CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 13789 depositata il 6 luglio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA DI PRODOTTI PETROLIFERI – DANNO – QUANTIFICAZIONE
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 26.9.2011, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale del medesimo luogo, ha condannato S.D., P.M., L.S., ex dipendenti della E.I. s.r.l., a pagare alla società la complessiva somma di euro 239.652,00 a titolo di danno per la fraudolenta sottrazione di prodotti petroliferi effettuata negli anni 2000 – 2001, previa compensazione dell’importo con l’entità di trattamento di fine rapporto maturato da ciascuno.
Per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale, tenuto conto degli atti del procedimento penale (concluso con sentenza ex art. 444 c.p.) e, in particolare, delle dichiarazioni confessorie dei tre dipendenti, delle indagini condotte dalla Guardia di Finanza, delle rilevazioni dei movimenti bancari e delle intercettazioni ambientali, nonché richiamati i chiarimenti resi in sede di appello dal consulente tecnico di ufficio già nominato in primo grado, ha motivato tale pronuncia ritenendo esaustiva, in quanto individuata secondo un rigoroso metodo deduttivo, la determinazione del prodotto sottratto dai tre dipendenti.
Il D. e il M. hanno proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a due motivi.
Resiste la società con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Con riguardo alla determinazione delle quantità di prodotto sottratto alla società, i ricorrenti assumono che sul punto sono state acriticamente recepite le inattendibili conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, che avrebbe basato la propria valutazione sull’equazione prodotto accumulato in nero = prodotto sottratto illecitamente nonché avrebbe trascurato la documentazione contabile del deposito (DAA) che rappresenta, invece, l’esatta ricostruzione contabile di un magazzino o di un deposito.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono un insanabile contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza impugnata, avendo la Corte errato – operando la parziale riforma della sentenza di primo grado – ad effettuare la sottrazione degli importi corrispondenti alle imposte (non dovute dalla società) dall’entità del danno oggetto della condanna.
3. I motivi sono da disattendere perché invocano valutazioni non consentite in sede di legittimità e sono, in ogni caso, infondati.
4. Dal tenore dell’impugnata sentenza sono ampiamente, puntualmente e congruamente esposte le ragioni dell’avversata conclusione, che si rivela non solo ineccepibilmente ancorata alla valutazione della situazione di fatto emersa sia dalle dichiarazioni confessorie rilasciate dai tre dipendenti sia dal contenuto delle intercettazioni ambientali, ma anche rigorosamente sviluppata, con riguardo alla determinazione delle quantità di prodotto petrolifero sottratto, sulla base della disamina tecnica effettuata dal consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice di prime cure e richiamato, proprio a chiarimenti sui profili oggetto di motivi di appello, dalla Corte territoriale.
I ricorrenti deducono l’acritico recepimento della relazione tecnica del consulente d’ufficio e rilevano una carenza di motivazione con particolare riguardo all’errata equazione (posta dal consulente) tra prodotto accumulato in nero e prodotto sottratto illecitamente nonché con riferimento alla supposta insufficienza della documentazione contabile del deposito (DAA) a ricostruire la quantità di prodotto trafugato.
In realtà, le argomentazioni critiche sviluppate nel ricorso consistono non già nella effettiva dimostrazione della illogicità o assoluta non congruenza con le risultanze istruttorie delle valutazioni compiute dalla Corte, ma in una inammissibile mera diversa “lettura” e valutazione delle risultanze stesse istruttorie.
E’ stato, peraltro, affermato da questa Corte che “non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità” (Cass. n. 10222/2009).
Invero, “la consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, poiché ha la finalità di aiutare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, per cui non è qualificabile come una prova vera e propria e, come tale, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice del merito. Qualora sia stata disposta e ne condivida i risultati, il giudice non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità” (Cass. n. 3881/2006).
In ogni caso, la Corte territoriale ha puntualmente rilevato che il dato quantitativo ottenuto dal consulente tecnico d’ufficio “non è, come erroneamente ritengono gli appellante, pari all’equazione “prodotto cumulato = prodotto sottratto illecitamente”, mai formulata nella prima relazione, ma il frutto della elaborazione di calcoli relativi ai cali, tenuto conto di tre diversi fattori oggettivamente significativi, indicati dalla Guardia di Finanza, ossia: 1) analisi delle differenze dei contatori, 2) presenza in deposito degli autisti A. e D.P. compartecipi dell’associazione finalizzata alla sottrazione, 3) spazio vuoto nelle autocisterne calcolato secondo la metodologia, meglio descritta nella relazione”. Ha, inoltre, rilevato che la determinazione dei quantitativi di prodotto petrolifero sottratto “è, poi, estremamente prudenziale e riduttiva anche rispetto al calcolo elaborato dalla Guardia di Finanza, necessariamente approssimativa (per l’evidente ragione che il prodotto trafugato non è più suscettibile di misurazione e che gli artifici contabili posti in essere dagli appellanti ne rendono difficoltosa la esatta individuazione sulla base dei soli DAA) ma non per eccesso, bensì per difetto”.
La sentenza impugnata è, pertanto, pervenuta alla pronunzia di condanna (identica, con riguardo all’entità del prodotto sottratto, alla decisione del Tribunale, salva la correzione della sottrazione dell’importo corrispondente alle imposte, ingiustamente aggiunto al totale nonostante la mancata corresponsione da parte della società) previa meditata, ampia e scrupolosa disamina dell’esito dell’indagine tecnica officiosa, supportata dalla ricognizione di tutto il materiale istruttorio raccolto in ordine al metodo sofisticato posto in essere dai ricorrenti per far risultare cali di trasporto del prodotto petrolifero.
5. La censura concernente la contraddizione tra motivazione e dispositivo della sentenza impugnata è, inoltre, priva di fondamento considerato che – come chiaramente esposto nella parte motiva – la quantificazione del danno effettuata nel dispositivo (euro 239.652,00) risulta agevolmente all’esito dell’operazione di sottrazione delle imposte (euro 208.206,00, che non debbono essere versate dalla società e quindi non debbono essere incluse nell’entità del risarcimento) dal totale del danno determinato dal consulente tecnico d’ufficio (euro 447.858,00, come emerge dallo “svolgimento del processo”).
6. In conclusione, il ricorso va rigettato. La regolazione delle spese di lite segue il criterio della soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite a favore della società E.I. s.r.l. liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 6.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.
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