CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 12317 depositata il 15 giugno 2016
AVVISO DI ACCERTAMENTO IN GENERE – CONTENZIOSO TRIBUTARIO IN GENERE- SOLIDARIETA’ TRIBUTARIA – GIUDICATO DI RIFLESSO
ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. P.T. e M.L. proponevano ricorso avverso distinti avvisi di liquidazione dell’imposta di registro ed Invim che traevano origine dalla rettifica del valore dichiarato nell’atto di compravendita di un immobile da lire 270.000.000 a lire 390.000.000.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma dichiarava l’inammissibilità del ricorso con sentenza depositata il 22 ottobre 2001 che passava in giudicato.
L’ufficio notificava ai contribuenti gli avvisi di liquidazione in forza della sentenza passata in giudicato e gli odierni ricorrenti li impugnavano chiedendo l’estensione del giudicato favorevole nel frattempo formatosi nei confronti del condebitore solidale M.D.C., parte acquirente dell’atto di compravendita. La commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva parzialmente il ricorso ritenendo che il debito relativo all’imposta di registro fosse estinto per l’avvenuto pagamento da parte dell’altro coobbligato mentre, per quanto riguardava l’imposta Invim, non era possibile estendere il giudicato favorevole poiché le parti avevano impugnato autonomamente l’avviso di accertamento di maggior valore.
Proposto appello da parte dell’ufficio, il quale sosteneva che l’unica imposta di registro versata da parte dell’acquirente M.D.C. era quella principale corrisposta in sede di registrazione e non l’imposta complementare oggetto dell’avviso di liquidazione, la commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello.
2. Avverso la sentenza della CTR hanno proposto ricorso per cassazione P.T. e M.L. affidato a cinque motivi illustrati con memoria. Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate. Il procedimento è stato rubricato al numero 6609/2010.
3. I ricorrenti presentavano domanda di definizione della lite ai sensi dell’articolo 39, comma 12, del decreto legge numero 98 del 2011, convertito dalla legge n. 111 del 2011, e l’Agenzia delle entrate, con atto notificato il 19 settembre 2012, comunicava il diniego della definizione poiché l’atto impugnato non risultava tra quelli definibili in quanto atto di mera riscossione non riconducibile alla categoria degli atti impositivi.
4. Avverso l’atto di diniego hanno proposto altro ricorso i contribuenti affidato ad un motivo. Il procedimento è stato rubricato al numero 27127/2012.
5. Con il primo motivo del ricorso rubricato al numero 6609/2010 i ricorrenti deducono violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 55 e 57 d.p.r. 131/86. Hanno formulato il seguente quesito di diritto, ai sensi dell’articolo 360 bis del codice di procedura civile: “Dica la suprema corte di cassazione se la sentenza impugnata abbia violato e/o falsamente applicato l’articolo 55 del d.p.r. 131/86 ritenendo dovuta l’imposta complementare di registro in presenza di una valutazione definitiva della base imponibile ai sensi dell’articolo 52 del d.p.r. 131/86 ed in presenza di un pagamento dell’imposta di registro nella misura effettivamente dovuta in base alla valutazione della base imponibile ai sensi dell’articolo 52 del d.p.r. 131/86 e se la sentenza impugnata abbia violato e/o falsamente applicato l’articolo 57 del d.p.r. numero 131/86 ritenendo i contraenti debitori obbligati in solido con i contraenti acquirenti per il pagamento dell’imposta complementare di registro da questi non dovuta per decisione passata in cosa giudicata”.
Sostengono i ricorrenti che la CTR avrebbe dovuto ritenere che il giudicato formatosi a favore dell’acquirente D.C.M., ai sensi dell’articolo 1306 cod. civ., era estensibile ad essi venditori, perché doveva ritenersi definitivamente accertato il valore del bene immobile esposto in atto, con la conseguenza che il pagamento dell’imposta principale da parte dell’acquirente aveva estinto l’obbligazione tributaria.
6. Con il secondo motivo deducono vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, numero 5, cod. proc. civ., nonché violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ., in relazione all’articolo 7 del decreto legislativo 546/92. In relazione al dedotto vizio dipendente da violazione di legge, i ricorrenti hanno formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la suprema corte di cassazione se la sentenza impugnata abbia violato e/o falsamente applicato l’articolo 7 del decreto legislativo 546/92 omettendo di esercitare i poteri istruttori con l’acquisizione d’ufficio della quietanza del pagamento dell’importo di lire 1. 740.000 da parte del signor D.C.M. in data 17 luglio 1996 a titolo di imposta complementare, ai fine di sopperire all’impossibilità della parte appellata di esibire tale documento in possesso della parte appellante”.
Nella sostanza, assumono i ricorrenti che l’acquirente aveva versato l’imposta complementare richiesta dall’ufficio e che la CTR avrebbe dovuto esercitare i poteri ufficiosi a! fine di acquisire presso l’Agenzia delle entrate la prova di detto pagamento.
7. Con il terzo motivo deducono violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ., in relazione all’articolo 1306 cod. civ.. Hanno formulato i ricorrenti il seguente quesito di diritto: “Dica la suprema corte di cassazione se la sentenza impugnata abbia violato e/o falsamente applicato l’articolo 1306, comma 2, del codice di procedura civile ritenendo preclusivo all’estensione della pronuncia favorevole ottenuta dal condebitore contraente acquirente il giudicato contrario intervenuto nell’autonomo giudizio proposto avverso lo stesso avviso di accertamento di maggior valore dei condebitori contraenti debitori, non essendo tale caso contemplato dalla norma regolatrice della fattispecie”. Sostengono i ricorrenti che la CTR ha ritenuto fosse di ostacolo all’estensione, a favore dei venditori, del giudicato ottenuto dall’acquirente la sussistenza di un giudicato autonomo sul ricorso proposto dei venditori. Sennonché l’articolo 1306, comma 2, cod. civ. preclude l’opponibilità della sentenza al creditore solo ed esclusivamente allorché la pronuncia sia fondata sopra ragioni personali al condebitore mentre, nel caso che occupa, non erano rinvenibili tali ragioni preclusive dell’estensione.
8. Con il quarto motivo deducono vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, numero 5, cod. proc. civ., per aver omesso la CTR di motivare in ordine al fatto che la sentenza di inammissibilità del ricorso non era preclusiva all’estensione del giudicato.
9. Con il quinto motivo deducono violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ., in relazione all’articolo 112 cod. proc. civ. in quanto la CTR ha omesso di pronunciare sul motivo d’appello incidentale con cui era stata censurata la sentenza di primo grado per omessa motivazione in merito al rigetto della domanda relativa all’illegittimità delle sanzioni pecuniarie irrogate nell’avviso di liquidazione. Hanno formulato i ricorrenti il seguente quesito di diritto: “Dica la suprema corte di cassazione se la sentenza impugnata abbia violato e/o falsamente applicato l’articolo 112 cod. proc. civ. omettendo qualsiasi pronuncia in ordine al motivo di appello incidentale relativo alla statuizione di primo grado sulle sanzioni pecuniarie irrogate nell’avviso di liquidazione”.
10. Con l’unico motivo del ricorso rubricato al numero 27127/2012 i ricorrenti sostengono che, contrariamente a quanto affermato dall’Agenzia delle entrate, gli avvisi di liquidazione impugnati non costituivano atti di mera riscossione ma atti con i quali l’amministrazione aveva manifestato ai contribuenti la pretesa impositiva per effetto di un valore deciso ad accertato in sede contenziosa.
11. Il Collegio, preliminarmente, dispone, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., la riunione al ricorso n. 6609/2010 del ricorso 27127/2012 in base al principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi in concreto – come nella specie appare del tutto evidente – elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto (da ult, Cass., Sez. un., n. 18050 del 2010).
12. Osserva la Corte che il motivo di ricorso avverso il diniego del condono è ammissibile perché le Sezioni unite, con la sentenza n. 17931 del 24/07/2013, hanno ribadito un indirizzo meno formalistico quanto all’onere della specificità ex art. 366 c.p.c., n. 4, affermando che la disposizione secondo cui il ricorso deve indicare “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”, non debba essere inteso quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione della ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, cui si ritenga di ascrivere il vizio, né di precisa individuazione, nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali, degli articoli, codicistici o di alti testi normativi. Le Sezioni Unite hanno precisato che il ricorso deve essere articolato in specifici motivi immediatamente ed inequivocabilmente riconducili ad una delle cinque ragioni di impugnazione previste dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Nel caso che occupa i ricorrenti con il ricorso hanno esposto la narrativa degli antefatti e dei fatti di causa ed hanno indicato con precisione l’oggetto dell’originaria pretesa deducendo che il provvedimento di diniego del condono si poneva in contrasto con l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, la quale ha riconosciuto la definizione degli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro facendoli rientrare nel più ampio concetto di atti di imposizione. Ne deriva che dalla lettura dell’atto è immediatamente percepibile che il motivo della doglianza è sussumibile nella previsione normativa di cui all’articolo 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ..
Il motivo è, tuttavia, infondato, in quanto costituisce principio più volte affermato dalla corte di legittimità, ancorché avuto riguardo alla definizione agevolata prevista dall’art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (peraltro richiamato dall’art. 39, comma 12, D.L. n. 98/2011), quello secondo cui non può ritenersi lite fiscale pendente la controversia introdotta con l’impugnazione di un atto recante le somme dovute a seguito di un avviso di accertamento divenuto definitivo, trattandosi di atto che si esaurisce nell’intimazione al versamento della somma dovuta in base ad una pretesa fiscale ormai definitiva e non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo (ex plurimis, Cass. n. 15799 del 27/07/2015; Cass. n. 27163 del 04/12/2013).
13. Il primo ed il terzo motivo del ricorso n. 6609/2010 debbono essere esaminati congiuntamente in quanto sottendono la medesima questione giuridica. Essi sono entrambi infondati. Questo collegio intende dare continuità al principio più volte affermato dalla corte di legittimità secondo cui “In tema di solidarietà tributaria, la facoltà del coobbligato d’imposta di avvalersi, ai sensi dell’art. 1306 cod. civ., della sentenza – passata in giudicato – pronunciata tra l’amministrazione finanziaria ed altro condebitore in solido (cosiddetto giudicato riflesso) trova un limite nella eventuale esistenza, nei confronti del coobbligato medesimo, di un diverso e contrario giudicato. Ad un tal riguardo, anche la sentenza a contenuto meramente processuale (nella fattispecie, pronuncia di inammissibilità del ricorso introduttivo per tardività) costituisce ostacolo all’applicazione del principio del giudicato riflesso” (cfr Cass. n. 18025 del 07/09/2004; n. 13997 del 27/09/2002). Ne deriva che era precluso ai ricorrenti avvalersi della sentenza favorevole ottenuta dal coobbligato D.C. in quanto il ricorso da essi proposto avverso l’avviso di liquidazione era stato ritenuto inammissibile con sentenza passata in giudicato.
14. Il secondo motivo è inammissibile con riguardo al dedotto vizio di motivazione per mancanza del quesito di fatto ed è infondato con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 7 D. Lgs. 546/92 in quanto la commissione non può esercitare i poteri officiosi ad essa conferiti per sopperire ad un onere di prova che incombe sulla parte. Peraltro appare del tutto evidente che l’imposta complementare eventualmente pagata dal coobbligato in solido gli era stata restituita a seguito dell’esito vittorioso della lite.
15. Il quarto motivo è inammissibile perché non risulta formulato il quesito di fatto.
16. Il quinto motivo è inammissibile in quanto la decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già per violazione di legge bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame; ne consegue, quindi, che, se, come nel caso di specie, il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, anziché dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., il ricorso si rivela inammissibile (Cass. n. 11801/2013; n. 12952/2007; n. 1791/2006, n. 27387/2005, n. 12475/2004).
17. I ricorsi riuniti vanno, dunque, rigettati e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi riuniti e condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle entrate e le spese processuali che liquida in euro 3.000,00, oltre a eventuali spese prenotate a debito.
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