CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 12910 depositata il 22 giugno 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – LICENZIAMENTO – LESIONE DEL VINCOLO FIDUCIARIO – GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO – GRAVITA’ DEI FATTI – ILLEGITTIMITA’
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con separati ricorsi al Tribunale di Potenza in funzione di giudice del lavoro, A. M. Y. e P. F. chiedevano dichiararsi l’illegittimità dei licenziamenti irrogati dalla V. s.p.a. con gli effetti reintegratori e risarcitori sanciti dall’art. 18 l. 300/70 applicabile ratione temporis. La società convenuta, costituitasi, proponeva domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni che assumeva di aver subito per effetto della illegittima condotta assunta dai dipendenti. La medesima società agiva, quindi, in giudizio nei confronti di C. A. e P. G., onde conseguire pronuncia dichiarativa della legittimità del licenziamento intimato nei loro confronti e di condanna al risarcimento dei danni. Riuniti i giudizi, con sentenza pronunziata in data 17/7/09, il giudice adito annullava il licenziamento intimato nei confronti di A. e P., ordinava la loro reintegra nel posto di lavoro e condannava la società al risarcimento del danno nei confronti dei predetti, nella misura di cinque mensilità della retribuzione globale di fatto; condannava, inoltre, la V. s.p.a. a corrispondere al P. l’indennità di preavviso e dichiarava legittimo il licenziamento del C.
La Corte d’appello di Potenza, ritenuta la causa introdotta dalla società nei confronti del C. fosse matura per la decisione, ne disponeva la separazione; quindi, sulle ulteriori cause riunite, espletata l’attività istruttoria, con sentenza resa pubblica il 9 maggio 2012, in parziale riforma della sentenza di prime cure, condannava la V. s.p.a. a corrispondere ad A. M. Y. e P. G. a titolo di risarcimento danni, una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto maturata dal dì del licenziamento a quello della effettiva reintegra, e a P. F., l’importo spettante a titolo di t.f.r.
Nel pervenire a tali conclusioni – per quel che in questa sede rileva – la Corte distrettuale, sul presupposto che oggetto della contestazione fosse stata l’intervenuta falsificazione da parte dei dipendenti, dei dati di produzione e di magazzino al fine di far emergere una produttività maggiore di quella reale e così ottenere cospicui premi di produzione osservava che : la condotta dei lavoratori – come definita alla stregua della articolata attività istruttoria – in quanto finalizzata all’ottenimento di un bilanciamento nel più lungo periodo tra dati contabili e dati reali di produzione, era ben nota e tollerata dalla azienda, per l’interesse sotteso al mantenimento di standards produttivi costanti nel rispetto del budget prefissato e si inseriva in una consolidata prassi aziendale, volta a mantenere una riserva di materie prime da utilizzare a seconda delle necessità che si presentavano; i provvedimenti espulsivi irrogati si palesavano, di conseguenza, sproporzionati sulla base di un apprezzamento unitario della loro gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro; dalla documentazione esaminata, nessuna perdita per ammanchi di magazzino era stata rilevata, sicché nessun danno nei suddetti termini, poteva essere ascritto ai dipendenti e nessun pregiudizio, in ragione dei premi corrisposti al personale, poteva essere configurato a carico della parte datoriale.
Avverso tale decisione la V. s.p.a. interpone ricorso per cassazione affidato a sette motivi.
Resistono con controricorso A. M. Y. e P. F., nonché P. G., il quale propone ricorso incidentale condizionato. La società a propria volta, ha notificato controricorso avverso le difese articolate dalle parti intimate.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2730-2733 c.c. Si critica la sentenza impugnata per aver conferito valenza confessoria alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale da alcuni lavoratori (D’A. e P.) sul rilievo che si traducessero in affermazioni contra se, nel contempo traendo, tuttavia, da dette dichiarazioni, elementi favorevoli per i confitenti, in violazione dei dettami di cui alle disposizioni codicistiche richiamate. Infatti, la ammissione resa dai lavoratori, concernente l’alterazione dei dati reali di produzione su disposizione del dirigente apicale C. – era stata interpretata dalla corte distrettuale, con valutazione contra legem, anche quale elemento di valutazione circa il difetto di proporzionalità della sanzione espulsiva irrogata nei loro confronti.
Con il secondo mezzo di impugnazione è denunciata violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 116, 244 e 246 c.p.c. Si lamenta che il giudice dell’impugnazione abbia elaborato il giudizio in ordine al rispetto del canone di proporzionalità della sanzione disciplinare, sulla scorta della deposizione resa dal teste G. e concernente la circostanza, appresa de relato, che gli artifici contabili da realizzare, erano oggetto di specifiche disposizioni della direzione aziendale.
Con il terzo motivo si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Si ritiene la sentenza viziata da incoerenza laddove afferma, da un canto, che l’alta direzione aziendale fosse a conoscenza delle alterazioni dei meccanismi contabili posti in essere dai dipendenti, ed anzi fosse ispiratrice delle stesse, e, dall’altro, che da parte dei dipendenti venisse posta in essere una serie di artifici volti a celare la verità ed a rappresentare fatti inesistenti ai vertici aziendali.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, siccome connessi, sono privi di fondamento.
Le critiche formulate concernono tutte, il giudizio sulla proporzionalità della sanzione espulsiva elaborato dai giudici del gravame in coerenza con i dettami dell’art. 2106 c.c., contestato mediante censure attinenti al vizio di violazione di legge e di motivazione.
Orbene, premesso che la sussistenza in concreto di una giusta causa di licenziamento va accertata in relazione sia della gravità dei fatti addebitati al lavoratore – desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonché dall’intensità dell’elemento intenzionale -, sia della proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, con valutazione dell’inadempimento in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” dettata dall’art. 1455 c.c. (vedi ex aliis, di recente, Cass. 16/10/2015 n. 21017), va rimarcato che lo scrutinio concernente il rispetto del suddetto principio di proporzionalità, per costante giurisprudenza di questa Corte, è riservato al giudice di merito la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria” (vedi ex aliis, Cass. 25/5/2012 n. 8293). In tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia, invero, nella valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e dell’adeguatezza della sanzione, tutte questioni di merito che ove risolte dal giudice di appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa, si sottraggono al riesame in sede di legittimità (Cass. 7/4/2011 n. 7948).
Nello specifico, la Corte distrettuale, all’esito di una approfondita ricognizione del materiale probatorio acquisito, come accennato nello storico di lite, ha ricostruito il complesso meccanismo instaurato presso lo stabilimento di Viggiano connotato dal compimento di artifici contabili volti ad alterare l’effettiva produzione industriale in relazione ad esigenze di budget aziendale, nel cui ambito la condotta assunta dai lavoratori, destinatari dei provvedimenti disciplinari, era priva di pregnante valore, sotto il profilo soggettivo, collocandosi nell’alveo di una prassi consolidata, della quale i vertici erano perfettamente a conoscenza, impartendo essi stessi, direttive al riguardo. Si tratta di una motivazione congrua e completa, elaborata attraverso un accertamento in concreto della reale entità e gravità del comportamento addebitato ai dipendenti che si sottrae pertanto alle censure all’esame.
Con il quarto motivo si denuncia motivazione insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia.
Si lamenta, in estrema sintesi, che l’ausiliare nominato dalla Corte distrettuale al fine di riscontrare l’effettivo scostamento dei dati attinenti alle materie prime, rispetto a quelli che sarebbero dovuti risultare in base ai dati contabili di giacenza iniziale, abbia esaminato i soli bilanci sociali, senza vagliare il contenuto del libro giornale e del libro giornale di magazzino. Si stigmatizza altresì la statuizione dei giudici del gravame per aver da un canto, ritenuto che le verifiche contabili fossero necessarie a rinvenire conferma dei prospettati ammanchi, che poteva provenire anche dal libro giornale; dall’altro, negato che esse fossero decisive, non consentendo di comprendere se gli ammanchi rilevati fossero conseguenza dei fatti di causa o meno.
La censura presenta evidenti profili di inammissibilità, giacché (vedi Cass. 17/7/2014 n. 16368) in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione.
Trova inoltre applicazione nella specie il condivisibile principio secondo cui non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, cosicché, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione, è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame delle stesse in sede di decisione, mentre, al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (cfr, ex pfurimis, Cass. 16/10/2013 n.23530, Cass. 4/5/2009 n.10222).
Nello specifico, come già accennato, non risulta riportato in ricorso, il tenore della relazione peritale, la cui riproduzione avrebbe consentito di individuare le effettive ragioni sottese all’elaborato e l’errore di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale.
Con il quinto motivo è denunciata violazione o falsa applicazione degli artt. 2105-2730- 2733 c.c.
Si stigmatizza la sentenza impugnata non aver valutato, nello scrutinio della condotta assunta dai dipendenti, la palese violazione del canone di fedeltà cui deve essere modulata la prestazione dagli stessi resa. Si critica altresì la pronuncia de qua, per aver comparato la condotta assunta dai lavoratori licenziati con la medesima assunta da altri, non sanzionata dall’irrogazione della massima sanzione disciplinare, per escludere che l’inadempimento assumesse un rilievo tale da scuotere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.
Anche tale censura si espone ad un giudizio di inammissibilità come formulato in relazione ai primi tre motivi di ricorso.
Va in proposito considerato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa.
Nella specie ricorre proprio siffatta ultima ipotesi in quanto la violazione di legge viene dedotta mediante la contestazione della valutazione delle risultanze di causa la cui censura attiene al vizio di motivazione, mirando a pervenire inammissibilmente, ad una rinnovata considerazione, nel merito, della valutazione dei fatti di causa elaborata dai giudici del gravame che è inibita nella presente sede di legittimità, giacché l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. 16/7/2010 n.16698, cui adde Cass. 18/11/2011 n.24253).
Con il sesto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt.112-115-116-437 c.p.c. e 2697 c.c. e nullità del procedimento nonché vizio di motivazione. Ci si duole che la Corte distrettuale non abbia dato atto che il difensore del P. aveva ammesso il pagamento del TFR, prima dell’espletamento del giuramento decisorio articolato sul punto, condannando la società ai pagamento di somme già erogate a tale titolo in suo favore.
Con il settimo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 112-115-116- 421 c.p.c.e 18 l. 300/70, e nullità del procedimento nonché vizio di motivazione. Si lamenta che la sentenza impugnata abbia omesso di motivare in ordine alla eccezione relativa all’aliunde perceptum riproposta in sede di gravame. Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono prive di pregio.
La ricorrente ha infatti omesso di riportare il contenuto degli atti della cui mancata considerazione si duole, così vulnerando il principio di autosufficienza che governa il ricorso per cassazione. Il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è infatti volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, (cfr, ex plurimis, Cass. 12/6/2008 n.15818).
Nella specie, per quanto innanzi detto, i motivi, per la genericità che li connota, non soddisfano i requisiti descritti.
In definitiva, il ricorso principale è respinto, restando assorbito il ricorso proposto in via incidentale condizionata da P. G.
Il governo delle spese inerenti al presente giudizio di cassazione segue, infine, il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale proposto da P. G. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
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