CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 12799 depositata il 12 giugno 2016
INVIM RETTIFICA E LIQUIDAZIONE – MAGGIOR VALORE – DETERMINAZIONE – CRITERI – DIFETTO DI MOTIVAZIONE DELL’ATTO IMPOSITIVO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia concerne l’impugnazione da parte dei sig.ri A.R.E.T., F.T. e R.T. di tre avvisi di rettifica e liquidazione ai fini INVIM relativi a tre compravendite immobiliari, contestati per carenza di motivazione e per mancanza di chiarezza e inattendibilità di conteggi posti a base della liquidazione della maggiore imposta INVIM.
La Commissione adita, riuniti i ricorsi, li accoglieva affermando l’incongruità dei valori attribuiti dall’Ufficio. La decisione era riformata in appello, con la sentenza in epigrafe, avverso la quale i contribuenti propongono ricorso per cassazione con undici motivi, illustrati anche con memoria, nella quale si ripropongono considerazioni già svolte nei vari motivi di ricorso. L’amministrazione resiste con controricorso.
Nella pendenza del giudizio il contribuente R.T. ha definito la controversia ai sensi dell’art. 39, comma 12, d.l. n. 98 del 2011: avendone l’amministrazione attestata la regolarità, il giudizio va nei suoi confronti dichiarato estinto, sicché restano in discussione solo le posizioni debitorie che riguardano i contribuenti A.R.E.T. e F.T..
MOTIVAZIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, la parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 53, d.lgs. n. 546 del 1992 per aver il giudice di merito ritenuto specifica un’impugnazione che era invece generica.
1.1.Il motivo è inammissibile in ragione della genericità ed astrattezza del relativo quesito di diritto, la cui formulazione vale per un indefinito numero di casi senza che sia individuabile alcun collegamento con la concreta fattispecie oggetto del giudizio.
1.2. Il motivo è, peraltro, infondato in quanto l’appello dell’Ufficio era specificamente diretto a contestare l’errore da cui era affetta la sentenza di prime cure che risultava incomprensibile nelle sue conclusioni e a contestare altresì il difetto di motivazione della sentenza medesima: con esposizione analitica il giudice di merito rende conto delle singole argomentazioni svolte dalla parte appellante a sostegno della propria impugnazione.
2. Con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 329 cod. proc. civ, sostenendo che l’Ufficio non avrebbe impugnato la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva annullato gli atti impositivi sotto il profilo del vizio di motivazione, questione che ad avviso della parte ricorrente dovrebbe ritenersi autonoma e pregiudiziale.
2.1. Il motivo presenta gli stessi profili di inammissibilità del precedente e si dimostra infondato a fronte di una mera lettura della sentenza impugnata dalla quale emerge a tutto tondo che l’Ufficio aveva chiesto con l’appello la totale riforma della sentenza impugnata, ammesso che si possa ammettere l’ipotizzata, e peraltro non spiegata, autonomia di un capo della sentenza che avesse disposto l’annullamento degli atti impositivi per difetto di motivazione.
3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano omessa pronuncia in ordine all’eccezione di violazione e falsa applicazione dell’art. 7, legge n. 212 del 2000, sempre in ordine al supposto difetto di motivazione dell’atto impositivo, da valere per l’ipotesi subordinata di rigetto dei primi due motivi, ma all’interno della stessa logica di impugnazione.
3.1. La censura è inammissibile per la genericità ed astrattezza del quesito di diritto il quale appare riferibile ad una qualsiasi ipotesi del tipo indicato e non riesce a integrare il punto di congiunzione tra l’enunciazione del principio giuridico generale richiamato e la soluzione del caso specifico (e v. infatti, ex multis, sez. un. n. 14385 del 2007; n. 6420 del 2008; nonché Cass. n. 22640 del 2007, n. 3519 del 2008, n. 11535 del 2008; n. 4044 del 2009).
3.2. Il Collegio ritiene la necessità della formulazione del quesito di diritto anche in relazione agli errores in procedendo perché intende «aderire, e dare continuità, all’indirizzo giurisprudenziale prevalente, il quale assume che il motivo di ricorso per cassazione, soggetto al d.lgs. n. 40 del 2006, deve in ogni caso concludersi con la formulazione di un idoneo quesito di diritto. E ciò anche quando un error in procedendo sia dedotto in rapporto alla affermata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (tra le numerosissime, v. Cass. n. 4146 del 2011; n. 1310 del 2010; n. 22578 del 2009; n. 4329 del 2009), non essendovi spazio, in base al testo dell’art. 366-bis c.p.c., per ipotizzare una distinzione tra i motivi d’impugnazione associati a vizi di attività, a seconda che comportino, o meno, la soluzione di questioni interpretative di norme processuali» (Cass. n. 10758 del 2013).
4. Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano omessa motivazione in ordine al fatto controverso relativo alla carenza di motivazione dell’atto impositivo.
4.1. Il motivo non è fondato, in quanto la sentenza impugnata appare congruamente motivata e spiega le ragioni delle conclusioni adottate sulla base della considerazione che «nella ricostruzione dei valori unitari dei singoli cespiti, che compongono la complessa vicenda, è stato tenuto conto di tutti i fattori, sia di quelli negativi sia di quelli positivi, di carattere economico, come il reddito attuale»: ragionamento integrato con il riferimento alla ritenuta attendibilità della stima dell’UTE e alla mancata prova da parte dei contribuenti di valori diversi.
5. Con il quinto motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52, d.P.R. n. 131 del 1986 e dell’art. 31, d.P.R. n.643 del 1972, nonché ancora dell’art. 7, legge n. 212 del 2000, insistendo sul lamentato difetto di motivazione dell’atto impositivo: sostengono i ricorrenti che l’Ufficio non avrebbe indicato i criteri astratti previsti dalla legge come fondamento per la motivazione degli atti di accertamento di maggior valore, ma avrebbe indicato esclusivamente la circostanza che gli immobili erano “ubicati in zone caratterizzate da ottima commerciabilità” che non costituisce «un parametro di per sé idoneo legittimare la rettifica dei valori INVIM».
5.1. Il motivo è inammissibile in quanto diretto a censurare l’atto impositivo e non la sentenza impugnata.
5.2. Peraltro si è già avuto occasione di rilevare che tale sentenza si palesa congruamente motivata in relazione alla ricostruzione da parte dell’Ufficio dei valori unitari dei singoli cespiti, sicché la censura è inammissibile anche sotto altro profilo: infatti «lo stabilire se, in concreto, la motivazione di un determinato avviso di accertamento risponda o meno ai requisiti di validità è compito precipuo del Giudice tributario e non è dato al contribuente, se la decisione è motivata, sollecitare alla Corte di Cassazione una revisione critica del suindicato giudizio, salvo che non vengano enunciati ed evidenziati, nel ricorso (e non è questo il caso), ben specifici errori di diritto in cui il Giudice di merito sia incorso» (Cass. n. 17762 del 2002; cfr. altresì Cass. n. 7313 del 2005).
5.3. Il motivo è inoltre infondato. Nel caso di specie la motivazione dell’avviso di accertamento non è posta in dubbio dal giudicante che ha correttamente ritenuto utile (e sufficiente, come peraltro afferma un orientamento di questa Corte) il richiamo alla stima UTE, oltre a considerare che l’atto impositivo pone in evidenza tra gli elementi di ricostruzione dei valori attribuiti: a) la circostanziata descrizione della consistenza degli immobili, b) l’ubicazione (in zona ad alta commerciabilità) degli stessi (che ha nella comune esperienza una rilevanza determinante nella valutazione dei beni), c) il riferimento ai valori finali per immobili similari. Un complesso di indicazioni che va addirittura al di là dei semplici criteri indicati dall’art. 51, d.P.R. n. 131 del 1986.
6. Le considerazioni ora svolte valgono anche a supporto dell’infondatezza del sesto motivo di ricorso – con il quale la parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 52, d.P.R. n. 131 del 1986, formulando una censura del tutto analoga nei contenuti (e pressoché identica nella sostanza) a quella formulata con il quinto motivo – e del settimo motivo con il quale parte ricorrente insiste ancora una volta, in questo caso sotto il profilo del vizio motivazionale della sentenza impugnata, sul difetto di motivazione dell’atto impositivo.
6.1. Anche tale ultima censura, che appare peraltro manifestamente intesa ad ottenere una revisione del giudizio di merito, si palesa infondata, in quanto il giudice di merito rende chiaro quale sia il percorso logico che lo ha condotto alla soluzione adottata, illustrando in modo convincente le ragioni circa la ritenuta correttezza delle modalità di valutazione utilizzate dall’Ufficio nella determinazione dei valori accertati.
7. Con l’ottavo motivo, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione agli artt. 51 e 52 d.P.R. n. 131 in quanto il giudice di merito avrebbe illegittimamente posto a carico dei contribuenti l’onere della prova in merito all’accertamento, affermando che «a fronte dell’analitica ricostruzione del valore dei singoli cespiti fatta dall’Ufficio, i contribuenti non hanno fornito alcuna prova in ordine ad un diverso valore, limitandosi a contrastare in maniera solo generica la pretesa fiscale».
7.1. Il motivo non è fondato. Il giudice di merito non ha posto a carico dei contribuenti alcun improprio onere probatorio, ma ha solo verificato che le contestazioni da quest’ultimi opposte aII’accertamento erano generiche e, quindi, inefficaci a contrastare validamente l’analitica ricostruzione dei valori operata invece dall’Ufficio.
7.2. Si tratta, quindi, di una valutazione nel merito delle difese argomentate dai contribuenti.
8. Con il nono motivo, la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 1, comma 2, e 7, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, per l’acritica adesione che il giudicante avrebbe espresso nei confronti delle ragioni dell’Ufficio non supportate da alcun elemento di prova prodotto in giudizio.
8.1. Il motivo è inammissibile per l’astrattezza e genericità del quesito di diritto che sembra addirittura limitarsi a riprodurre la formulazione normativa invocata.
8.2. Peraltro la censura è infondata in quanto il giudice di merito sottopone ad attenta analisi le valutazioni dell’Ufficio spiegandone le ragioni della ritenuta attendibilità, nel cui quadro il riferimento alla stima UTE, che peraltro non riguarda tutti gli immobili, è assolutamente marginale, essendo quest’ultima considerata solo un elemento aggiuntivo (ed eventualmente di completamento) a quanto già altrimenti verificato come fondato e ragionevole nella ricostruzione dei valori accertati.
9. A queste considerazioni si può far riferimento anche in ordine all’infondatezza del decimo e dell’undicesimo motivo di ricorso, con i quali la parte ricorrente sostanzialmente rinnova, sotto il profilo della violazione dell’art. 2700 cod. civ. (decimo motivo) e del vizio di motivazione (undicesimo motivo), la medesima censura già proposta con il nono motivo e della cui infondatezza si sono appena spiegate le ragioni.
Pertanto il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara estinto il giudizio nei confronti del ricorrente T.R.. Rigetta il ricorso nei confronti dei ricorrenti T.A.R.E. e T.F. e condanna quest’ultimi alle spese della presente fase del giudizio, che liquida in complessivi € 7.000,00 oltre spese prenotate a debito.
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