CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 13472 del 30 giugno 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – RETRIBUZIONE – LAVORATORI SOCIALMENTE UTILI – RAPPORTO SPECIALE – PRESTAZIONI CONFORMI AL PROGRAMMA INSERITO NEL CONTRATTO
Svolgimento del processo
1. – La sentenza attualmente impugnata (depositata il 10 marzo 2010) respinge l’appello di S. D. avverso la sentenza di primo grado che, a sua volta, aveva respinto la domanda proposta dal D. nei confronti del Comune di Tivoli al fine di ottenere il riconoscimento del proprio diritto – con conseguente condanna del Comune stesso – alle differenze retributive dovutegli ex art. 36 Cost. per l’attività lavorativa che aveva continuato a svolgere alle dipendenze del Comune dopo la scadenza annuale di un contratto per Lavoro di Pubblica Utilità (LPU), per effetto di delibere comunali di proroga del progetto LPU nonché di una delibera di trasformazione del contratto per LPU in contratto per Lavoro Socialmente Utile (LSU).
La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che;
a) il primo giudice ha rigettato la domanda sull’assunto secondo cui al rapporto giuridico “de quo” – che ha la sua fonte in delibere comunali di approvazione di progetti prima per LPU e poi per LSU – non si applicano né l’art. 36 Cost. né la tutela prevista per i rapporti di lavoro subordinato a termine;
b) dall’interpretazione sistematica dell’art. 1 del d.lgs. n. 280 del 1997 si evince che – come sostiene il Comune – il limite temporale di un anno non costituisce una forma di tutela inderogabile per il lavoratore, ma è solo un limite all’impegno finanziario assunto dal Ministero del lavoro, nel senso che se il contratto viene ad avere una durata superiore ad un anno, il relativo onere finanziario non è più a carico dello Stato ma deve essere sopportato interamente dall’ente promotore, come è accaduto nella specie;
c) d’altra parte, non si ravvisa alcuna illegittimità nella scelta del Comune di fare ricorso alla figura del LSU in luogo del LPU e, comunque, la censura sul punto del lavoratore è del tutto apodittica e generica;
d) le censure del lavoratore presuppongono l’avvenuta instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del Comune che è da escludere in radice, mentre va precisato che le prestazioni di lavoro di cui si discute non possono essere considerate rese “sine tutulo” perché si fondano su precisi, legittimi e validi titoli giustificativi;
e) né il lavoratore ha dedotto modalità di svolgimento del rapporto diverse da quelle tipizzate per gli LPU o gli LSU, essendosi limitato ad invocare l’illegittimità delle delibere comunali successive alla prima;
f) ne consegue che neppure sotto questo profilo sarebbe ammissibile una istruttoria diretta ad accertare modalità di svolgimento delle mansioni proprie del lavoro subordinato.
2. – Il ricorso di S. D. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, il Comune di Tivoli.
Motivi della decisione
I – Sintesi dei motivi di ricorso
1. – Il ricorso è articolato in due motivi.
1.1. – Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 280 del 1997.
Si sostiene che la Corte d’appello, stravolgendo il significato della suddetta norma, ha errato nel negare che, per lo speciale contratto di lavoro ivi previsto, il limite temporale di un anno non può essere superato.
Pertanto, per le mansioni impiegatizie d’ordine svolte dal lavoratore dopo la scadenza annuale del contratto LPU riguardante il progetto di recupero dell’Anfiteatro Bleso, doveva trovare applicazione la disciplina sul diritto alla retribuzione prevista dall’art. 2126 cod. civ., che si riferisce anche alle Pubbliche Amministrazioni, per consolidata giurisprudenza di legittimità. Come, del resto, la stessa Corte romana aveva affermato in altri analoghi giudizi.
1.2. – Con il secondo motivo si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Si rileva che la Corte territoriale ha omesso di considerare che il lavoratore, dopo la scadenza annuale, ha svolto la propria attività non solo presso l’Anfiteatro Bleso, ma soprattutto come impiegato di concetto presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico del Comune stesso, mansioni molto diverse, in termini di qualità e professionalità richiesta, rispetto a quelle proprie del progetto originario.
Né ciò è mai stato smentito dal Comune.
IlI – Esame delle censure
2. – I due motivi di ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – sono da accogliere per le ragioni di seguito esposte.
3. – L’istituto dell’assegnazione ai lavori di pubblica utilità (LPU) ovvero ai lavori socialmente utili (LSU) rappresenta, secondo la dottrina e la giurisprudenza, uno strumento innovativo per fronteggiare la disoccupazione, soprattutto giovanile. Esso nasce con una connotazione marcatamente previdenziale-assistenziale ed ha ad oggetto, secondo la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 468 del 1997, poi modificata dal D.Lgs. n. 81 del 2000, l’esecuzione di progetti attuati da enti pubblici (oltre che da soggetti privati e società miste) attraverso il coinvolgimento di soggetti privi di occupazione, ai quali viene riconosciuto un emolumento, prima denominato “sussidio”, che evoca la matrice assistenziale dell’istituto, e poi “assegno”, che mostra invece l’evoluzione verso una forma di tirocinio/praticantato.
Come più volte affermato da questa Corte, l’occupazione temporanea nei suddetti lavori non può qualificarsi quale rapporto di lavoro subordinato (vedi, per tutte: Cass. 21 ottobre 2014, n. 22287; Cass. SU 26 novembre 2004 n. 22276; Cass. SU 22 febbraio 2005, n. 3508; Cass. SU 30 maggio 2005 n. 11346), essendo siffatta natura esplicitamente esclusa dal D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, poi riprodotto, negli stessi termini, dal D.Lgs. n. 81 del 2000, art. 4, i quali prevedono che l’utilizzazione dei lavoratori in questione “non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro”.
Trattasi viceversa di un rapporto speciale che coinvolge più soggetti (il lavoratore, l’amministrazione pubblica beneficiaria della prestazione, l’ente previdenziale erogatore dell’emolumento), avente, oltre alla matrice essenzialmente assistenziale sopra evidenziata, una componente formativa diretta alla riqualificazione del personale in questione per una futura ricollocazione dello stesso.
4. – Peraltro, secondo il costante e condiviso orientamento di questa Corte, la natura previdenziale del rapporto dei suddetti lavoratori non osta alla applicabilità della regola dettata dall’art. 2126 cod. civ., per quella parte del lavoro che si discosti per contenuto ed orario della prestazione socialmente utile. Se risulta che è stato prestato un diverso e ulteriore lavoro rispetto a quello oggetto del lavoro socialmente utile e che tale diverso ed ulteriore lavoro si è svolto in contrasto con norme poste a tutela del lavoratore.
In particolare, in base alla suddetta giurisprudenza, in tema di occupazione in lavori socialmente utili (LSU) o di lavori per pubblica utilità (LPU), per le prestazioni, che, per contenuto ed orario, si discostino da quella dovuta in base al programma cui si riferisce il contratto per LSU o LPU originario e che vengano rese in contrasto con norme poste a tutela del lavoratore, trova applicazione la disciplina sul diritto alla retribuzione, in relazione al lavoro effettivamente svolto, prevista dall’art. 2126 cod. civ., senza che possano nutrirsi dubbi sulla applicabilità di tale disciplina nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni, assoggettate al regime del lavoro pubblico contrattualizzato (Cass. 5 luglio 2012 n. 11248; Cass. 11 maggio 2009 n. 10759; Cass. 21 ottobre 2014, n. 22287; Cass. 20 maggio 2008, n. 12749; Cass. 3 luglio 2003, n. 10551).
5. – Nella specie la Corte territoriale – muovendo dalla premessa secondo cui la domanda proposta nel ricorso introduttivo del giudizio di condanna del Comune alle differenze retributive fosse stata fatta nel presupposto dell’assimilabilità del rapporto nato da un contratto per Lavoro di Pubblica Utilità (LPU) con un rapporto di lavoro subordinato a termine alle dipendenze del Comune – si è discostata, con motivazione incongrua, dai su riportati principi.
Ebbene, anche solo l’esame del presente ricorso e del controricorso, consentono di affermare l’erroneità della suddetta premessa, risultando del tutto pacifico tra le parti che il lavoratore fin dal ricorso introduttivo del giudizio si è limitato a chiedere un compenso per le prestazioni – diverse per contenuto ed orario rispetto alla prestazione di pubblica utilità – rese oltre la scadenza annuale del contratto LPU, deducendo correttamente l’illegittimità delle proroghe e chiedendo, pertanto l’applicazione dell’art. 2126 cod. civ., in conformità con la suddetta giurisprudenza di questa Corte.
6. – Va aggiunto che, sulla base dell’indicata erronea premessa la Corte romana non ha neppure colto il senso delle richieste istruttorie, volte a dimostrare la diversità delle mansioni svolte nelle proroghe rispetto a quelle proprie del LPU e non ad accertare modalità di svolgimento delle mansioni proprie del lavoro subordinato, come si afferma nella sentenza impugnata.
Pur potendosi rilevare al riguardo che, anche nel presente controricorso, il Comune riconosce che il lavoratore dopo la scadenza annuale del contratto LPU stipulato nell’ambito del progetto di recupero dell’Anfiteatro Bleso ha svolto mansioni di impiegato d’ordine presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico del Comune, compiti che certamente si discostano per contenuto ed orario rispetto a quelli resi nell’ambito del suddetto progetto.
7. – Infine va sottolineato che la Corte territoriale ha ritenuto che la durata dell’impegno nei lavori di pubblica utilità potesse essere superiore a dodici mesi, sulla base di una interpretazione – definita “sistematica”, ma in realtà “creativa”, perché priva di riscontri testuali e giurisprudenziali – dell’art. 1 del d.lgs. n. 280 del 1997 dalla quale il Giudice d’appello ha desunto che il limite temporale di un anno ivi previsto non costituisce una forma di tutela inderogabile per il lavoratore, ma è solo un limite all’impegno finanziario assunto dal Ministero del lavoro, nel senso che se il contratto viene ad avere una durata superiore ad un anno, il relativo onere finanziario non è più a carico dello Stato ma deve essere sopportato interamente dall’ente promotore, come è accaduto nella specie.
In tal modo la Corte romana, facendo propria la tesi difensiva del Comune (ribadita in questa sede), non solo non ha rispettato l’univoco significato l’art. 1, comma 4, del d.lgs. n, 280 del 1997 – che, dal punto di vista “sistematico” trova conferma nell’art. 3, comma 2, dello stesso d.lgs. secondo cui. “i progetti sono di durata determinata non superiore ai dodici mesi” – ma non ha neppure considerato che la suddetta durata dei progetti stabilita per legge, comporta l’inserimento del prestatore nello specifico progetto per la cui attuazione si instaura il rapporto LPU/LSU sicché, in base alla normativa di riferimento, è da escludere che possa configurasi unicità di rapporto giuridico ovvero sua prosecuzione “tout court” neppure in caso di differenti progetti che si eseguono senza soluzione di continuità presso lo stesso ente, salva restando soltanto l’ipotesi della proroga del medesimo progetto in atto (vedi, per tutte: n. Cass. 7 dicembre 2011, n. 26293).
Ipotesi, quest’ultima, che nella specie non è configurabile – diversamente da quanto si afferma nella sentenza impugnata – in considerazione dell’indicata diversità di contenuto, di orario e di impegno del lavoro impiegatizio svolto dal D. dopo la scadenza annuale del progetto LPU rispetto alla prestazione di pubblica utilità, senza che possano trarsi elementi in contrario dalla – solo ipotizzata ed eventuale – attivazione da parte dell’ente utilizzatore di un progetto per LSU dopo quello originario per LPU, in quanto ciascuno di tali progetti, avviato sulla base di uno specifico procedimento amministrativo autorizzatorio (di cui non si precisa alcunché), è da considerare comunque distinto e autonomo.
IV – Conclusioni
8. – In sintesi, il ricorso deve essere accolto, per le ragioni dianzi esposte e con assorbimento di ogni altro profilo di censura.
La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche ai seguenti:
1) in tema di occupazione in lavori socialmente utili o di lavori per pubblica utilità, per le prestazioni, che, per contenuto, orario e impegno, si discostino da quelle dovute in base al programma cui si riferisce il contratto per LSU o LPU originario e che vengano rese in contrasto con norme poste a tutela del lavoratore, trova applicazione la disciplina sul diritto alla retribuzione, in relazione al lavoro effettivamente svolto, prevista dall’art. 2126 cod. civ., senza possano nutrirsi dubbi sulla applicabilità di tale disciplina nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni, assoggettate al regime del lavoro pubblico contrattualizzato;
2) in base all’univoco significato l’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 280 del 1997 – che, dal punto di vista sistematico trova conferma nell’art. 3, comma 2, dello stesso d.lgs. secondo cui. “i progetti sono di durata determinata non superiore ai dodici mesi” – la durata annuale dei progetti per LSU/LPU stabilita per legge, comporta l’inserimento del prestatore nello specifico progetto per la cui attuazione si instaura il rapporto LPU/LSU; è, pertanto, da escludere che possa configurasi unicità di rapporto giuridico ovvero sua prosecuzione “tout court” anche in caso di differenti progetti che si eseguono senza soluzione di continuità presso lo stesso ente, salva restando soltanto l’ipotesi della proroga del medesimo progetto in atto. Ipotesi, quest’ultima, che non si verifica in caso di diversità di contenuto, di orario e di impegno del lavoro svolto dopo la scadenza annuale del progetto LPU rispetto alla prestazione di pubblica utilità, senza che possano trarsi elementi in contrarlo dall’eventuale attivazione da parte dell’ente utilizzatore di un progetto per LSU dopo quello originario per LPU, in quanto ciascuno di tali progetti, avviato sulla base di uno specifico procedimento amministrativo autorizzatorio, è da considerare comunque distinto e autonomo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
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