CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 12794 depositata il 21 giugno 2016
IVA – ATTO IMPOSITIVO EMESSO DALL’AGENZIA CHE RINVIA ACRITICAMENTE AL PVC EMESSO DALLA GUARDIA DI FINANZA – ILLEGITTIMO
RITENUTO IN FATTO
1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della sentenza n. 45 del 3 luglio 2009 con cui la Commissione tributaria regionale della Sardegna, accogliendo l’appello proposto dal C.S.P. s.r.l. e riformando la sentenza di primo grado, annullava l’avviso di rettifica IVA relativa all’anno d’imposta 1997 che l’Amministrazione finanziaria aveva emesso nei confronti della predetta società sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F., da cui emergeva l’omessa annotazione nelle scritture contabili di corrispettivi per complessivi 986.644,95 euro.
Sostenevano i giudici d’appello che l’Agenzia delle entrate aveva acriticamente recepito il processo verbale di constatazione della G.d.F. e, ritenendo di non dover svolgere alcuna indagine sui fatti emergenti da quel verbale, aveva sostanzialmente violato le disposizioni di cui agli artt. 63, 51, 52 e 56 d.P.R. n. 633 del 1972, che impongono all’Amministrazione finanziaria l’obbligo di svolgere l’attività accertativa, essendo quella della Polizia Tributaria attività di natura meramente collaborativa con la prima, e di indicare specificatamente gli elementi probatori negli atti impositivi che emette. Sosteneva, inoltre, che l’Ufficio aveva illegittimamente ignorato l’istanza presentata dalla contribuente ai sensi del d.lgs. n. 218 del 1997, art. 6, così impedendole, oltre che di esporre le proprie ragioni e fornire elementi probatori di segno contrario, anche di usufruire dei vantaggi economici derivanti dall’esito positivo della procedura di adesione.
2. Resiste l’intimata con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e 2700 cod. civ.
Sostiene la ricorrente che il giudice di appello, nel ritenere che l’Amministrazione finanziaria avesse l’obbligo di svolgere l’attività accertativa, essendo quella della polizia tributaria attività di natura meramente collaborativa con la prima, e di indicare specificatamente gli elementi probatori negli atti impositivi che emette, avesse violato le suddette disposizioni negando validità alla c.d. motivazione per relationem, che consentiva all’Ufficio, come espressamente ammesso da questa Corte in numerose pronunce, di emettere atti impositivi motivati mediante rinvio al processo verbale di constatazione della G.d.F., non avendo peraltro alcun onere di verifica dei fatti accertati dalla polizia tributaria.
2. In relazione a tale motivo la controricorrente ne deduce l’inammissibilità per errata indicazione della disposizione censurata, sostenendo che nella specie, considerato il tipo di tributo oggetto di accertamento (l’imposta sul valore aggiunto), viene in rilievo l’art. 56 d.P.R. n. 633 del 1972 e non l’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, indicato dalla ricorrente, che è disposizione dettata in materia di accertamento delle imposte sui redditi.
3. L’eccezione della resistente è infondata alla stregua dell’orientamento meno formalista seguito da questa Corte (cfr. Cass. n. 19882 del 2013) in base al quale la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante. Con riferimento al caso di specie, poi, l’infondatezza dell’eccezione emerge dalla combinazione del principio dell’irrilevanza dell’erronea indicazione della norma indicata nella rubrica del motivo di ricorso per cassazione, quando l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione consenta di chiarire e qualificare, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. n. 14026 del 2012; n. 3114 del 2016; n. 3941 del 2002), e quindi di identificare correttamente la norma o il principio di diritto che il ricorrente assume essere stati violati, con l’identità di contenuto delle due disposizioni (artt. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 d.P.R. n. 633 del 1972) nella parte qui di interesse e cioè laddove prevedono che “Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.
4. Il motivo in esame è in realtà inammissibile per altra ragione e, segnatamente, perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Invero, il giudice di appello, nel ritenere fondata la doglianza della società appellante in ordine all’acritico recepimento da parte dell’Amministrazione finanziaria del processo verbale di constatazione della G.d.F. “senza svolgere alcuna attività tesa all’acquisizione di un autonomo convincimento basato su prove certe da cui far scaturire l’avviso di accertamento”, e sostenendo che incombe sull’Amministrazione finanziaria – contrariamente a quanto da questa sostenuto – l’attività accertativa (artt. 52 e 53 d.P.R. n. 633 del 1972) anche avvalendosi della collaborazione della polizia tributaria (art. 61 stesso d.P.R.), non nega affatto validità alla motivazione per relationem, come sostiene la ricorrente nel motivo in esame, né sollecita una ulteriore attività istruttoria da parte dell’Ufficio, ma rimarca (Cass. n. 4350 del 2016).
La censura pertanto non si pone in linea con il decisum.
5. Il secondo motivo di ricorso, con cui viene dedotta la violazione dell’art. 6 d.lgs. n. 218 del 1997, per avere i giudici di appello ritenuto che tale disposizione imponesse all’Amministrazione finanziaria l’obbligo di dare comunque seguito alla domanda di adesione, rimane assorbito.
6. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e condanna l’Agenzia al pagamento delle spese processuali liquidate in € 4.000,00. oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
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