CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 14459 depositata il 15 luglio 2016
LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – INAIL – INFORTUNIO SUL LAVORO – AMIANTO – BENEFICI CONTRIBUTIVI CONNESSI ALL’AVVENUTA ESPOSIZIONE AD AMIANTO – NON SUSSISTE
Fatto – Diritto
La Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato, per quel che qui interessa, la domanda di C.M. tesa al riconoscimento dei benefici contributivi connessi all’avvenuta esposizione a polveri di amianto.
La Corte territoriale ha accertato, in esito ai chiarimenti resi dai consulenti nominati in primo grado e nuovamente sentiti in appello, che l’esposizione alle polveri di amianto era stata saltuaria e pari a pochi minuti quotidiani di tal che non era raggiunta la soglia di esposizione che giustifica il riconoscimento del beneficio.
Per la cassazione della sentenza ricorre C.M. e denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e l’omessa ed insufficiente motivazione ai sensi degli artt. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 c.p.c.
Resistono l’inps e l’Inail con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
Il ricorso è inammissibile.
L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Secondo l’interpretazione resane dalle Sezioni Unite di questa Corte, da un lato è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, cosicché tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. s.u. nn. 8053/2014; 8054/2014; 9032/2014 e n. 1434 del 2015).
Ne segue che la censurata adesione alle conclusioni dei consulenti tecnici di ufficio di primo grado, richiamati in appello è inammissibile. Né sussiste la violazione dell’art. 116 c.p.c. atteso che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione del materiale probatorio il cui accertamento non è censurabile in Cassazione a meno che non si concreti nell’omesso esame di un fatto storico che avrebbe determinato una diversa soluzione della controversia che nella specie non è neppure denunciato.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico della parte soccombente.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater; d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dei contro ricorrenti liquidata, per ciascuna delle parti in € 2000,00 per compensi professionali,€ 100,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie. Accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R. .
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