CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 1248 del 25 gennaio 2016
LAVORO- RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTO DISCIPLINARE – TRASFERIMENTO – ISTANZE DI ACCESSO AGLI ATTI IN RELAZIONE ALLA SITUAZIONE DI TUTTI I DIPENDENTI – ESERCIZIO ABUSIVO DEGLI ISTITUTI A TUTELA DEL LAVORATORE PUBBLICO
E’ legittimo il licenziamento disciplinare di una lavoratrice, la quale provocava un grave disservizio e disagio nell’Ufficio ove operava attraverso continue istanze di accesso agli atti, ventilate denunce penali, ricorsi e domande di ogni tipo allo scopo di esercitare un pressione per ottenere il trasferimento nel luogo di residenza della famiglia di origine, legittimamente negatole.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 19.1.2010 (…) chiedeva al Giudice del lavoro di Brescia la dichiarazione di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole dalla convenuta Agenzia delle Entrate in data 22.5.2009 con ordine di reintegrazione e pagamento delle retribuzioni non percepite. Contestava la fondatezza delle contestazioni, la loro tempestività e specificità e chiedeva i danni ulteriori provocati dall’ingiusto recesso. Si costituiva l’Agenzia delle Entrate che allegava la fondatezza delle contestazioni avendo la (…) provocato un grave disservizio e disagio nell’Ufficio ove operava attraverso continue istanze di accesso agli atti, ventilate denunce penali, ricorsi e domande di ogni tipo allo scopo di esercitare un pressione per ottenere il trasferimento a (…) legittimamente denegatole in relazione al tipo di contratto concluso con l’Amministrazione. Il Tribunale rigettava il ricorso ritenendo provato l’intento della dipendente di creare un “caso” al fine di ottenere per esasperazione il trasferimento creando un grave disagio nell’Ufficio ove operava; riteneva incidentalmente tempestiva la contestazione e proporzionata la sanzione. La Corte di appello di Brescia con sentenza del 2010.2011 respingeva l’appello della lavoratrice. La Corte territoriale osservava che alla (…) era stato contestato un esercizio abusivo degli istituti a tutela del lavoratore pubblico attraverso una serie di iniziative e condotte che erano in realtà finalizzate e preordinate a creare una situazione di malfunzionamento e di disagio nell’Ufficio ove operava la (…) onde premere per ottenere il trasferimento a (…), luogo di residenza della famiglia di origine. Era stato anche contestato che molte delle comunicazioni della (…) avevano un contenuto minaccioso e che era stata omessa la comunicazione delle variazione della residenza ove effettuare il recapito delle varie risposte dell’Amministrazione. La Corte di appello ricordava che la (…) era stata assunta prima con contratto di formazione lavoro e poi a tempo indeterminato e che era obbligata a fermarsi per 5 anni in fissisi e che aveva da subito iniziato a rivolgere ripetute richieste di trasferimento ad altro Ufficio in (…) o nella Provincia; solo in un caso aveva coltivato tali richieste con un ricorso al Giudice poi respinto e neppure impugnato. Altre ripetute richieste riguardavano invece il controllo del corretto esercizio dei poteri datoriali in materia di ferie, malattie, mobilità interna con continue richieste di accesso agli atti ed un aumento esponenziale delle pratiche da esaminare. Ciò posto la Corte territoriale ricordava alle pagg. 7-10 le molteplici istanze presentate per ottenere il trasferimento a (…) con proposta di interscambio con il fratello (…) che era dipendente della Difesa e che, come era poi emerso, aveva già vinto il concorso per notaio. La (…) presentava molteplici richieste di trasferimento per assistere familiari (pag. 8 della sentenza) e correlativamente varie istanze di accesso agli atti o di invito a provvedimenti di autotutela da parte dell’Amministrazione con riferimenti anche a possibili denunce in sede penale (pag. 9 della sentenza); ancora venivano presentate istanze per ottenere un periodo di aspettativa poi corredata da altre richieste di informazioni ( pag. 10 della sentenza impugnata), nonché istanze per ottenere nuovamente un’aspettativa per assistenza ai familiari, reiterata con modifica della decorrenza e seguita da vari solleciti ( pag. 11 della sentenza impugnata). Molteplici domande di accesso agli atti per varie ragioni venivano inoltrate nel settembre del 2008; concessa un’aspettativa la (…) comunicava che invece era in stato di malattia e alla fine di settembre presentava ulteriore istanza di distacco; successivamente avanzava altre richieste di modifica del periodo di aspettativa ( pag. 12 della sentenza impugnata). Stante tale situazione l’Ufficio di (…) chiedeva alla Direzione Regionale come comportarsi visto che la mole crescente di istanze, comunicazioni, richieste su vari fronti, causava un notevole dispendio di risorse e che si stava deteriorando anche il clima nell’Ufficio. Il 13.10.2008 la (…) inoltrava ricorso alla Commissione nazionale per l’accesso ai documenti accusando l’Agenzia di mobbing e prospettando querele e denunzie con invio degli atti alla Procura. Emergeva che la (…) non dimorava più con i genitori presso la residenza dichiarata dalla stessa in quanto questi respingevano alcuni provvedimenti dell’Ufficio di appartenenza. Le istanze a mezzo fax della (…) a questo punto si moltiplicavano (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata); la lavoratrice riprendeva servizio il 1.12.2008 ed il 13.1 2009 veniva mossa la contestazione disciplinare. Per la Corte territoriale l’elencazione neppure esaustiva delle continue istanze prodotte, necessariamente seguite da istruttorie e provvedimenti motivati, rendeva evidente che ci si trovava di fronte ad un caso di scuola di abuso del diritto, trattandosi di istanze inutili e meramente di disturbo. Ad esempio la (…) tra il 5 gennaio ed il 12 gennaio aveva fatto recapitare 14 copie relative a tre distinti tentativi di conciliazione in teoria preliminari ad altrettante cause che poi non erano state proposte. La contestazione non era tardiva in quanto doveva tenersi conto della complessità dell’organizzazione dell’Agenzia delle Entrate che comporta la mancanza di un contatto diretto tra il soggetto titolare del potere disciplinare ed il dipendente; la segnalazione all’Ufficio contenzioso e disciplina era peraltro del 27.11.2008 ed occorreva necessariamente raccogliere tutte le missive della lavoratrice (raccolte in un intero faldone) onde valutare se effettivamente integrassero nel loro insieme un esercizio abusivo del diritto e se il comportamento tenuto avesse varcato i limiti della ragionevole tolleranza. La (…) peraltro era stata già il 8.7.2008 diffidata ad evitare l’invio di messaggi di posta elettronica attraverso la sua casella non attinenti all’attività di ufficio; un primo chiaro messaggio alla dipendente a non commettere abusi accompagnato da numerosi inviti verbali. Inoltre a carico della dipendente era ascrivibile il comportamento tenuto nell’avere indicato per un interscambio il fratello già vincitore di un concorso per notaio, lo spostamento della propria dimora da (…) a (…) (da dove erano partiti numerosi suoi fax) senza avvertire il datore di lavoro in modo da rendere più difficoltoso la ricezione delle missive del datore di lavoro, circostanza che provava indirettamente il carattere pretestuoso delle varie richieste di aspettative ex L. n. 104/90 posto che per il periodo di aspettativa non aveva provveduto ad accudire gli anziani nonni e gli altri parenti malati. La gravità della condotta scritta era innegabile visto che la condotta della (…) aveva sottratto energie preziose all’Ufficio ove operava alterando il clima di fiducia e di fattiva e leale collaborazione. Anche il comportamento tenuto dopo la contestazione era stato coerente con la pregressa condotta avendo cercato l’appellante attraverso plurime nomine di difensori e procuratori speciali di ritardare l’adozione del provvedimento anche attraverso certificati medici; persino nel Febbraio del 2009 erano stati inviati atti con cui si chiedevano provvedimenti di autotutela, periodi di ferie, si presentavano istanze modificative di altre richieste etc., comportamenti che comprovavano ulteriormente la mancanza di buona fede e la lesione degli obblighi di fedeltà e correttezza del pubblico dipendente.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la (…) con tre motivi; l’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 55 comma quinto D. Lgs n. 165/2001 e dell’art. 66 CCNL comparto Agenzie fiscali. La contestazione non era stata tempestiva, così come richiesto dall’art. 55 comma quinto D. Lgs n. 165/2001. Le condotte ascritte alla (…) erano autonome l’una dall’altra e dovevano essere contestate e sanzionate non appena commesse. Inoltre la contestazione era generica per quanto riguarda il periodo in cui sarebbero state compiute le condotte ascritte, alcune risalenti al 2007.
Il motivo appare infondato. Posto che alla (…) è stato ascritto un insieme di atti che complessivamente rappresentano un esercizio abusivo degli istituti a tutela del lavoratore pubblico non vi è dubbio che questi andassero valutati complessivamente, nella loro articolazione quantitativa e qualitativa. Ciascuna delle istanze, richieste, diffide, atti di messa in mora, etc. presentate dalla omissis) astrattamente ed atomisticamente considerata ben poteva infatti essere considerata legittima in quanto rivendicazione di interessi che la Legge ha riconosciuto meritevoli di tutela. Solo intesi nella loro globalità tali atti possono costituire un abnorme utilizzazione di procedure previste a tutela del lavoratore costituenti un “abuso di diritto” (figura oggi sancita anche in sede sovranazionale dall’art. 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea); in questa prospettiva unitaria le richieste della lavoratrice sono apparse del tutto strumentali, in quanto quasi sempre inutili trattandosi di azioni di mero disturbo, al fine di ottenere ( anche attraverso la velata prospettazione di denunzie ed esposti in sede penale dal contenuto minaccioso ) quello che la (…) non poteva ottenere e cioè il trasferimento in (…), impossibile per l’obbligo di rimanere in (…) per almeno 5 anni stabilito dal bando del suo concorso. Per questa ragione l’Ufficio non poteva di certo contestare alla lavoratrice ogni singola diffida o richiesta in quanto solo la loro abnorme e preordinata mole (un intero faldone, secondo la sentenza impugnata) consentiva di considerare il detto comportamento come un illecito disciplinare, comportando disagio nell’Ufficio, un clima avvelenato e comportando l’utilizzazione di ingenti risorse umane per istruire le richieste della (…) e dare loro una motivata risposta scritta. Del resto, anche se il comportamento della lavoratrice è iniziato subito dopo l’assunzione, ha avuto pieno sviluppo nel 2008 con una sorta di “crescendo” dopo che la stessa era stata diffidata l’8.7.2008 a non utilizzare in modo improprio e per uso personale la posta elettronica. Emerge dalla sentenza che la richiesta dell’Ufficio contenzioso e disciplina è del 27.11.2008, preceduta da una missiva inviata alla Direzione regionale dell’Ottobre in cui l’Ufficio di Gardone ove operava la (…) chiedeva istruzioni su come comportarsi, mentre la contestazione è del 13.1.2009, quindi dopo un periodo ragionevole per soppesare l’ingente documentazione tenuto anche conto della non conoscenza del dipendente da parte dell’organo titolare del potere disciplinare. Emerge quindi, anche dalla cronologia dei fatti, che l’Ufficio si è attivato non appena ha realizzato pienamente la sistematicità ed il carattere doloso della condotta della (…), il suo intento di creare un clima intollerabile nel luogo ove operava per ottenere un trasferimento che non le spettava, valutando compiutamente gli effetti negativi sull’andamento organizzativo e produttivo dell’Ufficio e sui rapporti tra i dipendenti e ravvisando l’intollerabilità della situazione, nonostante l’avvenuta diffida della lavoratrice. In un tempo del tutto ragionevole, quindi, i fatti sono stati contestati e quindi valutati in sede disciplinare. Va ricordato che secondo questa Corte: “Il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, la cui “ratio” riflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, non consente all’imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro. Peraltro, il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale. La relativa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici” (Cass. n. 14115/2006). Nel caso in esame la motivazione appare congrua e logicamente coerente e puntualmente riferita a tutti gli elementi del giudizio. Nel motivo si deduce anche che sarebbe stata contestato alla lavoratrice anche un comportamento tenuto alla fine del 2007 relativamente alla proposta di scambio del proprio posto con quello del fratello nonostante fosse già vincitore di un concorso per notaio; ma risulta dalla sentenza che la circostanza fu scoperta molto dopo e causalmente dall’Agenzia.
Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 55 comma secondo D. Lgs. n. 165/2001, degli artt. 2106 e 2119 c.c., dell’art. 67 CCNL comparto agenzie fiscali, nonché l’omessa e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio. La sanzione irrogata non rispettava né il principio di gradualità né quello di proporzionalità, tenuto conto anche dell’art. 67 CCNL e delle ipotesi previste.
Il motivo appare infondato. Alla luce della ricostruzione dettagliatissima della condotta sistematica e continuativa delle (…),operata nella sentenza impugnata, non può dubitarsi che la stessa fosse idonea a rompere il legame fiduciario tra le parti tenuto conto anche della situazione creatasi nel piccolo Ufficio ove operava la (…), sia dal punto di vista organizzativo che per il clima creato tra i dipendenti. La sentenza peraltro mostra che neppure dopo la contestazione la (…) rinunciò al metodo di inondare l’Ufficio di richieste di ogni tipo e di creare ostacoli al funzionamento dell’Amministrazione. Risulta dalla sentenza impugnata che nel 2008 la (omissis) era già stata diffidata formalmente (sia pure per un episodio di uso abnorne della posta elettronica) ed informalmente con avvertimenti orali da parte della direttrice, ma senza esito, posto che i comportamenti abusivi si erano intensificati nel tempo.
E’ pacifico che l’elenco di ipotesi disciplinari offerto dalla contrattazione collettiva ha carattere puramente indicativo. La motivazione pertanto appare congrua e logicamente coerente; mentre le censure in realtà appaiono di merito, dirette ad una “rivalutazione del fatto”, come tale inammissibile in questa sede.
Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 2104 e 2105 c.c., nonché dell’art. 7 L. n. 241/1990 in relazione all’art. 360, n. 3 e 5 c.p.c. Il diritto di accesso era previsto per i lavoratori pubblici; non ricorreva la figura dell’abuso di diritto come stilizzato dalla giurisprudenza di legittimità in quanto non vi era stata violazione dei doveri di correttezza e buona fede posto che tutti gli atti ascrivibili alla (…) rientravano nelle sue prerogative; né si era verificato uno sviamento della funzione propria del diritto esercitato.
Il motivo appare infondato. Alla luce dell’ampia e dettagliata motivazione della sentenza impugnata non può dubitarsi che l’enorme mole di iniziative di molteplice natura posta in essere dalla (…) (un intero faldone di atti a sua firma) concreti un “abuso del diritto” in quanto tali atti appaiono del tutto strumentali (anche perché sostanzialmente in gran parte inutili e diretti solo a creare un clima irrespirabile nell’Ufficio ove operava) al raggiungimento di un obiettivo non dovuto e cioè il trasferimento anzitempo in (…). Sotto questo profilo la Corte di appello ha chiaramente evidenziato come tali atti fossero stati inoltrati non per raggiungere il loro fine istituzionale, ma solo per creare disagio e costringere l’amministrazione a cedere e quindi in spregio ai principi di correttezza e buona fede, come ad esempio con la richiesta di accesso alla documentazione relativa (pag. 13 della sentenza impugnata) alla mobilità per il 2007 ed ai dipendenti che vi avessero partecipato nel quinquennio 2002-2006, in mancanza di alcun interesse, o anche l’invio di richieste di conciliazione relative a giudizi che poi non erano stati iniziati etc. Questa Corte ha infatti affermato il principio secondo cui “l’abuso del diritto non è ravvisabile nel solo fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell’altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, essendo, invece, configurabile allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti” (Cass. n. 10568/13), il che è stato accertato dalla Corte territoriale con motivazione congrua e logicamente coerente. Va anche sottolineato che la Corte ha accertato il carattere pretestuoso di tutte le molteplici istanze ex L. n. 104/1990 visti che la (…) (pag. 18 della sentenza impugnata ) aveva spostato durante il periodo di aspettativa la propria dimora da Napoli a Macerata. Sul punto il motivo non offre censure di sorta.
Pertanto va rigettato il proposto ricorso. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità essendo l’agenzia delle Entrate rimasta intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla spese.
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