CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 12261 depositata il 14 giugno 2016
FALLIMENTO – EFFETTI SUI RAPPORTI PREESISTENTI – ASSICURAZIONE – SULLA VITA – PAGAMENTO DEL RISCATTO AL FALLITO – INEFFICACIA – ESCLUSIONE – RAGIONI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 2 aprile 2002 il fallimento della società in accomandita semplice Anna Maria F.R nonché di F. Anna Maria in proprio ha convenuto in giudizio dinanzi al tribunale di Napoli l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni s.p.a. per sentir dichiarare inefficace, ai sensi dell’articolo 44 della legge fallimentare, il pagamento di lire 57.081.031 dallo stesso eseguito dopo la dichiarazione di fallimento in favore della socia accomandataria a titolo di riscatto della polizza vita da questa stipulata.
Nella contumacia della convenuta è intervenuta nel giudizio INA Vita s.p.a. eccependo l’estinzione del processo per l’avvenuta fusione per incorporazione dell’INA s.p.a. nella Assicurazioni Generali s.p.a., con conseguente nullità assoluta e insanabile della notifica dell’atto introduttivo del giudizio. Nel merito ha contestato la fondatezza della domanda, ritenendo che le somme corrisposte dovessero ritenersi escluse dal fallimento ai sensi dell’articolo 46, primo comma, n. 5 della legge fallimentare.
Con sentenza del 18 maggio 2004 il tribunale di Napoli ha rigettato la domanda. Avverso detta sentenza il fallimento ha proposto appello. La corte di appello di Napoli, con sentenza numero 495 del 23 febbraio 2007, ha accolto il gravame e per l’effetto dichiarato ai sensi dell’articolo 44 della legge fallimentare l’inefficacia del pagamento effettuato in favore della fallita per l’importo di euro 29.479,89. Ha rilevato la corte territoriale che è principio consolidato che la citazione in giudizio di un soggetto non esistente è nulla poiché la citazione in giudizio presuppone necessariamente l’esistenza della parte al momento della notificazione; quanto alla natura della nullità ha rilevato che la giurisprudenza della Corte di cassazione non sarebbe giunta a un approdo univoco sulla natura della del vizio. Secondo un primo orientamento si tratterebbe di nullità insanabile, mentre secondo altro orientamento sarebbe comunque sanabile con la costituzione in giudizio del soggetto succeduto a quello estinto. Ha quindi ritenuto di dover aderire al prevalente orientamento che ravvisa nella fattispecie un’ipotesi di nullità sanabile con la costituzione del convenuto, nella specie avvenuta con effetto sanante della nullità della citazione. Nel merito la corte ha rilevato che le somme dovute dall’assicuratore in forza di assicurazione sulla vita sono escluse dall’attivo fallimentare ai sensi dell’articolo 46, primo comma, n. 5 1.f. soltanto se costituiscano l’oggetto del contratto in relazione alla funzione tipica di quest’ultima, ovvero nel caso in cui contratto abbia raggiunto il suo scopo tipico cioè la reintegrazione del danno provocato dall’evento morte e non anche in quelle con cui l’assicurato attraverso il recesso recuperi al suo patrimonio somme che pur realizzando uno scopo di risparmio non integrino altresì gli estremi della funzione previdenziale. Avverso tale decisione ricorre INA Assitalia s.p.a., successore nel rapporto di INA Vita s.p.a., con cinque motivi, cui resiste con controricorso la curatela del fallimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso deduce violazione dell’articolo 2504-bis del codice civile e degli articoli 163 e 164 del codice di procedura civile, nonché nullità della sentenza impugnata e chiede alla Corte di cassazione di dire se la citazione proposta nel giudizio civile nei confronti di un soggetto non più esistente al momento della vocatio, in quanto incorporata in altra società, possa essere sanata per l’effetto della costituzione in giudizio della società incorporante che nel costituirsi eccepisca l’invalidità e l’inesistenza della citazione introduttiva.
Il motivo è infondato. Questa Corte ha affermato che la citazione in giudizio notificata, nel regime successivo alla legge n. 353 del 1990, ad una società già incorporata in altra per fusione da epoca anteriore, è nulla, ai sensi degli artt. 163, terzo comma, n. 2, e 164 cod. proc. civ., poiché, a seguito della fusione per incorporazione, ai sensi dell’art. 2504-bis cod. civ. (nel testo vigente “ratione tempotis”), la società convenuta si è estinta e nei relativi rapporti è succeduta la società incorporante che ne ha assunto i diritti e gli obblighi; la nullità, rilevabile d’ufficio, resta tuttavia sanata con efficacia “ex tunc” perché l’atto ha raggiunto lo scopo, a seguito della costituzione in giudizio della società incorporante, e la predetta sanatoria opera indipendentemente dalla volontà del convenuto ed a prescindere dal contenuto delle difese svolte in concreto dal medesimo convenuto (cfr. Sez. 1, sentenza n. 14066 del 28/05/2008) Tale principio si basa sull’applicazione del principio generale di sanatoria della nullità processuale nell’ipotesi di raggiungimento dello scopo dell’atto.
Nella specie FINA VITA s.p.a., cessionaria del ramo d’azienda concernente le assicurazioni sulla vita, è intervenuta in giudizio sanando la nullità intercorsa: a nulla rilevando che essa abbia inteso limitare le proprie difese all’eccezione pregiudiziale di nullità della notificazione (Cass., sez. 1, 21 marzo 2011, n. 6470; Cass., sez. 1, 2 maggio 2006, n. 10119).
Il secondo motivo di ricorso deduce violazione dell’articolo 354 del codice di procedura civile e chiede alla Corte di dire se, una volta riformata la sentenza del giudice di primo grado nella misura in cui lo stesso abbia erroneamente statuito l’invalidità della citazione introduttiva del giudizio in ragione dell’inesistenza del soggetto convenuto, il giudice del gravame debba annullare il provvedimento impugnato ai sensi dell’articolo 354 c.p.c. e rimettere per l’effetto la decisione del merito al giudice di primo grado e conseguentemente sia nulla la sentenza d’appello che, anziché rimettere la causa giudice di primo grado, abbia deciso la causa nel merito.
Il motivo resta assorbito dalla reiezione del primo mezzo. Il terzo è il quarto motivo per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente. Il terzo motivo deduce violazione di legge con riferimento agli articoli 1923 del codice civile e 46 della legge fallimentare e chiede alla Corte di dire se, alla luce della sentenza numero 8271 del 2008 emessa dalla Corte di cassazione a Sezioni unite, le somme versate dalla compagnia assicuratrice a titolo di riscatto della polizza vita dell’assicurato dichiarato fallito siano sottratte, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1923 del codice civile e 46, primo comma, n. 5 della legge fallimentare alla procedura concorsuale trattandosi di beni impignorabili e conseguentemente se sia nulla la sentenza d’appello che, contrariamente alla predetta pronuncia della Cassazione a Sezioni unite, abbia dichiarato inefficace il pagamento effettuato dalla compagnia all’assicurato. Il quarto motivo deduce violazione dell’articolo 44 della legge fallimentare in conseguenza della violazione degli articoli 1923 del codice civile e 46, primo comma, n. 5) della legge fallimentare e chiede alla Corte di dire se, alla luce della sentenza numero 8271 del 2008 emessa dalle Sezioni unite, nel caso di riscatto della polizza vita, anche se il riscatto venga esercitato dall’assicurato successivamente alla dichiarazione di fallimento del medesimo, la prestazione della compagnia assicuratrice non sia soggetta alla declaratoria di inefficacia ai sensi dell’articolo 44 della legge fallimentare, trattandosi di bene non compreso nel fallimento, essendo quindi irrilevante il momento in cui il riscatto sia avvenuto, ovvero sia liquidata la prestazione di polizza.
I motivi sono fondati nei limiti delle considerazioni che seguono. La sentenza impugnata ha ritenuto di poter distinguere tra finalità previdenziale della polizza, connessa alla sua escussione al verificarsi di uno degli eventi protetti, e finalità di rispaimio, connessa invece all’ipotesi di riscatto anticipato a domanda dell’assicurato. E in conseguenza ha affermato che solo nella prima ipotesi si è in presenza di una vera funzione previdenziale, come tale sottratta alla avocazione alla disciplina fallimentare per il combinato disposto dell’art. 46 primo comma n. 5 e 44 1.f., mentre nell’altra non vi sarebbe ragione di estendere tale forma di tutela, essendo la fattispecie in tutto e per tutto assimilabile a un pagamento avvenuto dopo il fallimento, come tale aggredibile dalla massa a tutela della par condicio creditorum,. Tali affermazioni non tengono tuttavia conto di quanto espressamente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 31 marzo 2008, n. 8271, laddove si legge che il “rilievo e .spessore – costituzionale appunto – che va riconosciuto al valore della “previdenza” (qui legata ai bisogni dell’età postlavorativa o derivante dall’evento morte di colui che percepisce redditi dei quali anche altri si avvalga), che la norma in esame (unitamente ad eventuali e, in varia misura, concorrenti finalità di ri.sparmio) è volta a tutelare (in via sia diretta, attraverso la garanzia del credito del singolo assicurato, sia indiretta attraverso la protezione del patrimonio dell’assicuratore, posto così al riparo dal contenzioso dei creditori, i cui costi andrebbero a detrimento degli assicurati per via di innakamento dei premi); e, per altro verso, la percezione, in termini di diritto vivente, ontologicamente inteso, della dimensione evolutivamente assunta, nell’attuale contesto economico sociale, dallo strumento (che in ragione, appunto, della sua funzione previdenziale, il “divieto” sub art. 1923 c. c., è volto a presidiare) della assicurazione sulla vita, quale forma di assicurazione privata (pur nelle possibili sue varie modulazioni negoziali) maggiormente affine agli istituti di previdenza elaborati dalle assicurazioni sociali.”. Con tali affermazioni le Sezioni Unite di questa Corte hanno inteso interpretare l’esonero dalla disciplina del fallimento come comprensivo di tutte le possibili finalità dell’assicurazione sulla vita, espressamente includendo anche la funzione di risparmio.
Ne deriva che la distinzione contenuta nella sentenza di appello è ininfluente al fine di escludere l’esonero del pagamento della declaratoria di inefficacia richiesta con il presente giudizio. Né rileva che non si tratti di riscatto del curatore, ma di richiesta di inefficacia di un pagamento avvenuto direttamente nelle mani dell’assicurato fallito, atteso che in ogni caso non v’è spazio alcuno per ritenere possibile un distinguo all’interno della generale natura previdenziale attribuita alla polizza dalla citata giurisprudenza delle Sezioni unite, da cui non vi è motivo di discostarsi.
Ti quinto motivo deduce violazione dell’articolo 2952 del codice civile e vizio di motivazione e chiede alla Corte di dire se il curatore possa agire in giudizio ai sensi dell’articolo 44 della legge fallimentare per richiedere la declaratoria di inefficacia del pagamento di somme versate da una compagnia assicuratrice oltre il termine annuale previsto dall’articolo 2952 del codice civile.
Il motivo è infondato, posto che nella fattispecie il curatore agisce per il recupero alla massa di somme illegittimamente distratte dopo la dichiarazione di fallimento e non in base al subentro nel contratto di assicurazione, sicché il termine breve prescrizionale previsto dall’art. 2952 del codice civile non trova applicazione.
Con tali presupposti, sussistendo le condizioni per la pronuncia nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. non essendo necessaria altri accertamenti del fatto, la domanda proposta dalla curatela va respinta. Atteso il complessivo esito del giudizio e la sussistenza di orientamenti giurisprudenziali diversi da quelli qui ribaditi, sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
la Corte cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dal Fallimento Anna Maria F.R s.a.s. e Anna Maria F. con atto di citazione notificato il 2 aprile 2002 nei confronti dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni s.p.a.; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dei tre gradi di giudizio.
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