CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 12664 depositata il 17 giugno 2016
TRIBUTI – CONTENZIOSO TRIBUTARIO – PROCEDIMENTO – APPELLO – RICORSO PROMOSSO OLTRE IL TERMINE LUNGO DI SEI MESI DALLA PUBBLICATONE DELLA SENTENZA – INAMMISSIBILITA’
IN FATTO
La società K. srl propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione o all’udienza camerale ex art. 380 bis c.p.c.), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 9555/46/2014, depositata in data 6/11/2014, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento, emesso, per maggiori IRES, IRAP ed IVA dovute in relazione all’anno 2010, a seguito di rideterminazione in via induttiva, sulla base degli studi di settore, del reddito d’impresa – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente.
In particolare, i giudici d’appello hanno, in via preliminare, dichiarato inammissibile il gravame proposto dalla contribuente, in data 10/03/2014, oltre il termine lungo, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., per impugnare di sei mesi (trattandosi di giudizio iniziato in primo grado dopo il 4/07/2009 e dunque successivamente all’entrata in vigore della Novella n. 69/2009) decorrente dalla data del deposito, il 1°/10/2012, della sentenza della C.T.P., non notificatale.
A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.
IN DIRITTO
1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, ex art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento e la violazione e falsa applicazione degli artt. 327, 140, 141 e 160 c.p.c., non avendo i giudici della C.T.R. tenuto conto dell’eccezione sollevata in ordine alla irrituale notificazione del decreto di fissazione dell’udienza di trattazione e del dispositivo della sentenza di primo grado (“ad un indirizzo completamente errato e diverso da quello indicato”), con conseguente necessità di far decorrere il termine per impugnare la decisione dalla data in cui la parte ne aveva avuto effettiva conoscenza (vale a dire allorché le era stata notificata la correlata cartella di pagamento).
2. La censura è infondata.
Nel processo tributario, come questa Corte ha ripetutamente affermato, “l’ammissibilità dell’impugnatone tardiva, oltre il termine “lungo” dalla pubblicatone della sentenza, previsto dall’art. 38, coma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, presuppone che la parte dimostri “l’ignoranza del processo”, ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, situazione che non si ravvisa in capo al ricorrente costituito in giudizio, cui non può dirsi ignota la proposizione dell’azione, dovendosi ritenere tale interpretazione conforme ai principi costituzionali e all’ordinamento comunitario, in quanto diretta a realizzare un equilibrato bilanciamento tra le esigenze del diritto di difesa e il principio di certezza delle situazioni giuridiche. Né assume rilievo l’omessa comunicazione della data di trattazione, che è deducibile quale motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 161, primo comma, cod. proc. civ., in mancanza della quale la decisione assume valore definitivo in conseguenza del principio del giudicato” (Cass. n. 23323 del 2013; Cass. 23545/2015; Cass. n. 16004 del 2009).
Ancora questa Corte ha, di recente, ribadito che “il termine previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1 decorre dalla pubblicazione della sentenza e, quindi, dal suo deposito in cancelleria e non già dalla comunicazione che di tale deposito dà il cancelliere alle parti D.P.R. n. 546 del 1992, ex art. 37, comma 2 trattandosi di attività informativa che resta estranea al procedimento di pubblicazione, della quale non è elemento costitutivo, nè requisito di efficacia’’ (v. Cass. 7675/2015; Cass. 8508/2013; Cass. 639/2003).
E’ per questa ragione che è stato ritenuto privo di rilievo, nella fattispecie, l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 153, comma 2, c.p.c., a seguito della l. 69/2009, pur essendone stata riconosciuta l’applicabilità al rito tributario (da ultimo, Cass. 12544/2015; Cass. 8715/2014; Cass. 3277/2012).
Invero, è stato chiaramente precisato da questa Corte (Cass. 8151/2015) che “l’errore sulla norma processuale che disciplina le forme di notifica della sentenza tributaria di appello, rimane escluso dall’ambito di applicazione dell’istituto della rimessione in termine già previsto dall’art. 184 bis cod. proc. civ., abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, e sostituito dalla generale previsione di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2, in quanto viene a risolversi in un errore di diritto inescusabile (cfr, Cass. n. 17704 del 29/07/2010), non integrante un fatto impeditivo della tempestiva proposizione della impugnazione, estraneo alla volontà della parte, e della prova del quale quest’ultima è onerata (cfr. Cass. n. 23323 del 2013, che, subordina l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine “lungo” dalla pubblicazione della sentenza, previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 38, comma 3, alla dimostrazione “dell’ignoranza del processo”, dovendo la parte fornire prova di “non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza”), postulando la causa non imputabile che legittima la rimessione in termine il verificarsi di un evento che presenti il carattere della assolutezza – e non già ima impossibilità relativa, né tantomeno di una mera difficoltà – e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (cfr. Cass. 8216 del 2013)”.
3. I restanti motivi, involgenti vizio motivazionale, ex art. 360 n. 5 c.p.c., sempre in ordine alla decorrenza del termine ex art. 327 c.p.c., ed ex art. 360 n. 3 c.p.c., vizi formali dell’avviso di accertamento, sono, di conseguenza, assorbiti.
4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR 115/2002, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi € 3.000,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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