CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 14250 depositata il 12 luglio 2016
FALLIMENTO – SOCIETÀ E CONSORZI – SOCIETÀ COOPERATIVA – IMPRENDITORE COMMERCIALE – PRESUPPOSTI – LUCRO OGGETTIVO – NECESSITÀ – FINE MUTUALISTICO – COMPATIBILITÀ – FALLIBILITÀ
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
“Con sentenza in data 6 maggio 2015, la Corte d’Appello di Perugia ha rigettato il reclamo proposto, ex art. 18 LF, da E. per creare lo spazio soc. coop. in liq., contro la sentenza del Tribunale di Terni, che aveva dichiarato il fallimento della menzionata societa’ cooperativa.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso la societa’ fallita, con atto notificato il 5 giugno 2015, sulla base di tre motivi, con cui denuncia violazione e falsa applicazione di norme di legge fallimentare (art. 5 e 15) e altre disposizioni sostanziali (art. 2545-terdecies c.c.).
Il curatore ha resistito con controricorso.
I creditori intimati non hanno svolto difese.
Il ricorso appare manifestamente infondato, giacche’: a)con riguardo alla prima doglianza (violazioni di legge: art. 2545-terdecies c.c.), con la quale si postula la insussistenza dei presupposti per l’assoggettabilita’ della societa’ cooperativa al fallimento, per non rivestire essa la qualita’ di imprenditore commerciale, in considerazione della mutualita’ prevalente risultante dai verbali di ispezione (ultimo quello del 2011-2012), si rileva che la sentenza impugnata non risulta specificamente impugnata nella parte in cui ha, di contro, affermato che la cooperativa aveva riconosciuto “nelle note integrative ai bilanci la perdita di quelle caratteristiche di mutualita’ imposte dalla legge” e che comunque, per il riconoscimento della qualita’ di imprenditore commerciale, lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non e’ elemento essenziale, bastando una obiettiva economicita’ dell’attivita’ esercitata, intesa quale proporzionalita’ tra costi e ricavi (cd. lucro oggettivo), requisito quest’ultimo che, non essendo inconciliabile con il fine mutualistico, ben puo’ essere presente anche in una societa’ cooperativa, pur quando essa operi solo nei confronti dei propri soci (Sez. 1, Sentenza n. 6835 del 2014). In particolare, tale ultimo principi di diritto, pienamente condiviso dal Collegio, a cui si e’ attenuto il giudice di merito nel suo giudizio, non formando oggetto di critiche, specifiche e rilevanti, non e’ suscettibile neppure di una ipotetica revisione in questa sede.
b) con riguardo alla seconda doglianza (violazione di legge: art. 15 L.F.), con la quale si rappresenta l’irregolarita’ della notificazione dell’istanza di fallimento e di convocazione avanti al Tribunale, per la dichiarazione di fallimento, e si censura la ratio decidendi contenuta nella sentenza impugnata, che ha escluso l’incidenza del vizio di notificazione in base al principio del raggiungimento dello scopo, va ribadito che tale principio va ancora una volta affermato, come ha fatto da ultimo questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 19797 del 2015) quando, in relazione ad una notificazione del ricorso di fallimento e del decreto di convocazione, eseguita tramite polizia giudiziaria, ancorche’ avvenuta senza il provvedimento presidenziale che motivatamente l’abbia disposta, ex art. 15, comma 5, l.fall., la stessa non e’ inesistente, bensi’ nulla, in quanto non totalmente incompatibile con le regole della procedura prefallimentare, sicche’ il vizio resta sanato ove la notifica sia giunta a buon fine per aver raggiunto lo scopo di portare l’atto a conoscenza del destinatario, nonche’, a maggior ragione, quando il debitore, informato del deposito del ricorso e della fissazione dell’udienza, si sia costituito innanzi al tribunale chiamato a pronunciarsi sulla dichiarazione di fallimento.”; c) con riguardo alla terza (violazione di legge: art. 5 L.F.), con la quale si rappresenta l’insussistenza dello stato d’insolvenza della cooperativa per essere stata, questa, posta in liquidazione e potendo essa soddisfare integralmente i propri creditori attraverso la realizzazione dei crediti verso terzi, ancora una volta manca una specifica censura alla motivazione contenuta nella sentenza impugnata, laddove questa afferma l’esistenza di un “notevole squilibrio tra attivo e passivo, la reiterazione pluriennale di perdite di esercizio e la presenza di patrimonio netto negativo viepiu’ crescente negli anni, con esposizione debitoria superiore al milione di Euro, (in) assenza di rimanenze (ed in presenza di) scarsi crediti di dubbia esigibilita’”.
In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e art. 375 c.p.c., n. 5″.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale sono state mosse osservazioni critiche con memoria;
che tali critiche, tuttavia, nel ribadire le censure alla sentenza impugnata nulla osservano, nella sostanza, con riguardo alle considerazioni svolte nella sopra riportata Relazione, sia con riguardo alla mancata censura della sentenza di merito che aveva individuato i docc. in cui la stessa Cooperativa riconosceva la perdita delle caratteristiche di mutualita’, sia con riferimento al principio di diritto (Sez. 1, Sentenza n. 6835 del 2014) secondo cui “lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non e’ elemento essenziale per il riconoscimento della qualita’ di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attivita’ di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicita’ dell’attivita’ esercitata, intesa quale proporzionalita’ tra costi e ricavi (cd. lucro oggettivo), requisito quest’ultimo che, non essendo inconciliabile con il fine mutualistico, ben essere presente anche in una societa’ cooperativa, pur quando essa operi solo nei confronti dei propri soci. Ne consegue che anche tale societa’ ove svolga attivita’ commerciale puo’, in caso di insolvenza, puo’ essere assoggettata a fallimento in applicazione dell’art. 2545 terdecies cod. civ.”, che ancora una volta deve ribadirsi, sia con riguardo all’esistenza di una notevole sproporzione tra l’attivo ed il passivo riscontrato dagli organi delle procedura;
che, percio’, il ricorso, manifestamente infondato, deve essere respinto, in applicazione dei richiamati ed enunciati principi di diritto;
che, alla reiezione del ricorso, consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, che si liquidano come da dispositivo, e il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte, respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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