CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 13791 depositata il 6 luglio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – TRASFERIMENTO DI RAMO D’AZIENDA – RIPRISTINO DEL RAPPORTO LAVORATIVO – ACCERTAMENTO – TRATTAMENTO ECONOMICO
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 14.12.12 la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza di rigetto n. 54521/08 emessa in prime cure dal Tribunale della stessa sede, accertato che il trasferimento di ramo d’azienda da S. S.p.A. a S. S.r.l. non riguardava anche il dipendente A. Z., che non era adibito in maniera esclusiva o prevalente alle attività oggetto del ramo d’azienda ceduto, in parziale accoglimento della domanda del dipendente ordinava a S. S.p.A. il ripristino del rapporto lavorativo, con decorrenza giuridica ed economica dalla data del trasferimento. Respingeva, invece, la domanda risarcitoria proposta dal lavoratore.
Per la cassazione della sentenza ricorre S. S.p.A. affidandosi a tre motivi.
A. Z. resiste con controricorso.
Le parti depositano memorie ex art. 378 c.p.c.
S. S.r.l. – anche in contraddittorio con la quale si sono celebrati i gradi di merito – non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione
1- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 1406 c.c., nonché omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio, per avere la sentenza impugnata ravvisato un interesse ad agire in capo al lavoratore, nonostante che questi, impugnando in separata sede il licenziamento intimatogli da S. S.r.l., di fatto avesse confermato che quest’ultima era la titolare, nel lato datoriale, del suo rapporto di lavoro, considerato altresì il lasso di tempo intercorso fra il trasferimento del ramo d’azienda (risalente al 31.1.02) e la sua impugnazione giudiziale da parte del lavoratore (avvenuta il 2.2.05).
Il motivo è infondato.
L’interesse ad agire con un’azione di mero accertamento non implica necessariamente l’attuale verificarsi della lesione d’un diritto o una contestazione, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico o sulla esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, non superabile se non con l’intervento del giudice (cfr., ex aliis, Cass. n. 16262/15; Cass. n. 13556/08; Cass. n. 17026/06).
Invero, già soltanto il rimuovere l’incertezza giuridica su chi debba considerarsi il vero datore di lavoro integra un interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. in capo al dipendente (a prescindere da un immediato pregiudizio patrimoniale): basta che l’incertezza giuridica sussista. A sua volta tale incertezza può preesistere all’instaurazione della lite, ma anche manifestarsi dopo pel solo fatto della contestazione in giudizio (cfr., ex aliis, Cass. n. 13578/15; Cass. n. 4496/08; Cass. n. 13556/08 cit.; Cass. n. 3362/98; Cass. n. 3292/98; Cass. n. 1675/98), noto essendo che le condizioni dell’azione (come, appunto, l’interesse ad agire) sussistano al momento della sentenza.
Ad ulteriore dimostrazione della configurabilità dell’interesse ad agire per accertare quale sia la controparte d’un dato rapporto contrattuale si tenga presente che in altra Ipotesi di cessione del contratto diversa da quella di cui all’art. 2112 c.c., cioè in quella generale disciplinata dagli artt. 1406 e ss. c.c., è previsto che il contraente ceduto possa sempre opporsi alla cessione, anche a prescindere dal peggioramento o meno delle condizioni contrattuali o da altro concreto pregiudizio.
In altre parole, l’apprezzamento circa l’affidabilità del cessionario rispetto a quella del cedente è oggetto di una delibazione personale e autonoma del contraente ceduto, non surrogabile da quella del giudice.
Dunque, il lavoratore ha sempre interesse – ex art. 100 c.p.c. – ad agire affinché si individui il proprio effettivo datore di lavoro.
A ciò si aggiunga che nel caso di specie i giudici d’appello hanno correttamente ravvisato l’interesse ad agire dell’odierno controricorrente anche in base all’ulteriore rilievo che l’accertamento dell’insussistenza degli estremi – nei suoi riguardi – dell’art. 2112 c.c. comporta il concreto vantaggio di proseguire il rapporto di lavoro con la società cedente pur dopo il licenziamento intimato da chi, come la società cessionaria, non era, in realtà, l’effettivo titolare del rapporto medesimo.
La censura mossa da S. S.p.A. circa il fatto che l’impugnazione del licenziamento dimostrerebbe il riconoscimento, da parte del lavoratore, del suo essere dipendente di S. S.r.l. non coglie nel segno: tale circostanza non attiene all’interesse ad agire ma, semmai, alla fondatezza della domanda.
Inoltre, neppure sotto tale profilo la doglianza merita accoglimento: infatti, può essere oggetto di tacito riconoscimento un fatto storico, non certo il suo effetto giuridico.
E nella vicenda in esame, pacifico essendo il fatto storico della cessione di ramo d’azienda tra S. e S., la configurabilità o meno d’una sua ripercussione sul rapporto di lavoro di A. Z. è questione di diritto rimessa alla decisione del giudice.
Per altro, anche a voler prescindere dal rilievo che precede, ad ogni modo deve osservarsi che l’avere il lavoratore impugnato nei confronti della S. il licenziamento intimatogli da tale società, costituendo una normale cautela processuale, di per sé non dimostra né un riconoscimento della S. medesima quale effettivo datore di lavoro né una rinuncia a far valere i diritti verso la S..
E ancora: alla ricorrente non giova neppure invocare il tempo trascorso fra il trasferimento del ramo d’azienda (risalente al 31.1.02) e la sua impugnazione giudiziale da parte del lavoratore (avvenuta il 2.2.05), atteso che – per costante giurisprudenza di questa S.C. (cfr., per tutte, Cass. n. 16888/15 e ivi richiami) – il tempo (maggiore o minore) trascorso fra il sorgere del diritto alla tutela giurisdizionale e la sua concreta attivazione è circostanza di fatto di per sé neutra se non accompagnata da altre significative di una chiara e certa volontà di rinunciarvi.
Si consideri, altresì, che quella diretta a far dichiarare l’invalidità d’una cessione d’azienda per violazione dell’art. 2112 c.c. si configura come azione di nullità ex art. 1418 c.c. per contrasto con norme imperative, azione per sua natura imprescrittibile.
2- Con il secondo motivo la società ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 co. 1° e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui la gravata pronuncia, nel negare la prova che l’odierno controricorrente fosse addetto al ramo d’azienda ceduto, ha valutato il compendio delle risultanze istruttorie in maniera insufficiente e illogica.
Il motivo va disatteso perché, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, in realtà sostanzialmente suggerisce esclusivamente una rivisitazione del materiale istruttorio affinché se ne fornisca una valutazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata, che ha escluso – a monte – la validità del trasferimento del rapporto di lavoro di A. Z. a S. S.r.l. in quanto il primo non era adibito al ramo d’azienda ceduto e ciò ha fatto in base alle risultanze testimoniali analiticamente esaminate nel loro contenuto e nella loro significatività.
In altre parole, il ricorso si dilunga nell’opporre al motivato apprezzamento della Corte territoriale proprie difformi valutazioni delle prove, ma tale censura non è idonea a segnalare un error in iudicando né un vizio denunciarle ai sensi dell’art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c. nel testo, applicabile ratione temporis, risultante dalla novella contenuta nell’art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in legge 7.8.2012 n. 134.
In breve, la Corte territoriale ha correttamente escluso l’applicabilità, riguardo ad A. Z., dell’art. 2112 c.c. (che consente all’impresa di trasferire, insieme con l’azienda o un suo ramo autonomo, anche i lavoratori che vi sono addetti, a prescindere dal loro consenso), sicché la cessione del rapporto rientra sotto la disciplina della norma generale di cui all’art. 1406 c.c., che non ammette la cessione del contratto senza il consenso del contraente ceduto (che nel caso di specie era mancato).
3- Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1243 c.c., per avere la sentenza impugnata ordinato il ripristino del rapporto di lavoro tra la S. e A. Z. con decorrenza giuridica ed economica dalla data del trasferimento, senza tenere conto della compensatici lucri cum damno derivante dalle retribuzioni che nel frattempo il lavoratore ha percepito dalla S.
Il motivo è inammissibile perché non conferente rispetto ai tenore del dispositivo e della motivazione della gravata pronuncia, che non ha affatto quantificato eventuali crediti retributivi del lavoratore verso la S., limitandosi a dare atto della permanente sussistenza d’un rapporto lavorativo inter partes, ininterrotto sotto ogni profilo (e, quindi, sia giuridico che economico).
L’esistenza e l’entità di eventuali crediti retributivi maturati nell’arco di tempo compreso fra l’Illegittimo trasferimento del rapporto e la sentenza della Corte territoriale potrà, se del caso, essere oggetto di delibazione in separata sede.
4- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Non è dovuta pronuncia sulle spese riguardo alla S., che non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 3.600,00 di cui euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge. Nulla per spese riguardo a S. S.r.l.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.
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