CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 12607 depositata il 17 giugno 2016
LAVORO – PREVIDENZA – INPS – ASSEGNO MENSILE DI ASSISTENZA – SPETTANZA – REQUISITO SANITARIO DELLA RIDUZIONE DELLA CAPACITA’ LAVORATIVA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’appello di Caltanissetta, con sentenza depositata il 6 novembre 2009, in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Nicosia, ha condannato l’Inps al pagamento in favore degli eredi di A. C. (originario ricorrente), G. M., S. C., R. C., M. C. C. e V. C., dell’assegno mensile di assistenza con decorrenza dalla data della domanda (2/4/2004) e fino al decesso (4/6/2008), oltre accessori come per legge.
2. La Corte ha ritenuto esistente il requisito sanitario della riduzione della capacità lavorativa pari al 77% a far tempo dalla data della domanda amministrativa del 2/4/2004; ha altresì ritenuto che, in forza della documentazione ritualmente prodotta in giudizio attestante la sussistenza dei requisito dell’incollocamento e la mancanza di redditi incompatibili con l’attribuzione dell’assegno mensile, sussistevano i presupposti per il riconoscimento della prestazione assistenziale.
3. Contro la sentenza, l’Inps propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Gli intimati, tra cui il Ministero dell’economia e delle finanze, non svolgono attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso dell’Inps è fondato sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 145, 414, 416, 420, 434 e 437 cod.proc.civ., dell’art. 2697 cod.civ., dell’art. 13 della L. n. 118 del 30 marzo 1971, in relazione all’art. 360, n. 3 cod.proc.civ., nonché sul vizio di insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. Assume che la documentazione attestante la sussistenza dei requisiti socio-economici e in particolare l’incollocamento al lavoro era stata depositata solo con le memorie difensive depositate in data 25/8/2009, nel corso del giudizio di appello, e quindi tardivamente. Si trattava dunque di una documentazione irrituale e inefficace rispetto alla quale, inoltre, la Corte non aveva fornito adeguata motivazione sia circa la data di iscrizione del ricorrente negli elenchi del collocamento obbligatorio, sia in ordine alla ritualità della produzione.
2. Il secondo motivo è fondato sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, n. 4 cod.proc.civ. Assume che tanto nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado quanto nell’atto d’appello le conclusioni della parte erano state nel senso di chiedere la decorrenza della prestazione a far tempo dalla data della presentazione
della domanda, data indicata nel 16/5/2005. Il riconoscimento avvenuto per una data anteriore violava il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
3. In ordine al primo motivo il Collegio, condividendo le conclusioni del Pubblico Ministero di udienza, rileva un difetto di autosufficienza, perché la parte pur avendo dedotto che la documentazione è stata tardivamente prodotta non produce unitamente al ricorso gli atti dei quali risulterebbe tale tardività, e in particolare la memoria difensiva in appello unitamente alla quale è stata depositata la certificazione attestante l’iscrizione del ricorrente negli elenchi del collocamento obbligatorio degli invalidi civili, ovvero il verbale di udienza in cui si è dato atto del deposito del certificato. Dei documenti la parte non fornisce neppure specifiche indicazioni circa la loro attuale collocazione nei fascicoli, di parte o d’ufficio, delle precedenti fasi del giudizio. Un tale onere di indicazione e deposito, imposto, a pena di inammissibilità del ricorso, dall’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., e, a pena di improcedibilità, dall’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., (v. da ultimo, Cass., 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966), si imponeva a più forte ragione dal momento che nella sentenza si è dato atto di una “rituale” produzione della documentazione e non vi è cenno ad una eccezione dell’Inps in ordine alla tardività.
4. Il secondo motivo è invece fondato, non rilevandosi profili di inammissibilità per difetto di specificità o di autosufficienza.
Il ricorrente ha infatti trascritto nel ricorso per cassazione le conclusioni rassegnate da A. C. nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado nonché le conclusioni rassegnate nell’atto d’appello del 18/10/2007: in entrambi gli atti si legge che la domanda è volta ad ottenere il riconoscimento dello stato di invalidità “a far data dalla presentazione della domanda (16/5/2005)” e il diritto dell’invalido a percepire l’assegno “sin dalla mensilità di giugno 2005”. Analoga richiesta è rivolta al giudice d’appello da parte degli eredi, nella loro comparsa di costituzione ex art. 110 cod.proc.civ., in cui si chiede il riconoscimento del diritto a percepire l’assegno “sin dalla mensilità di giugno 2005”. La statuizione del giudice di appello che ha invece riconosciuto il diritto a far tempo dalla data della presentazione della domanda amministrativa dell’aprile 2004, viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato imposto dall’art. 112 cod.proc.civ. ed impone pertanto la cassazione della sentenza in parte qua. Tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi del comma 2° dell’art. 384 cod.proc.civ., con il riconoscimento del diritto di A. C. all’assegno mensile di assistenza a far tempo dal 1/6/2005 e la conseguente condanna dell’istituto previdenziale ai pagamento in favore degli eredi intimati della prestazione con la decorrenza indicata, e gli accessori di legge come già riconosciuti nella sentenza d’appello.
In applicazione del criterio della soccombenza, la quale va valutata con riferimento al complessivo esito della lite, che ha comunque visto riconosciute le ragioni dell’assistito, l’Inps deve essere condannato al pagamento delle spese di entrambi i gradi di merito, nella misura indicata in dispositivo. Nessun provvedimento sulle spese del giudizio di legittimità deve adottarsi, in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara il diritto di A. C. alla prestazione come riconosciuta nella sentenza impugnata a far tempo dal 1/6/2005 e condanna l’Inps al pagamento della detta prestazione con decorrenza indicata in favore degli intimati. Condanna l’Inps al pagamento delle spese del giudizio di merito che liquida per ciascun grado in € 1000,00 di cui € 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e agli altri accessori di legge, disponendone la distrazione in favore dei procuratori anticipatari. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità.
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