CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 13709 depositata il 5 luglio 2016
TRIBUTI – ACCERTAMENTO FISCALE – IRPEF, IRAP ED IVA
FATTO E DIRITTO
Il contribuente C. F. ricorre nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che non resiste, per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n.6352/12/2014 depositata il 3 dicembre 2014, che, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento relativo ad Irpef, Irap ed Iva oltre a sanzioni ed interessi per l’anno 2007.
La CTR affermava la legittimità dell’avviso di accertamento avuto riguardo ad ambedue i profili contestati dal contribuente: sotto il profilo formale, in quanto esso era completo in ogni sua parte, ed indicava chiaramente la provenienza dell’atto, mediante la carta intestata dell’Agenzia ed il timbro;
quanto al mancato rispetto del termine di 60 gg. nell’emissione dell’avviso di accertamento, rilevava che non vi era stata nella verifica alcuna forma di constatazione necessitante il rispetto del termine suddetto.
Il contribuente ha altresì depositato memorie illustrative.
Con il primo motivo di ricorso il contribuente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 42 Dpr 600/73 deducendo che l’avviso impugnato recava la sola sottoscrizione di tale A. A. “Capo area imprese” senza che fosse richiamata, né allegata, alcuna delega del direttore dell’ufficio; per quanto, inoltre, poteva evincersi dalla documentazione prodotta, il signor A. A., sottoscrittore dell’avviso di accertamento, doveva ritenersi privo dei poteri per impegnare e rappresentare l’Ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate.
Il motivo appare inammissibile.
La CTR, nell’accogliere l’impugnazione dell’Agenzia, ha infatti accertato che l’avviso di accertamento era legittimo, in quanto completo in ogni sua parte ed indicante chiaramente la provenienza dell’atto e la regolarità della sottoscrizione, sulla base di delega del Direttore provinciale.
Non risulta dunque ravvisabile la dedotta violazione di legge in relazione all’art. 42 Dpr 600/73 ma, se del caso, il diverso vizio di omesso o errato esame degli atti e documenti di causa.
Del pari infondata la dedotta carenza in capo al delegato, del potere di impegnare e rappresentare l’Ufficio territoriale per mancanza della qualifica di dirigente, in conseguenza della nullità della nomina, in quanto non avvenuta a seguito di concorso pubblico.
Si osserva al riguardo che secondo il recente arresto di questa Corte, cui si ritiene senz’altro di dare continuità, in tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito nella l. n. 44 del 2012 (Cass. 22810/2015).
Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 12 comma 7 e 7 comma 1 L.212/00, nonché dell’art. 3 comma 1 L.241/1990, avendo i giudici della CTR respinto l’eccezione relativa alla mancata instaurazione del contraddittorio preventivo prima dell’emissione dell’avviso di accertamento.
Pure tale censura è infondata.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti affermato il seguente principio di diritto (Cass. 24823/2015):
“Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto.”
Ne consegue che, in tema di tributi ” non armonizzati”, quale quello in esame, trattandosi di accertamento ai fini Irpef, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito.
Orbene, nel caso di specie è pacifico che si verte in ipotesi di accertamento notificato all’esito di un controllo fiscale previa acquisizione di dati e documenti da parte dello stesso contribuente, e non anche a seguito di “accesso, ispezione, verifica” presso la sede del contribuente medesimo, onde non sussistono i presupposti per l’applicazione del termine di cui all’art. 12 comma 7 L. 212/00.
Con il terzo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 Dlgs.472/1997 in relazione all’art. 360 n.3) c.p.c., non essendosi i giudici di appello pronunciati sull’eccepita illegittimità delle sanzioni applicate per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2007, essendo stata allegata la colpa del professionista incaricato per la relativa presentazione.
Pure tale censura appare infondata.
Questa Corte ha già affermato, in generale, con riguardo alla volontarietà del comportamento sanzionabile, che “ai sensi del D.lgs. 472/1997 art. 5, la violazione delle norme tributarie suscettibile di sanzione da parte della legge richiede che il comportamento addebitato sia posto in essere con dolo o anche colpa; il contribuente a cui venga contestata la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e l’omessa tenuta delle ss.ee. obbligatorie non può considerarsi esente da colpa per il solo fatto di aver incaricato un professionista delle relative adempienze, dovendo egli altresì allegare e dimostrare, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, di avere svolto atti diretti a controllare la loro effettiva esecuzione, prova nel caso concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento”(Cass. 12473/2010).
La Corte, anche in sede penale, ha confermato il consolidato principio di diritto secondo cui l’affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere per via telematica la dichiarazione alla competente Agenzia delle Entrate non esonera il soggetto obbligato alla dichiarazione fiscale a vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto (Cass. 675/2015; 18448/15; cfr. anche Cass. pen.16958/12).
Il ricorso va dunque respinto e, considerato che l’Agenzia non ha svolto nel presente giudizio attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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