CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 14066 depositata il 7 giugno 2017
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Commissione Tributaria Regionale della Campania – Sezione Distaccata di Salerno – a seguito di riassunzione da parte della società O. F. s.r.l. in ossequio all’ordinanza di cassazione con rinvio del 17 giugno 2009 della Corte Suprema di Cassazione – con sentenza depositata il 19 aprile 2012 accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria di Avellino del 4 maggio 2005 limitatamente ai rilievi di cui ai punti 1, 4 e 8 (rigettando invece i rilievi di cui ai punti 2, 3, 5, 6 e 7); accoglieva, altresì, l’appello incidentale proposto dalla società O. F. s.r.l. per la parte della sentenza concernente spese eseguite su proprietà di terzi e spese sostenute per uno scooter ed un telefono cellulare, in quanto costi per beni strumentali della società, compensando integralmente le spese.
Ricorre per l’annullamento della detta sentenza la società O. F. s.r.l. a mezzo del suo rappresentante legale deducendo due motivi.
Con il primo lamenta insufficiente motivazione e contraddittorietà circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in particolare contestando l’iter motivazionale, ritenuto del tutto apodittico, che aveva indotto la CTR a ritenere che gli accertati finanziamenti (pari a Lire 100.000.000) a causa della presunta incapacità finanziaria del socio finanziatore fossero, almeno in parte (per Lire 77.200.000), frutto di ricavi non contabilizzati Con un secondo motivo denuncia vizio di ultrapetizione e conseguente nullità della sentenza per avere la CTR affermato una circostanza – la mancanza del versamento effettuato a favore della società e la mancanza di prova in ordine allo stesso – assolutamente nuova e in contrasto con le risultanze dell’accertamento. Lamenta, in particolare, la società ricorrente che la pronuncia di accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle Entrate si fonda su un motivo diverso da quello dedotto dall’Agenzia nel suo atto di impugnazione finendo con l’effettuare essa stessa l’accertamento senza dar modo al contribuente di potersi difendere ed articolare prove.
Il ricorso non è fondato.
Con il primo motivo la società ricorrente lamenta che la motivazione con la quale la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dell’Ufficio ritenendo che i finanziamenti infruttiferi effettuati dal socio A. F. costituivano ricavi non dichiarati, sarebbe frutto di un ragionamento apodittico oltre che contraddittorio.
Il rilievo non è condivisibile.
Va anzitutto precisato – in relazione allo specifico vizio denunciato – che la censura di omessa o di insufficiente motivazione (denunciabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), può ritenersi fondata soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito risultante dalla sentenza sia riscontrabile una obiettiva carenza e/o incongruità del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento; ancora, la denunciata contraddittorietà della motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione adottata (Cass., Sez. Lav., 12 agosto 2004 n. 15693; id., lav., 9 agosto 2004 n. 15355). In ogni caso merita di essere ribadito che tali vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, essendo compito del giudice l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo circa la loro attendibilità e concludenza, la scelta tra le risultanze istruttorie 1111. . quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, accordando infine prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi (non ricorrenti nella specie) tassativamente previsti dalla legge in cui è assegnato alla prova un valore legale.
Peraltro in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso previsto dall’art. 366 c.p.c. il ricorrente che nel giudizio di legittimità deduca l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l’onere di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non (o mal) valutate, nonchè di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse atteso che il mancato esame di una (o più) risultanze processuali può dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione soltanto se quelle risultanze processuali non valutate o mal valutate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre sulle quali il convincimento si è formato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass.: 3^, 22 febbraio 2010 n. 4205; 2^, 17 febbraio 2004 n. 3004). Sulla base di tali premesse rileva anzitutto il Collegio che l’argomentazione svolta dalla società ricorrente a sostegno della propria tesi fa riferimento alla motivazione della sentenza di appello poi annullata sul punto da questa Corte Suprema. In realtà la sentenza qui impugnata, nel ritenere fondata la doglianza dell’Agenzia delle Entrate, ha invece ribadito che da parte della società ricorrente non era stata fornita alcuna prova che le somme versate alle società dal socio risultassero – come d’obbligo – dai bilanci e/o dai rendiconti al fine di conoscerne il titolo: la deduzione della ricorrente si limita ad osservare che i finanziamenti infruttiferi effettuati dal socio (pari a Lire 100.000.000) avrebbero dovuto determinare a tutto voler concedere un accertamento di maggior reddito in capo al socio e non una presunzione di ricavi non contabilizzati in capo alla società.
Il fenomeno dei finanziamenti infruttiferi, oggetto da tempo di specifici indagini fiscali da parte della Agenzia delle Entrate, comporta ben determinate conseguenze sul piano fiscale nei confronti della società secondo le modalità con le quali detto finanziamento avvenga. Ora, l’effettività di un finanziamento infruttifero non può desumersi, come correttamente osservato dalla Commissione Tributaria Regionale esclusivamente dalla capacità di spesa e dalla disponibilità di liquidità in capo al socio (circostanze peraltro già evidenziate nel precedente giudizio di merito e ritenute comunque irrilevanti ex sé ai fini della decisione), sicchè deve condividersi la conclusione del giudice di merito di secondo grado secondo la quale i finanziamenti infruttiferi dei soci, laddove ingiustificati (come nel caso in esame) possono essere considerati ricavi in nero come ritenuto dalla Amministrazione Finanziaria.
Di recente questa Sezione con la decisione del 19.6.2015 n. 12764, non massimata, ha affermato tale principio ribadendo che grava sulla società l’onere probatorio in sede di accertamento; con la conseguenza che non essendo nemmeno riportate nel bilancio della società, indipendentemente dalla disponibilità finanziaria in capo al socio finanziatore, tali somme – nen caso in esame – dovevano rientrare nel novero dei ricavi non dichiarati con conseguente accertamento del maggior reddito in capo al contribuente.
Ai detti principi si è uniformata la CTR con motivazione certamente corretta sul piano logico ed anche esauriente anche perché non adeguatamente contraddetta dalla società ricorrente che anche in sede di legittimità si è limitata ad una difesa di tipo assertivo, ma ancora una volta sfornita di supporto probatorio.
Anche il secondo motivo è infondato: la società ricorrente afferma che la CTR sarebbe incorsa in vizio di ultra petizione fondandosi la decisione impugnata sulla affermazione di una circostanza (“la mancanza del versamento effettuato a favore della società e comunque la mancanza di prova in ordine allo stesso” – così pag. 11 del ricorso) del tutto nuovo e in contrasto con le risultanze dell’accertamento da cui emergeva l’effettuazione nel corso dell’anno 1999 di versamenti infruttiferi in conto capitale per Lire 100.000.000 da parte del socio A. F. nei confronti della società O. F. s.r.l..
Ancora una volta la ricorrente non tiene conto del fatto che la CTR, pur avendo dato atto delle capacità finanziarie del soggetto autore di tale versamento, ha ritenuto tale circostanza di per sé sola insufficiente a dimostrare la effettività del versamento infruttifero non solo perché non risultante dai bilanci della società ma perché da parte della società ricorrente non era stata fornita alcuna prova al riguardo, con la inevitabile conseguenza della fondatezza del rilievo da parte della Agenzia delle Entrate in ordine alla presunzione che si trattasse di finanziamenti provenienti da ricavi non dichiarati.
Tale motivazione non incorre di certo nel vizio di ultrapetizione come denunciato dalla società ricorrente, posto che esso si configura quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori mediante l’introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso: nel caso di specie quello che era controverso non era la capacità finanziaria del socio ma la prova dell’inserimento del finanziamento nei bilanci della società (Sez. 3^ Civ.24.9.2015 n. 18868, Rv. 636968).
Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla sulle spese non avendo l’Agenzia delle Entrate svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corta rigetta il ricorso. Nulla sulle spese
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