CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 12306 depositata il 15 giugno 2016
ACCERTAMENTO TRIBUTARIO – APPLICAZIONE DEI PARAMETRI O DEGLI STUDI DI SETTORE – SISTEMA DI PRESUNZIONI SEMPLICI – CONTRADDITTORIO
RITENUTO IN FATTO
L’Agenzia delle entrate ricorre nei confronti di (…) nonché (…) s.n.c. (che resistono con controricorso) per la cassazione della sentenza n. 73/18/07 con la quale, in controversia concernente impugnazione di cartella di pagamento e avvisi di accertamento relativi all’anno di imposta 1996, la CTR della Toscana, accogliendo l’appello dei contribuenti, dichiarava l’illegittimità degli atti opposti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Col primo motivo, deducendo violazione degli artt. 324, 81 e 112 c.p.c., la ricorrente chiede a questo giudice di dire se nell’ipotesi di impugnazione proposta in proprio dai soci di società in nome collettivo avverso la sentenza della C.T.P. che abbia confermato l’accertamento dei loro maggiori redditi di partecipazione ai fini Irpef in dipendenza del maggior reddito in capo alla società, la quale non ha proposto impugnazione avverso la stessa sentenza della C.T.P. per quanto concerne l’Ilor dovuta in base al confermato accertamento dei suoi maggiori ricavi, violi gli artt. 81, 112 e 324 c.p.c. la sentenza della C.T.R. che decida anche della pretesa tributaria nei confronti della società, laddove la corretta interpretazione delle norme suddette avrebbe imposto che, in assenza di una formale impugnazione da parte della società, venisse rilevata l’avvenuta formazione del giudicato sull’atto di accertamento relativo alla società e la conseguente intangibilità dell’accertamento emesso nei suoi confronti.
Prescindendo dalla inammissibilità della censura per assoluta inidoneità del relativo quesito di diritto (prospettato in maniera che la risposta al quesito necessariamente involga e presupponga risolta una quaestio facti), è sufficiente rilevare che la sentenza impugnata, a partire dalla sua intestazione (non smentita dal testo successivo), annovera tra i ricorrenti in appello anche la società e tra gli atti impugnati due avvisi di accertamento a carico della società e di uno dei soci. Peraltro, non è in discussione la sussistenza di litisconsorzio necessario tra la società di persone e i soci né, nella specie, l’integrità del contraddittorio nei confronti di tutti i predetti soggetti (anche in questa sede l’Agenzia ha proposto ricorso pure nei confronti della società e la medesima ha resistito con controricorso), con tutte le conseguenze che da tale fatto desume la giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte (per tutte v. s.u. n. 14815 del 2008), sulle quali ci si soffermerà nell’esame del successivo motivo.
Col secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, l’Agenzia ricorrente chiede a questo giudice di dire “se nel processo tributario, nell’ipotesi di impugnazione da parte di due soci di una società in nome collettivo della cartella di pagamento emessa a seguito della mancata impugnazione dell’avviso di accertamento regolarmente notificato (e che tale risulti per espressa ammissione dei ricorrenti stessi) mediante la deduzione di vizi concernenti il merito della pretesa impositiva, violi l’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992 la C.T.R. che non rilevi l’inammissibilità del ricorso originariamente proposto, laddove la corretta interpretazione della disposizione innanzi richiamata avrebbe imposto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per improponibilità di motivi di impugnazione concernenti il merito della pretesa fiscale avverso la cartella di pagamento il cui avviso di accertamento – costituente atto prodromico – risulti pacificamente ed incontestatamente essere stato regolarmente notificato e conosciuto dal contribuente”.
La censura è infondata.
In primo grado risulta che hanno partecipato al giudizio sia la società che i suoi soci, e ciò risulta anche in appello; in questa sede di legittimità l’Agenzia, come sopra rilevato, ha proposto ricorso anche nei confronti della società e la stessa ha resistito con controricorso. Tanto premesso, occorre considerare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all’art. 5 d.P.R. 22/12/1986 n. 917 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci -salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi. Siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario.
Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 546/92 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (cfr. tra le molte SU n. 14415 del 2008). In particolare, secondo la citata sentenza delle sezioni unite, il d.lgs. n. 546 del 1992 all’art. 14, comma 6, stabilisce che le parti chiamate in causa non possono impugnare autonomamente l’atto, se per esse al momento della costituzione è già decorso il termine di decadenza, ma “il fatto che non sia più possibile il ricorso autonomo, e tuttavia la parte possa essere chiamata in causa legittimamente, deve far ritenere che la sentenza favorevole al contribuente possa essere opposta all’ufficio (nonostante la definitività dell’accertamento nei suoi confronti), ad esempio per impugnare la cartella esattoriale e gli atti successivi della riscossione, con il solo limite della irripetibilità di quanto già pagato (v. Cass. 19850/2005). Se così non fosse, la chiamata in causa e l’eventuale partecipazione al giudizio del contribuente si risolverebbero in una inutile attività processuale”.
Col terzo motivo, deducendo error in iudicando sugli artt. 42 d.p.r. n. 600 del 1973, 3 comma 181 l. n. 549 del 1995 in combinato disposto con gli artt. 2728 2697 c.c., l’Agenzia ricorrente chiede a questo giudice di dire “se, in un caso di accertamento di maggior reddito ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d) d.p.r. 300/73, effettuato mediante l’utilizzazione dei parametri presuntivi di reddito di cui all’art. 3 comma 181 l. n. 549 del 1995, a contraddittorio correttamente instaurato col contribuente, si abbia una presunzione legale sufficiente a sostenere l’accertamento medesimo, in difetto di prova contraria incombente sul contribuente, cui spetta addurre elementi idonei a giustificare lo scostamento dei ricavi dichiarati da quelli calcolati sulla base dei parametri, e conseguentemente sia censurabile la sentenza della C.T.R. che, in violazione degli artt. 42 d.p.r. 600/73 e 3 comma 181 l. n. 549 del 1995, in combinato disposto con gli artt. 2728 e 2697 c.c., annulli l’atto amministrativo di accertamento esclusivamente sull’erroneo presupposto che l’utilizzo dei parametri presuntivi di reddito ai fini dell’emanazione dell’atto impositivo imponga comunque all’Ufficio l’onere di fornire elementi di prova a sostegno dei fatti costitutivi della pretesa tributaria; mentre, per converso, la corretta interpretazione delle disposizioni anzidette – nel senso del perdurare in capo al contribuente anche in sede giudiziale dell’onere di allegare e provare l’infondatezza della pretesa fiscale – avrebbe imposto la conferma dell’atto amministrativo di accertamento.
Col quarto motivo l’Agenzia ricorrente, deducendo insufficienza della motivazione, si duole del fatto che i giudici d’appello si siano limitati apoditticamente ad affermare l’inconsistenza delle risultanze dei parametri presuntivi sulla base di inesistenti p.v.c. e presunzioni operate dai verificatori, senza considerare che l’avviso di accertamento fa riferimento esclusivamente allo scostamento dai parametri, pertanto senza alcun collegamento tra gli elementi di prova e le allegazioni in fatto prese in considerazione ai fini della decisione ed altresì, in particolare, senza considerare il fatto controverso oggetto di appello incidentale costituito dall’apporto lavorativo della socia C.S. ai fini della determinazione del maggior reddito.
Le censure, da esaminare congiuntamente perché connesse, sono fondate nei termini di cui in prosieguo.
Sulla base di quanto affermato negli atti di entrambe le parti, si controverte in tema di accertamento mediante l’applicazione di parametri.
In proposito le sezioni unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente; l’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito.
Nella specie i giudici d’appello, peraltro in maniera generica e tutt’altro che chiara, si sono sostanzialmente limitati ad affermare che “nessuna prova provata e nemmeno nessuna presunzione grave precisa e concordante risulta in atti”. In tali termini non è possibile enucleare le ragioni per le quali il giudice d’appello ha ritenuto di accogliere le (peraltro non meglio identificate) “argomentazioni difensive del contribuente”, e, a fortiori, non è possibile riscontrare l’applicazione da parte dei suddetti giudici dei criteri dettati dalla giurisprudenza di questo giudice di legittimità in materia di valutazione dei risultati dell’accertamento effettuato mediante il ricorso a parametri, siccome sopra esposti.
Nei limiti e nei termini di cui sopra vanno pertanto accolti il terzo e il quarto motivo di ricorso, mentre devono essere respinti i primi due. La sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti delle censure accolte con rinvio anche per le spese alla C.T.R. della Toscana in diversa composizione perché, previ gli accertamenti in fatto eventualmente ritenuti necessari e passibili, provveda a decidere la controversia facendo applicazione del principio di diritto espresso dalla sezioni unite di questa Corte come sopra riportato.
P.Q.M.
Respinge i primi due motivi di ricorso, accoglie per quanto di ragione il terzo e il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla C.T.R. della Toscana in diversa composizione.
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