CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 12820 depositata il 21 giugno 2016

LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – CONTRATTO DI LAVORO A PROGETTO – SUSSISTENZA DI UN RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – MANCANZA DEL PROGETTO – ONERE PROBATORIO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Cagliari ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva accertato non dovuto il credito dell’Inps ed annullato la cartella esattoriale nei confronti di G.C., titolare della ditta P.I.A., per contributi relativi a 14 lavoratori assunti con contratto di lavoro a progetto ritenuti dall’Istituto lavoratori subordinati.

La Corte territoriale, accogliendo la tesi del Tribunale, ha ritenuto che il progetto in base al quale il C. aveva assunto 14 lavoratori per lo svolgimento di attività investigativa non presentava un contenuto caratterizzante rispetto alla normale attività investigativa della ditta di cui il C. era titolare.

La Corte territoriale, richiamate le due tesi relative all’interpretazione dell’art. 69 del d.lgs n. 276/2003, ha ritenuto di accogliere la tesi meno rigorosa secondo cui nell’ipotesi in cui il datore di lavoro non provi l’esistenza di un progetto ai sensi dell’art. 62 lett. b) del d.lgs citato la presunzione di cui all’art. 69 citato della natura subordinata del rapporto di lavoro era una presunzione non assoluta con conseguente possibilità per il datore di lavoro di dimostrare che la mancanza di un progetto non era dovuta all’esistenza di un intento fraudolento ma corrispondeva alla presenza di un rapporto di collaborazione avente natura autonoma al fine di evitare l’assoggettamento del rapporto alla disciplina del lavoro subordinato.

Secondo la Corte nel caso in esame sussisteva la prova che i 14 lavoratori avevano operato in piena autonomia senza alcuna interferenza da parte della committente e che non sussistevano gli indici presuntivi della subordinazione ed ha quindi concluso per l’accoglimento delle domande del C.

Avverso la sentenza ricorre l’Inps con un motivo.

Il C. è rimasto intimato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’Inps denuncia violazione dell’art. 69 d.lgs n. 276/2003 e vizio di motivazione.

Censura la tesi accolta dai giudici di merito sull’interpretazione dell’art. 69 ed osserva che il giudice può solo verificare l’esistenza nel caso concreto del progetto o del programma di lavoro e che nel caso in cui l’analisi porti ad escludere il progetto dovrà considerare il rapporto di natura subordinata.

Il motivo è fondato.

La Corte territoriale, in conformità a quanto deciso dal Tribunale, dopo aver rilevato che i progetti siglati dall’azienda non presentavano i caratteri della specificità di cui all’art. 61 e 62 d.lgs n. 276/2003 ed aver escluso la validità di un valido progetto, ha, comunque, concluso che all’esito dell’istruttoria svolta era emersa la natura autonoma dei rapporti di collaborazione a progetto posto in essere dal C. con i 14 collaboratori.

La Corte d’appello ha ritenuto, infatti, ammissibile che il committente potesse provare che il rapporto intercorso con i collaboratori presentava le caratteristiche tipiche del lavoro autonomo. Secondo la Corte, infatti, il legislatore con l’art. 69, 1° comma, d.lgs n. 273/2003 (ndr art. 69, 1° comma, d.lgs n. 276/2003) aveva introdotto una presunzione iuris tantum che consentiva, comunque, la prova della natura autonoma dei rapporti di collaborazione posti in essere pur a fronte di un progetto ritenuto non valido.

Le argomentazioni della Corte territoriale non sono condivisibili.

Deve premettersi che il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 61, prevede una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale e determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione (cfr. Cass. 29.5.2013 n. 13394, n. 23021/2014).

Questa Corte ha affermato (cfr la recentissima Cass. n. 9471/2013) che “il senso complessivo delle disposizioni contenute negli artt. 61-69, d.lgs. n. 276/2003 (nel testo vigente all’epoca dei fatti per cui è causa, dunque anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 23, lett. f), L. n. 92/2012), si ricava dalla previsione contenuta nell’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, secondo il quale i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409 n. 3 c.p.c., “devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa”: l’impiego del verbo “devono” palesa infatti l’intenzione del legislatore delegato di vietare, in armonia con la finalità enunciata dall’art. 4, comma 1, lett. c), nn. 1-6, L. n. 30/2003 (e fatte salve le specifiche eccezioni ivi previste e poi trasfuse nell’art. 61, commi 1-3, d.lgs. n. 276/2003), il ricorso a collaborazioni coordinate e continuative che non siano riconducibili a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso, allo scopo di porre un argine all’abuso della figura della collaborazione coordinata e continuativa, in considerazione della frequenza con cui giudizialmente ne veniva accertata la funzione simulatoria di rapporti di lavoro subordinato. Codesta finalità è realizzata dall’apparato sanzionatorio previsto dall’art. 69, d.lgs. n. 276/2003, il quale, ai commi 1-2, disciplina due distinte ipotesi: la prima ricorre allorché un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa venga instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso; la seconda si verifica qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’articolo 61 si è venuto concretamente a configurare come un rapporto di lavoro subordinato. Benché entrambe siano sanzionate con l’applicazione della disciplina propria dei rapporti di lavoro subordinato, si tratta però di fattispecie strutturalmente differenti, giacché nella prima rileva il dato formale della mancanza di uno specifico progetto a fronte di una prestazione lavorativa che, in punto di fatto, rientra nello schema generale del lavoro autonomo (sulla riconducibilità della collaborazione coordinata e continuativa nell’alveo del lavoro autonomo cfr., fra le tante, Cass. n. 6053 del 1986), laddove nella seconda rilevano le modalità di tipo subordinato con cui, nonostante l’esistenza di uno specifico progetto, è stata di fatto resa la prestazione lavorativa. La riprova è che, riferendosi ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instauratisi senza uno specifico progetto, l’art. 69, comma 1, cit., impiega la locuzione “sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”, tipica dei casi di c.d. “conversione” del rapporto ope legis (quali ad es. le fattispecie interpositorie o di illegittima apposizione dei termine finale di durata al contratto di lavoro: e trattasi di conclusione avvalorata dalla disciplina transitoria dettata dall’art. 86, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, secondo il quale “Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente, che non possono essere ricondotte ad un progetto o fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dall’entrata in vigore del presente provvedimento”), mentre con riguardo all’ipotesi che si accerti in fatto che il rapporto sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, il successivo comma 2 stabilisce che “esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti”: nonostante il legislatore impieghi la locuzione “si trasforma”, è infatti evidente che, in questo secondo caso, si tratta semplicemente di dichiarare giudizialmente ciò che le parti hanno realmente mostrato di volere attraverso il comportamento posteriore alla stipulazione del contratto, come si evince dal riferimento alla “tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti” contenuto nel prosieguo della disposizione in esame.”

Nella fattispecie in esame la Corte territoriale non si è attenuta a tali principi in quanto pur dopo aver affermato che l’attività di investigazione richiesta a ciascun dei 14 collaboratori con contratto identico standardizzato ” non presentava un contenuto caratterizzante rispetto alla normale attività d’impresa della committente ” e ritenuto che i progetti siglati dall’azienda non presentavano i caratteri della specificità di cui all’art. 61 e 62 d.lgs n. 276/2003 con conseguente esclusione di un valido progetto, ha, comunque, ritenuto che all’esito dell’istruttoria svolta era emersa la natura autonoma dei rapporti di collaborazione a progetto posto in essere dal C. con i 14 collaboratori.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata ed il giudizio rimesso alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.