CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 11436 depositata il 1° giugno 2016
STUDI DI SETTORE – ANTIECONOMICITA’ – PROVA SUFFICIENTE
RITENUTO IN FATTO
Nella controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento, portante maggiori IRAP, IVA ed IRPEF, con il quale l’Ufficio aveva riscontrato il discostamento del reddito dichiarato da F.A., per l’anno 2004, da quello determinato mediante applicazione degli studi di settore, l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Campania ne aveva rigettato l’appello avverso la decisione di primo grado la quale, in parziale accoglimento del ricorso del contribuente, aveva rideterminato i ricavi accertati e ridotto al minimo le sanzioni.
In particolare, il Giudice di appello, accogliendo l’appello incidentale del contribuente, rilevava che, nel caso di specie, non erano state contestate irregolarita’ contabili e non erano stati forniti elementi ulteriori rappresentativi della conferma di non congruita’ ed antieconomicita’ mentre il contribuente aveva eccepito una (verosimile) crisi di settore e, soprattutto, la mancanza di motivazione nell’avviso di accertamento circa le origini e la causa dell’intrapreso accertamento presuntivo.
Il ricorso e’ affidato ad unico motivo.
Il contribuente resiste con controricorso.
A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. e’ stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con l’unico motivo -rubricato: violazione e / o falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) in combinato disposto con l’art. 2967 c.c. – si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto l’illegittimita’ dell’avviso di accertamento, laddove, a fronte della non congruita’ ed antieconomicita’ risultante dall’applicazione dello studio di settore ed essendo stato invitato il contribuente al contraddittorio, nessun altro onere incombeva all’Ufficio.
1.1. La censura, ammissibile, e’ anche fondata. Nella specifica materia, infatti, questa Corte ha chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravita’, precisione e concordanza non e’ “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standard” in se’ considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditivita’ – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullita’ dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realta’ dell’attivita’ economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non puo’ esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilita’ in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilita’ dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilita’ degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non e’ vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della piu’ ampia facolta’, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. (cfr. Cass. S.U. 26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass. 12428/2012, Cass. 23070/2012). In termini di onere della prova, poi, nella citata sentenza delle Sezioni unite, si e’ affermato, che “l’onere della prova (…) e’ cosi’ ripartito: a) all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilita’ dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento; b) al contribuente (…) fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realta’ dell’attivita’ economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce”.
2. In particolare, poi, in ordine all’irrilevanza della mancata produzione da parte dell’Agenzia delle Entrate di elementi ulteriori a conferma della non congruita’ ed antieconomicita’ risultanti dallo studio di settore appare sufficiente richiamarsi ai precedenti di questa Corte (ord.n.457/2014; sentenze n.ri 5977/2007 e 26919/2006).
3. Alla luce dei superiori principi la sentenza impugnata – nell’addossare ulteriori incombenti probatori all’Amministrazione finanziaria, pur avendo questa invitato, senza esito, il contribuente al contraddittorio – appare manifestatamente erronea.
4. Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al Giudice di merito il quale, adeguandosi ai superiori principi, provvedera’ al riesame ed a regolare le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione.
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