CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 13584 del 30 maggio 2017
Fatti rilevanti e ragioni della decisione.
§ 1. L. T. propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 5/50/12 del 9 gennaio 2012 con la quale la commissione tributaria regionale di Napoli, in riforma della prima decisione, ha ritenuto inammissibile il suo ricorso contro iscrizione di ipoteca legale, ex articolo 77 d.P.R.602/73, e prodromica cartella di pagamento per Iva 1996; in quanto proposto (settembre 2009) oltre il termine di 60 giorni dalla data (19 febbraio 2009) nella quale egli aveva avuto contezza della pretesa tributaria a suo carico mediante rilascio di estratto di ruolo. Resistono con controricorso l’agenzia delle entrate ed Equitalia Sud spa. Con ordinanza 19 ottobre 2016 questa Corte ha disposto rinvio a nuovo ruolo per l’acquisizione del fascicolo d’ufficio presso la CTR Campania. Il T. ha depositato memoria.
§ 2. Con il primo motivo di ricorso il T. lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 339 cod.proc.civ.; per non avere la commissione tributaria regionale rilevato l’inammissibilità dell’appello, in quanto proposto da un soggetto – l’agenzia delle entrate – che non aveva partecipato al giudizio di primo grado, nè poteva ritenersi litisconsorte necessario in controversia concernente la mancata notificazione della cartella esattoriale sulla cui base era stata iscritta ipoteca. Il motivo è infondato. Risulta dagli atti di causa che l’agenzia delle entrate abbia proposto appello contro la sentenza CTP Caserta n.483/05/2010 dell’Il maggio 2010, in quanto emessa anche nei suoi diretti confronti (Ufficio di Caserta). Quand’anche l’agenzia delle entrate non avesse partecipato al giudizio di primo grado – in quanto non evocata dal contribuente nè chiamata su ordine del giudice ad integrazione del contraddittorio – tale estraneità al giudizio non l’avrebbe privata della legittimazione ad appellare una sentenza che – emessa (anche) nei suoi riguardi in quanto erroneamente ritenuta parte dal giudice di primo grado – era idonea, se passata in giudicato, a renderle opponibile la pronuncia di insussistenza, ovvero invalidità, della pretesa tributaria dedotta in giudizio. E’ dunque vero, in linea di principio, che la legittimazione ad impugnare spetta soltanto a chi – soccombente – abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito, ma la qualità di parte in tale giudizio non discende solo dalla materiale partecipazione ad essa del soggetto interessato, e neanche dalla sua formale chiamata in causa, originaria o sopravvenuta; ma anche dalla qualificazione in termini di parte desumibile, indipendentemente dalla sua rispondenza alla realtà processuale, dalla stessa sentenza impugnata.
Ed il soggetto direttamente raggiunto da una sentenza che si ponga all’esito di un giudizio nel quale non sia stato convenuto, ha diritto di impugnare tale sentenza; anche al solo fine di invalidare la qualifica di parte che essa gli attribuisce, e di far venir meno gli effetti pregiudizievoli della pronuncia nei propri confronti: “la legittimazione a proporre l’impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito, secondo quanto risulta dalla decisione impugnata, tenendo conto sia della motivazione che del dispositivo, a prescindere dalla sua correttezza e corrispondenza alle risultanze processuali nonché alla titolarità del rapporto sostanziale, purché sia quella ritenuta dal giudice nella sentenza della cui impugnazione si tratta” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 20789/14).
Del resto, non è nemmeno vero quanto osservato dal ricorrente nella censura in esame, secondo cui la controversia non avrebbe coinvolto l’agenzia delle entrate – che sarebbe stata dunque priva della veste di litisconsorte – perché non attinente ai presupposti della pretesa impositiva, ma soltanto ai vizi della procedura di riscossione (mancata notificazione delle cartelle di pagamento e dell’atto di iscrizione di ipoteca). Emerge invero dalla stessa esposizione dei fatti fornita in ricorso che oggetto dell’impugnativa originaria non furono soltanto i vizi della procedura di esazione, ma anche la pretesa tributaria considerata nella sua sussistenza e fondatezza sostanziale, posto che il T. ne eccepì l’avvenuta prescrizione.
§ 3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, ex art.360, 1^ co. nn. 3 e 5 cod.proc.civ., omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, nonché violazione dell’articolo 21 d.lgs. 546/92; per avere la commissione tributaria regionale rilevato – d’ufficio – la tardività del ricorso introduttivo perché notificato più di 60 giorni dopo l’ottenimento dell’estratto di ruolo, nonostante che l’oggetto dell’impugnativa non fosse quest’ultimo atto, ma il provvedimento di iscrizione di ipoteca legale mai a lui notificato, al pari delle cartelle di pagamento ad esso prodromiche. Nemmeno questo motivo può trovare accoglimento.
Va premesso che la verifica della rituale e tempestiva introduzione del giudizio impugnatorio rientra nel potere-dovere del giudice, così da dover essere effettuata anche d’ufficio sulla base delle risultanze in atti. La sentenza della commissione tributaria regionale non può dunque essere censurata sotto il profilo del rilievo d’ufficio della tardiva proposizione del ricorso originario; indipendentemente dall’omesso rilievo della circostanza da parte del primo giudice. Ciò posto, si osserva come il T. abbia qui opposto la cartella di pagamento quale atto di esazione intermedio tra l’iscrizione a ruolo del credito tributario, a monte, e l’ iscrizione di ipoteca legale ex art.77 d.P.R.602/73, a valle L’assunto fondamentale è che tale cartella di pagamento non gli venne ritualmente notificata, così come nemmeno l’iscrizione ipotecaria che su quella cartella si è basata. Da qui, la rivendicazione da parte del contribuente del proprio diritto di impugnare la cartella di pagamento una volta venuto a conoscenza – con la comunicazione dell’estratto di ruolo da lui stesso sollecitata – della pretesa impositiva a suo carico.
Tale diritto va, in linea di principio, senz’altro riconosciuto; ma il suo esercizio doveva avvenire, come osservato dalla commissione tributaria regionale, nel rispetto del termine generale di impugnazione di cui all’articolo 21 d.lgs. 546/92. In ordine alla impugnabilità dell’estratto di ruolo – inteso però non quale mero ‘documento’ rappresentativo, bensì nel suo sostrato sostanziale e contenutistico di atto amministrativo pretensivo riferito ad una specifica posizione soggettiva – nel caso di mancata notificazione della cartella di pagamento che su di esso si fonda, basterà qui richiamare quanto stabilito da SSUU 19704/15, secondo cui “il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale – a causa dell’invalidità della relativa notifica – sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non osta l’ultima parte del comma 3 dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato – impugnabilità prevista da tale norma – non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l’invalidità stessa anche prima, giacché l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione”.
Nella sentenza in oggetto, le SSUU hanno affrontato proprio la questione dell’ammissibilità della impugnazione della cartella invalidamente notificata (e conosciuta attraverso l’estratto di ruolo), con la precisazione “che le considerazioni che saranno esposte in proposito devono intendersi riferibili anche alla impugnazione del ruolo, attesa la coincidenza della notificazione della cartella con quella del ruolo”. La conclusione alla quale è pervenuta la sentenza delle SSUU è stata nel senso di escludere, nell’interpretazione dell’ ultima parte del terzo comma dell’articolo 19 cit., che l’impugnazione di un atto non notificato possa avvenire sempre e soltanto unitamente all’impugnazione di un atto successivo notificato; ben poter o ammettersi la possibilità, per il contribuente, di far valere l’invalidità dell’atto anche prima che gli sia regolarmente notificato con un atto successivo, e per il solo fatto di esserne venuto a completa conoscenza. Si osserva ancora nella sentenza che: “se è vero che, come sopra rilevato, non è sufficiente la prova della “piena conoscenza” dell’atto ai fini della decorrenza dei suddetti termini ma è necessaria una comunicazione effettuata nei modi previsti dalla legge, è anche vero che ciò non può impedire l’impugnabilità dell’atto (del quale il contribuente sia venuto “comunque” a conoscenza) ma soltanto, appunto, la decorrenza dei relativi termini di impugnazione in danno del contribuente, distinzione che risulta ben chiara nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. sul punto tra le altre SU n. 3773 del 2014 nonché Cass. nn. 17010 del 2012 e 24916 del 2013) secondo la quale l’ammissibilità di una tutela “anticipata” non comporta l’onere bensì solo la facoltà dell’impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare successivamente, in ipotesi dopo la notifica di un atto “tipico”, la pretesa della quale il contribuente sia venuto a conoscenza”.
Orbene, posto questo principio, resta che la facoltà di impugnazione deve essere esercitata – secondo regola generale – nel rispetto del termine previsto di 60 giorni ex art.21 cit.; sicché l’avvenuta conoscenza dell’atto esplica effetto in ordine non soltanto alla determinazione in capo al contribuente della legittimazione ad impugnare, ma anche al termine di esercizio di tale legittimazione. Tanto più considerato che né la tipologia non direttamente impositiva dell’atto impugnato, nè le modalità non notificatorie della sua conoscenza da parte del contribuente, sono in grado di mutare – mediante l’ipotetica configurazione, in realtà non prevista dall’ordinamento, di un’azione, sempre proponibile, di accertamento negativo del debito tributario – la natura prettamente impugnatoria del processo di cui l’atto viene a costituire l’oggetto precipuo; con conseguente applicabilità delle modalità generali di introduzione del giudizio di impugnazione, a cominciare appunto dal termine decadenziale di proposizione.
E’ dunque evidente che tale termine debba essere osservato per il solo fatto che l’impugnazione venga proposta; ed indipendentemente dalla sua facoltatività in tutti quei casi nei quali si ritenga comunque la permanenza, in capo al contribuente, del diritto di impugnare anche il primo atto impositivo in senso stretto che gli venga successivamente notificato (Cass. 2616/15; 15597/15; 20611/16 ed altre).
Consegue da ciò che, nel caso – come quello di specie – di impugnazione tardiva, l’atto denotante la pretesa impositiva diverrà anch’esso definitivo (al pari di quanto accadrebbe nel caso di estinzione del giudizio tempestivamente proposto); sebbzi e, Il vista la sua (momentanea) inidoneità a produrre effetti di natura provvedimentale, autoritativa ed esecutiva, soltanto nel senso formale della preclusione alla sua ulteriore ed autonoma impugnabilità. Fermo comunque restando – come indicato dalla giurisprudenza richiamata – il diritto di successiva impugnazione dell’atto impositivo propriamente detto, all’esito della sua notificazione. In definitiva, assodato che, per ragioni di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A. (valori che presuppongono entrambi la sollecitazione tempestiva, e non esperibile sine die, della verifica giurisdizionale), ogni atto adottato dall’ente impositore che porti a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria – con esplicitazione delle sue concrete ragioni fattuali e giuridiche, ed anche senza necessità che si manifesti in forma autoritativa – è impugnabile davanti al giudice tributario, per quanto non incluso nell’elenco di cui all’articolo 19 d.lgs. 546/92, è tuttavia necessario che l’impugnazione così proposta risponda alla disciplina generale che le è propria.
In primo luogo, essa dovrà dunque rispondere al requisito di tempestività ex art.21 d.lgs. 546/92; requisito la cui sussistenza deve essere provata, per regola generale, dallo stesso ricorrente con riguardo alla data di avvenuta conoscenza dell’atto enunciativo della pretesa tributaria contestata. Nella specie, tale data è stata dallo stesso T. individuata in quella (19 febbraio 2009) di rilascio di stampa dell’estratto di ruolo; a fronte di un’impugnazione da lui proposta circa sette mesi dopo. Nè varrebbe obiettare, con il ricorrente, che oggetto dell’impugnazione non sarebbe qui stato l’estratto di ruolo, ma solo il provvedimento di iscrizione di ipoteca legale ex art.77 d.P.R.602/73.
L’effettività della controversia rende infatti evidente che il contribuente ha inteso sostenere l’insussistenza della pretesa tributaria (di cui ha affermato la prescrizione) e, inoltre, contrastare la legittimità della riscossione in assenza di valida notificazione della cartella di pagamento; spingendosi dunque ben oltre, ed assai più in radice, rispetto all’accertamento negativo dei presupposti di iscrizione ipotecaria, ovvero ai vizi propri di quest’ultima. Riferire il ricorso introduttivo all’iscrizione ipotecaria – dovendosi dare necessariamente ingresso ad una ricostruzione sostanziale e non nominalistica della volontà della parte – non giova pertanto al T.; tanto più considerato che l’iscrizione ipotecaria in quanto tale, ancorché in effetti anch’essa autonomamente impugnabile ex articolo 19, 1^ comma, lett. e bis) cit. come introdotto dal d.l. 223/06, è qui intervenuta prima della comunicazione dell’estratto di ruolo; il quale, fu anzi richiesto dal contribuente, proprio a seguito e per effetto dell’accertamento casuale di conservatoria dell’iscrizione ipotecaria.
Dal che consegue, a fortiori, la rilevata decadenza. Sussistono i presupposti per la compensazione delle spese del presente giudizio, stante la sopravvenienza soltanto in corso di causa dell’orientamento di legittimità da cui sono stati tratti gli elementi fondamentali della soluzione giuridica adottata.
Pqm
La Corte rigetta il ricorso;
– compensa le spese
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