CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 13072 depositata il 23 giugno 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – INPS – OMISSIONI CONTRIBUTIVE – SANZIONI – SUSSISTENZA DI UN RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – REQUISITI – PROVA
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza del Tribunale di Biella ed in parziale accoglimento dell’opposizione proposta da A.P.G. ed A.P.P. avverso due cartelle esattoriali notificate su istanza dell’INPS per omissioni contributive ha condannato A.P.G. a pagare all’inps Euro 53.260,00 e A.P.P. a pagare Euro 2.5387,00.
La Corte ha precisato che l’Inps aveva impugnato la sentenza del Tribunale soltanto con riferimento alla posizione del lavoratore E.R. per il periodo da novembre 1990 al settembre 1997 quale dipendente di A.P. presse il panificio gestito a Biella e dal 1/10/1997 al 5/10/2004 quale dipendente di A.G. successivamente al trasferimento del panificio ad Adorno Mieta nel settembre 1997.
La Corte, esaminate le dichiarazioni dei testi, ha ritenuto che sussistesse un rapporto di lavoro subordinato tra il R. ed T due A.
Ha poi disposto il ricalcolo delle sanzioni in applicazione della normativa di cui all’art. 116 comma 8, L. n. 388/2000 trattandosi di verbale redatto successivamente al settembre 2000 con la conseguenza che non era applicabile la precedente normativa di cui alla L. n 662/1996.
Avverso la sentenza ricorrono in Cassazione i due A. con tre motivi.
Resiste l’inps ed Equitalia Sestri è rimasta intimata.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione in relazione alla valutazione della documentazione in atti e violazione dell’art. 2697 c.c.
Censurano la sentenza che ha ritenuto sussistere un rapporto di lavoro subordinato tra E.R. ed P.A.P. dal novembre 1990 al settembre 1997 e con G.A.P. dall’1/10/1997 al 5/10/2004.
Rilevano che dalla documentazione depositata emergeva che P.A. aveva cessato l’attività nel settembre 1996 senza svolgere alcuna attività ad Adorno dopo la cessazione; che l’inizio dell’attività di G.A. era da collocarsi nel settembre 1997 ; che tali circostanze erano state confermate dai testi A.P. e L.M. e che le dichiarazioni del R. a riguardo erano contraddittorie ed incompatibili con la documentazione.
Con il secondo motivo denunciano vizio di motivazione con riferimento alla valutazione della testimonianza del R.
Osservano che il R. aveva dichiarato di essere stato trasferito ad Adorno nel 1995 (il teste afferma che erroneamente aveva riferito 1996) con la conseguenza che l’attività di P.A. a Biella era cessata nel 1995 contestualmente alla vendita dell’attività e che l’affermazione della Corte secondo cui si tratterebbe di mera confusione del teste stante il tempo trascorso era contraddittoria.
Con il terzo motivo denunciano violazione degli art. 2222 c.c. e 2697 c.c. nonché vizio di motivazione con riferimento alle testimonianze.
Censurano la sentenza che aveva ritenuto sussistere un rapporto di lavoro subordinato ed un vincolo gerarchico.
Le censure, congiuntamente esaminate stante la loro connessione, sono infondate.
I ricorrenti censurano le conclusioni cui è pervenuta la Corte di merito con riferimento alla durata indicata dalla Corte del rapporto di lavoro intercorso con il R. e ciascuno dei due ricorrenti> sia in relazione alla stessa sussistenza del rapporto di lavoro con il R.
La Corte territoriale ha riferito che l’attività gestita dagli A. consisteva in un panificio che il padre (P.) gestiva a Biella e che il figlio (G.) aveva proseguito successivamente al trasferimento di detta attività in Adorno Micca nel settembre 1997; che il R. era runico lavoratore fisso del panificio;
che era poco credibile quanto dichiarato dal teste L. i moglie di A.P.) tendente a sminuire la presenza del R. e finendo per accreditare l’attività di un forno dove l’unico dipendente addetto e capace di impastare sarebbe andato a lavorare solo saltuariamente e per giunta decidendo lui stesso a suo insindacabile giudizio cosa preparare.
La Corte ha poi riferito che A.P. risultava aver cessato ufficialmente l’attività che gestiva in Biella nel 1996, attività trasferita in Adorno dove vi era il figlio; che tuttavia aveva continuato a coordinare l’attività in Adorno in quanto G. si occupava solo e soprattutto delle consegne ed il Ricino aveva dichiarato di aver continuato a ricevere gli ordini da P. Secondo la Corte G.A. era titolare dell’attività in Adorno e che pertanto dovendosi escludere che “il forno producesse autonomamente ” doveva ritenersi che il R. lavorava tutti i giorni in Adorno, quantomeno dopo la cessazione di ogni attività di P.A.
Ciò premesso – come questa Corte ha più volte affermato – la denuncia di un vizio dl motivazione in fatto della sentenza, impugnata con ricorso per Cassazione (al sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 5) – vizio nel quale si traduce anche la mancata ammissione di un mezzo istruttorio, nonché l’omessa od erronea valutazione di alcune risultanze probatorie – non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta ai suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni – svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione delle fonti del proprio convincimento – con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti, né, comunque, una diversa valutazione dei medesimi fatti (cfr tra le tante Cass. n. 19494/2009).
Costituisce, dunque, principio consolidato che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova.
Il giudice, quindi, non è tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (v., tra le tante pronunzie conformi, Cass. 13.06.14 n. 13485).
Il giudice al riguardo esercita i suoi poteri discrezionali ed esprime un giudizio che, se congrualmente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità (Cass. 10.06.09 n. 13375).
Nel caso di specie la Corte ha dato completa e congrua motivazione circa l’ammissione e la valutazione delle prove acquisite agli atti, prendendo compiutamente in esame le obiezioni avanzate dalla parte appellante.
La Corte, infatti, mostra di aver tenuto conto delle discrasie esistenti tra la data di formale cessazione dell’attività di P. a Biella e quella indicata dall’Inps; di aver valutato altresì le dichiarazioni a riguardo dello stesso R.; di aver considerato, ai fini della sussistenza della subordinazione, circostante rilevanti quali la presenza del R. quale unico dipendente capace di impastare e dell’incongruità della tesi di parte secondo cui il R. lavorata quando non voleva ed impastava ciò che riteneva di preparare e dunque ipotizzando un’attività del forno del tutto singolare.
Deve pertanto, concludersi che, ferma restando la validità e la precisazione di tale percorso argomentativi, le deduzioni poste a fondamento dei motivi in esame costituiscono solo una inammissibile rivisitazione del merito, non possibile nel giudizio di legittimità.
Per le premesse considerazioni il ricorso deve essere rigettato con condanna dei ricorrenti a pagare le spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese processuali liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 2392 depositata il 26 gennaio 2023 - L'omesso esame di un fatto riportato in un documento diviene rilevante solo ove si concreti, per la sua decisività. In tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 gennaio 2022, n. 2356 - Spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 luglio 2021, n. 20801 - Al giudice di merito in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 30042 depositata il 26 ottobre 2021 - Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito,…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 6584 depositata il 6 marzo 2023 - L'apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell'ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e…
- Corte di Cassazione sentenza n. 17491 depositata il 31 maggio 2022 - Il vizio di violazione di legge, che consiste nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (c.d. vizio di sussunzione) e…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…