Corte di Cassazione sentenza n. 12352 del 17 maggio 2017
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Cosenza, depositato il 20.10.12, F.L. chiedeva accertarsi la illegittimità del licenziamento individuale irrogatogli per motivi disciplinari, con condanna del datore di lavoro alla riassunzione o al risarcimento ex art. 8 l. n. 604/1966.
Deduceva a sostegno che aveva lavorato con mansioni di educatore addetto alla vendita presso la Cooperativa Sociale Il Gelso Onlus dal 10.4.06 fino al 21.1.12, data in cui era stato licenziato a seguito di procedimento disciplinare, con il quale gli erano state contestate le assenze ingiustificate per i giorni dal 20 al 24.10.11, e per il giorno 11.11.11, le prime perché il medico di controllo Inps aveva accertata la idoneità alla ripresa del lavoro dal 20.10.11 e la seconda per essere stata giustificata solo a mezzo di comunicazione telefonica.
Il licenziamento era a suo avviso illegittimo in quanto le assenze dal 20 al 24.11 erano giustificate dalla prosecuzione della malattia certificata dal medico curante ed inviata al datore di lavoro, la seconda da improvviso malore della moglie che aveva in urgenza dovuto accompagnare in ospedale, per una interruzione improvvisa della gravidanza in atto.
Si costituiva la Cooperativa deducendo in via preliminare il mancato rispetto dei termini di decadenza per l’impugnazione del licenziamento di cui alla L. n.183/10, e nel merito la legittimità formale e sostanziale del licenziamento irrogato.
Il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda relativa alla dedotta illegittimità del licenziamento, per essere stata inoltrata oltre i termine di decadenza di cui all’art. 6 L. n. 604/1966, come modificato dalla L. n. 183/10. Avverso tale sentenza proponeva appello il lavoratore, eccependo l’erronea applicazione alla fattispecie dell’art. 32 L. n. 183/10 per la proroga di cui alla L. 26.2.2011 n. 10, per essere stato il licenziamento irrogato con lettera raccomandata spedita il 29.12.11.
Riteneva comunque errata l’interpretazione della norma nella parte in cui aveva ritenuto il termine di decadenza di 270 giorni (applicabile nella specie ratione temporis) come decorrente dalla data di effettiva impugnazione stragiudiziale anziché dal termine finale di 60 giorni posto per l’impugnativa stragiudiziale.
Ribadiva nel merito l’illegittimità della sanzione.
Si costituiva l’appellata che eccepiva la inammissibilità del ricorso in appello ex art. 342 c.p.c. e nel merito la correttezza delle valutazione dei primo giudicante in punto di decadenza.
Con sentenza depositata il 17 luglio 2015, la Corte d’appello di Catanzaro accoglieva il gravame, dichiarando illegittimo il licenziamento in questione e condannando la cooperativa a riassumere il lavoratore o a risarcirgli il danno commisurato in sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Cooperativa, affidato a quattro motivi.
Resiste il F. con controricorso.
Motivi della decisione
1.- In base al principio della “ragione più liquida” (su cui cfr., da ultimo, Cass. n. 17214/16, Cass. n. 12002/14, secondo cui il principio consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 cod. proc. civ., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre), converrà esaminare dapprima il secondo motivo di ricorso, con cui la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 6 L. n. 604/66, come modificato dall’art. 32 L. n. 183/2010.
Lamenta che la sentenza impugnata ritenne di dover calcolare il nuovo termine (nella specie, ratione temporis, pari a 270 giorni) di decadenza dall’impugnazione del licenziamento non dal momento della effettiva proposizione dell’impugnazione stragiudiziale del recesso, bensì dallo spirare del 60 giorno previsto in via generale per tale impugnazione dal comma 1 dell’art. 6 L.n. 604/66.
Il motivo è fondato ed assorbe l’intero ricorso.
L’art. 6, comma 1, L. n. 604/66 (in parte qua confermato dall’art.32, comma 1, L. n. 183/10) stabilisce che “il licenziamento deve essere impugnato entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione (in forma scritta)”. L’art. 6, comma 2, novellato, stabilisce poi che l’impugnazione non è efficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale…”.
Questa Corte ha già avuto occasione di evidenziare che nulla autorizza a ritenere che tale secondo termine di decadenza, oggettivamente congruo (tanto più nella specie in cui era ancora applicabile quello di 270 giorni, poi ridotto a 180 dalla L. n. 92/12), e diretto ad una maggiore certezza dei rapporti giuridici tra lavoratore e datore di lavoro, debba in ogni caso decorrere dalla scadenza del 60°giorno dalla comunicazione del licenziamento, ed in particolare anche laddove il lavoratore abbia provveduto, liberamente, ad impugnare il recesso con maggiore tempestività senza attendere il 60 giorno dalla comunicazione del recesso. Né è ammissibile l’esistenza di un doppio termine (in contrasto con le esigenze di certezza di cui sopra) per il deposito del ricorso giudiziario; né è ravvisabile alcun trattamento deteriore per chi abbia impugnato (stragiudizialmente) il licenziamento prima del lavoratore che abbia atteso il 60 giorno. Per entrambi è necessario depositare il ricorso giudiziario entro 180 (o, se ancora applicabile, come nella specie, 270) giorni dall’impugnativa stragiudiziale del licenziamento, che ciascun lavoratore può valutare quando proporre (Cass. n. 19710/16).
Alla luce di tale orientamento, cui si intende dare continuità, deve rilevarsi l’intervenuta decadenza dall’impugnativa del licenziamento de quo, essendo esso stato intimato il 21.1.12 (e ricevuto il 29.12.11, come accertato dal Tribunale), l’impugnativa stragiudiziale essendo avvenuta il 9.1.12 (cfr. Cass. n. 20068/15, secondo cui rileva l’invio e non la ricezione dell’atto) ed il ricorso giudiziario essendo stato depositato solo il 20.10.12.
Ciò basta per la cassazione della sentenza impugnata, che non si è attenuta a tale principio, restando le altre censure assorbite.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa viene decisa nel merito direttamente da questa Corte, con il rigetto dell’impugnativa di licenziamento proposta dal F..
Le alterne vicende del giudizio di merito consigliano la compensazione tra le parti delle relative spese, mentre quelle del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di impugnativa del licenziamento proposta dal F..
Compensa le spese di lite afferenti la fase di merito e condanna il F. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a..
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