CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 1426 del 26 gennaio 2016
TRIBUTI – IVA – OPERAZIONE ASSOGGETTATA AD IMPOSTA SUCCESSIVAMENTE CONSIDERATA FUORI CAMPO IVA – RESTITUZIONE DELL’IMPOSTA AL COMMITTENTE – RIMBORSO DELL’IMPOSTA INDEBITAMENTE VERSATA
In fatto e in diritto
La B.E. srl impugnava innanzi alla CTP di Lecco il provvedimento tacito di rigetto dell’istanza di rimborso dell’IVA corrisposta nell’anno 2007 in relazione ad alcune fatture emesse per prestazioni di servizio nei confronti di una società con sede in Shanghai che l’Ufficio aveva ritenuto fuori campo IVA, chiedendo alla committente la restituzione dell’IVA portata in detrazione.
Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso con sentenza confermata dalla CTR della Lombardia n. 127/18/13, depositata il 22.11.2013. Secondo il giudice di appello l’art. 21 d.lgs. n. 546/1992 andava interpretato nel senso che la decorrenza del termine biennale per chiedere il rimborso del tributo indebitamente versato decorreva dall’epoca in cui la committente aveva ricevuto dall’amministrazione fiscale la richiesta di restituzione dell’IVA portata in detrazione per l’operazione fuori campo IVA. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo al quale ha resistito con controricorso e memoria la società contribuente.
L’Agenzia ricorrente deduce la violazione dell’art. 21 d.lgs. n. 546/1992. Aveva errato la CTR nell’escludere l’applicazione del ricordato art. 21 d.lgs. n. 546/1992, posto che al momento della domanda di rimborso era spirato il termine biennale per richiedere la restituzione dell’IVA corrisposta all’erario indebitamente, a nulla rilevando le vicende relative all’accertamento notificato alla committente, inidonee ad incidere sul termine di decorrenza della decadenza biennale di cui si è detto.
La società contribuente ha chiesto che il ricorso fosse dichiarato inammissibile o comunque rigettato.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Occorre ricordare che ai fini dell’IVA indebitamente versata rileva, quale termine di decadenza quello fissato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, secondo il quale la domanda di restituzione di un’imposta non dovuta “in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”, non trovando applicazione il diverso termine ordinario di prescrizione decennale previsto per l’indebito oggettivo (artt. 2033 e 2946 c.c.) – cfr. Cass. n. 9818/2012; conf. Cass. n. 526/2007-. Nei casi in cui si fa applicazione della disciplina generale prevista dal ricordato art. 21, comma 2, il termine di due anni per la presentazione della domanda di restituzione dell’imposta versata in eccedenza decorre “dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.
Orbene, questa Corte ha ritenuto che il soggetto legittimato può chiedere all’amministrazione finanziaria il rimborso dell’Iva (anche) dopo il decorso del termine di decadenza ex art. art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, nel solo caso in cui abbia a sua volta rimborsato l’imposta al committente in esecuzione di un provvedimento coattivo; ciò conformemente a quanto affermato dalla Corte di giustizia con la sentenza del 15 dicembre 2011 (causa C- 427/10), per cui il principio di effettività del diritto comunitario non osta ad una normativa nazionale in materia di ripetizione dell’indebito che preveda un termine di prescrizione per il committente più lungo di quello di decadenza previsto per il prestatore del servizio, a meno che il soggetto passivo resti completamente privato del diritto di ottenere dall’Amministrazione finanziaria il rimborso dell’IVA non dovuta, ma solo se questo ha ad oggetto l’imposta che “egli stesso ha dovuto rimborsare al committente dei suoi servizi” in forza di un comando imperativo, e non già per qualsiasi imposta della quale il committente pretenda o abbia preteso il rimborso, nè per quella che il prestatore abbia rimborsato spontaneamente (Cass. n. 12666/2012, nn. 6600-6605/2012; Cass. n. 3627/2015).
Cass. n. 25988/2014 ha specificamente ritenuto – sia pur in vicenda che atteneva ai rapporti fra concessionario e amministrazione fiscale- che <<…Il soggetto passivo dell’imposta, pertanto, dopo la scadenza del detto termine di decadenza, può chiedere il rimborso dell’IVA non dovuta non già per qualsiasi imposta della quale il “committente di servizi” pretenda o abbia preteso il rimborso per la sua qualità di “prestatore di detti servizi”, né per quella che esso abbia rimborsato spontaneamente, ma esclusivamente per quell’imposta che ha “dovuto rimborsare al committente” detto, vale a dire per l’imposta il cui rimborso in favore del committente sia stato effettivamente eseguito in esecuzione di un provvedimento coattivo di rimborso a suo danno ed in favore del committente, la cui pretesa restitutoria, siccome inidonea a far sorgere un qualche dovere di rimborso a carico del “prestatore di detti servizi”, non consente di superare la decadenza, eventualmente verificatasi, del “prestatore di detti servizi” dall’eventuale diritto di rimborso nei confronti dell’amministrazione finanziaria finché non si concretizza con l’adempimento dell’afferente comando imperativo da parte del prestatore di servizi. Il più breve termine di decadenza previsto dalla norma nazionale nel regolare i rapporti dello stesso con l’amministrazione finanziaria può dunque essere disapplicato solo per garantire il principio di effettività, ovvero, per dirla con la Corte di giustizia, per evitare che “le conseguenze dei pagamenti indebiti dell’IVA imputabili allo Stato” siano sopportate “esclusivamente dal soggetto passivo di tale imposta”. Nel caso in esame la Amministrazione aveva già accolto l’istanza e, verificata la ricorrenza dei presupposti, aveva eseguito il rimborso”.
Ciò posto, appare evidente la correttezza della decisione impugnata, integrata quanto alla motivazione con i principi resi da questa Corte e sopra rammentati. Ed infatti, la società B. (Europe) srl, dopo avere provveduto ad emettere fatture nei confronti della B, Inflatebles and Material Corp. con sede in Shanghai per prestazioni di servizio ritenute soggette ad IVA, ha adempiuto alla domanda di rimborso del tributo avanzata dalla cessionaria alla quale l’amministrazione fiscale aveva recapitato un avviso di accertamento, non opposto, con il quale era stato negato il diritto a detrazione dell’IVA versata al prestatore di servizi. In esito all’accertamento la committente aveva quindi versato l’IVA all’erario e chiesto la ripetizione del tributo al prestatore dei servizi.
Orbene, la decisione impugnata ha correttamente riconosciuto alla società prestatrice dei servizi il diritto al rimborso dell’IVA erroneamente imputata all’operazione commerciale che il committente aveva reclamato sulla base di un provvedimento coattivo, qual è stato correttamente individuato nell’avviso di accertamento reso a carico della committente delle prestazioni al quale era stato negato il diritto alla detrazione dell’IVA proprio per essere esente dal campo IVA la prestazione fatturata, non considerando a ciò ostativa la decorrenza del termine di due anni dal pagamento dell’IVA da parte del prestatore dei servizi, né la mancata redazione della nota di variazione di cui all’art. 26 del dPR n. 633/1972 che può essere effettuata entro il termine di un anno dal compimento dell’operazione. Del resto, Cass. n. 10939/2015 ha ritenuto che l’inottemperanza dell’emittente agli adempimenti richiesti dall’art. 26 ult. cit. per provvedere alla correzione od all’annullamento della fattura erroneamente emessa, non può tuttavia ritenersi ostativa al riconoscimento del rimborso dell’IVA indebita versata in eccedenza, laddove, con accertamento in fatto riservato al Giudice di merito, risulti che sia stato in tempo utile definitivamente eliminato qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, perdita che si verifica allorché il destinatario della fattura -erroneamente emessa o nella quale è stata indebitamente liquidata l’imposta- abbia esercitato in base a tale documento il diritto alla detrazione (o al rimborso), o comunque possa attualmente esercitare tale diritto, dovendosi riconoscere la definitiva eliminazione del rischio in questione, quando risulti accertato che la fattura o il documento ad essa considerato equipollente non sia stata “emessa” ai sensi dell’art. 21, comma 1, dPR n. 633/72, ovvero quando la fattura erroneamente “emessa” sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale (annotandola nel registro acquisti od in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione), o ancora quando l’Amministrazione finanziaria (anche a seguito di segnalazione dello stesso emittente, ovvero nell’esercizio dei poteri di verifica di ufficio) abbia contestato e definitivamente disconosciuto con provvedimento divenuto definitivo – o riconosciuto legittimo con accertamento passato in giudicato – il diritto alla detrazione vantato dal destinatario della predetta fattura. Si tratta di una conclusione assolutamente in linea con la giurisprudenza comunitaria che, anche di recente, non ha mancato di ribadire il diritto del contribuente ad ottenere il rimborso dell’IVA allorché questo sia sorto come conseguenza di un accertamento esercitato dall’ufficio nei confronti del committente dei servizi in epoca successiva alla possibilità riconosciuta dall’ordinamento nazionale per variare il contenuto della fattura. Ed infatti, Corte giust. 21 aprile 2015, Causa C-111/14, GST Sarviz AG Germania, p. 35 ss., ha riconosciuto che il principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto dev’essere interpretato nel senso che osta a una disposizione nazionale che consente all’amministrazione tributaria di negare al prestatore di servizi il rimborso di tale imposta, da questi assolta, quando non è stato riconosciuto al destinatario di tali servizi, che pure ha pagato detta imposta per gli stessi servizi, il diritto di detrarla, per il motivo che non disponeva del corrispondente documento fiscale, allorché la normativa nazionale non consente la rettifica dei documenti fiscali in presenza di un avviso di accertamento definitivo.
Da ciò consegue la correttezza della decisione impugnata che non ha escluso il diritto della prestatrice di servizi al rimborso dell’IVA versata alla committente malgrado il decorso del termine biennale di cui all’art. 21 d.lgs. n. 546/1992 decorrente dall’epoca del versamento del tributo stesso, una volta accertato in via definitiva non solo l’accertamento dell’insussistenza del diritto a detrazione da parte del committente da parte dell’ufficio accertatore, ma anche il versamento del tributo da parte del predetto all’erario unitamente al rimborso dell’IVA operato dal prestatore in favore del committente. Elementi, questi ultimi che, siccome accertati dal giudice di merito, rendono immune da vizi la decisione impugnata, scongiurando peraltro il pericolo di perdita di gettito fiscale.
Il ricorso va quindi rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Visti gli artt. 375 e 380-bis c.p.c.
Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio nei confronti della controricorrente liquidandole in euro 3.000,00 per compensi, euro 100,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
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