non può essere ignorata in questa sede, in pregiudizio del buon diritto del ricorrente – stante l’accertata ricorrenza delle condizioni – a vedersi riconosciuti i benefici garantiti dall’ordinamento vigente, in ossequio ai superiori principi del favor rei e di uguaglianza fra i cittadini.
4.3. In tal modo, si badi, non si va ad incidere sul giudicato interno formatosi a seguito del precedente annullamento parziale; semmai esso costituisce il presupposto che consente di ritenere la sussistenza degli estremi applicativi della sopravvenuta norma più favorevole, essendo stato definitivamente accertato in giudizio che il prevenuto ha integralmente e tempestivamente pagato, in relazione al reato oggetto di contestazione, l’intero importo del relativo debito tributario, il che attualmente esclude la punibilità del fatto.
5. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, sussistendo i presupposti applicativi della intervenuta causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 74/2000 nella vigente formulazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata trattandosi di fatto non punibile ai sensi dell’art. 13, comma 1, Decreto legislativo n. 74/2000.
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