CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 12317 del 17 maggio 2017
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, avverso la sentenza della C.T.R. dell’Emilia-Romagna, depositata in data 3/3/2009, con la quale, rigettandosi l’appello dell’Ufficio, è stata confermata la decisione di primo grado che, su ricorso di G. M., aveva annullato l’avviso di accertamento nei confronti della stessa emesso per il recupero a tassazione separata, a fini Irpef per l’anno 2000, della plusvalenza che l’Ufficio riteneva essere stata dalla stessa realizzata, ai sensi degli art. 37, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con la cessione a titolo oneroso di un terreno edificabile: bene inizialmente donato in data 28/3/2000 dalla predetta al coniuge E. F. e ai figli F. e F., e quindi venduta da questi ultimi, in data 25/7/2000, alla società D.M. S.r.l..
Secondo la C.T.R. gli indizi indicati dall’Ufficio (essere stata la M. beneficiaria di un assegno bancario di lire 500 milioni nell’anno 1998, a titolo di acconto sulla vendita, e di un ulteriore assegno di lire 200 milioni in data 6/4/2000, entrambi corrisposti dall’acquirente dell’area) non provano il carattere simulato dell’atto di donazione, risultando le dette somme immediatamente riversate sul conto corrente del coniuge E. F., cosicché non risulta che la donante ne avesse mai goduto (unico tema — afferma — rilevante nel giudizio).
Hanno inoltre rilevato, i giudici d’appello, che tali elementi potrebbero al più dimostrare il carattere elusivo dell’operazione, ai sensi dell’art. 37-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, norma però non richiamata a fondamento dell’atto impositivo, e che in ogni caso in tale prospettiva l’Ufficio non aveva svolto specifici motivi d’appello.
La contribuente resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché dell’art. 2697 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 81, comma 1, lett. b), d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo anteriore alla riforma del 2004, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ.. Formula il seguente quesito di diritto:
«dica la Corte se — con riferimento ad una operazione consistita nella donazione di terreni da parte della originaria titolare, odierna resistente, a stretti congiunti (marito e figli), e nella successiva vendita degli stessi terreni a distanza di soli 4 mesi dalla donazione [con il risultato che sulla donazione non era stata conseguita plusvalenza tassabile mentre sulla vendita era maturata una plusvalenza di minimo importo ai sensi dell’art. 81, comma 1, lett. b) t.u.i.r.], operazione contestata dall’Ufficio il quale, ritenuta simulata la donazione, aveva recuperato a tassazione la plusvalenza ritenuta conseguita dalla medesima donante per interposta persona — violi gli artt. 37, comma 3, e 38 d.P.R. 600/1973, in relazione all’art. 81, comma 1, lett. b) t.u.i.r., la sentenza della C.T.R. che abbia annullato l’accertamento in base alla mera considerazione che il corrispettivo della vendita (in parte pagato con assegni intestati alla odierna resistente) era stato incassato dal coniuge della stessa in base al teorema: mancato incasso degli assegni = non possesso del reddito da parte della contribuente, laddove invece le norme in epigrafe (correttamente interpretate nel senso che il fenomeno della interposizione di persona implica in sé stesso una divergenza tra il “formale” possessore del reddito e l'”effettivo” possessore e che l’Amministrazione è legittimata ad avvalersi del meccanismo di prova presuntiva per l’identificazione dell’effettivo possessore di redditi formalmente risultanti appartenenti a terzi), avrebbero dovuto indurre la C.T.R. ad accertare la effettiva corrispondenza della situazione formale rispetto a quella reale, rilevando altresì l’inidoneità della circostanza addotta (mancato incasso degli assegni da parte della contribuente) a costituire prova liberatoria della presunzione di cui all’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, atteso che detta circostanza è perfettamente compatibile, sul piano logico e anche giuridico, con il perdurante possesso del reddito da parte della medesima, ben potendo il possesso del reddito avvenire anche attraverso la persona che ha materialmente incassato gli assegni, tanto più che detta persona era il coniuge della medesima contribuente».
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia in subordine «motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.», formulando il seguente momento di sintesi:
«in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla identificazione dell’effettivo possessore del reddito da plusvalenza per cui è causa, la sentenza è affetta da contraddittorietà della motivazione in quanto la C.T.R. attribuisce rilevanza decisiva alla considerazione che gli assegni emessi quale corrispettivo della vendita dei terreni in esame furono incassati dal coniuge della contribuente, ciò deponendo a suo dire per il mancato possesso del reddito da plusvalenza da parte della contribuente medesima, laddove invece la valenza indiziaria di tale circostanza è smentita da numerose altre circostanze (debitamente riferite dall’amministrazione in sede di appello) attestanti la: fittizietà della donazione e il conseguimento del reddito da plusvalenza da parte della contribuente per interposta persona (stretto rapporto familiare esistente tra .la contribuente e i donatari; stretto lasso temporale intercorso tra la donazione e la successiva vendita dei terreni in esame; incongruenza della quota di corrispettivo incassata dal coniuge della contribuente, rispetto alla quota di cui era proprietario …; mancata prova che essa non avesse la gestione dei conti del coniuge).
«La decisione appare motivata in modo insufficiente in quanto non è spiegato l’iter logico in base al quale, pure in presenza delle numerose circostanze di fatto, sopra evidenziate, la C.T.R. è pervenuta ad attribuire valenza decisiva all’incasso degli assegni da parte del coniuge della contribuente, senza considerare che essa poteva continuare a mantenere il possesso del reddito da plusvalenza per interposta persona, trattandosi del proprio coniuge non separato».
3. Con il terzo motivo l’Agenzia deduce infine violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., formulando il seguente quesito di diritto:
«dica la Corte se — con riferimento ad una operazione consistita nella donazione di terreni da parte della originaria titolare (odierna resistente, che li aveva conseguiti nel 1978 e nel 1988), a stretti congiunti (marito e figli), e nella successiva vendita degli stessi terreni a distanza di soli 4 mesi dalla donazione: operazione che aveva consentito di evitare la formazione di una plusvalenza tassabile sulla donazione e aveva ridotto in modo estremamente significativo la plusvalenza tassabile in relazione alla vendita — violi gli artt. 37-bis d.P.R. 600/1973, la sentenza della C.T.R. che abbia affermato l’inapplicabilità dell’art. 37-bis d.P.R. 600/1973, per non essere stata detta norma posta alla base dell’accertamento e non invocata nel corso del giudizio, laddove invece la norma stessa (correttamente interpretata nel senso che sono rilevabili d’ufficio le eventuali cause di invalidità o di inopponibilità all’amministrazione del contratto, nonché le eccezioni poste a vantaggio dell’amministrazione in una materia, come è quella tributaria, da essa non disponibile) avrebbero dovuto indurre la C.T.R. ad affermare l’applicabilità nel caso in esame del richiamato art. 37-bis d.P.R. 600/1973, anche in considerazione del fatto che sia l’atto di accertamento e sia gli atti defensionali dell’amministrazione, pur richiamando l’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, avevano di fatto evidenziato la ricorrenza nella specie di tutti gli estremi della fattispecie elusiva di cui all’art 37- bis d.P.R. 600/1973, fattispecie sulla quale codesta Corte può dunque pronunciarsi sulla base della compiuta descrizione che se ne rinviene in atti non essendovi necessità di alcuna ulteriore indagine di fatto».
4. Il primo motivo è fondato nei termini di seguito precisati.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare, in pronunce relative a fattispecie analoghe alla presente (meccanismo negoziale caratterizzato dalla donazione di un terreno da parte del titolare ai figli o comunque a prossimi congiunti, pochi giorni prima della vendita ad un terzo, poi effettuata da questi ultimi, ritenuti soggetti interposti), la possibilità di dichiarare inopponibili all’amministrazione finanziaria — in applicazione di un principio generale antielusivo desumibile dall’art. 53 Cost., ma anche dai princìpi comunitari — i benefici fiscali derivanti dalla combinazione di operazioni a ciò volte.
È stato in particolare più volte ribadito che la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dall’art. 37, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta: ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali.
Da quanto esposto consegue che il carattere reale, e non simulato, dell’operazione di vendita e l’effettiva percezione del prezzo da parte dei venditori-donatari, non sono sufficienti ad escludere lo scopo elusivo dell’intera operazione negoziale posta in essere, nella sequenza donazione-vendita (v. ex aliis Cass. n.14470 del 2016; n. 25671 del 2013; n. 449 del 2013 e precedenti ivi richiamati). Nel caso di specie la C.T.R., erroneamente postulando che la questione posta riguardasse il più ristretto orizzonte valutativo della sussistenza del carattere simulato del negozio traslativo posto in essere tra la contribuente e i propri familiari, non si è conformata alla esposta interpretazione delle norme rilevanti nella fattispecie.
Il primo motivo va pertanto accolto, rimanendo assorbito l’esame dei rimanenti.
La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, che procederà ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi sopra enunciati.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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