CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 14536 depositata il 15 luglio 2016
FALLIMENTO – ACCERTAMENTO DEL PASSIVO – AMMINISTRATORI GIUDIZIARI NOMINATI EX ART. 15, COMMA 8, L.FALL. – COMPENSO – PREDEDUCIBILITÀ – SUSSISTENZA – LIQUIDAZIONE IN SEDE DI ACCERTAMENTO DEL PASSIVO – NECESSITÀ – PROCEDIMENTO EX ARTT. 26 E 111 BIS L.FALL. – INAPPLICABILITÀ
IL PROCESSO
Il fallimento della T. Group s.r.l. impugna il decreto della Corte d’appello di Catanzaro 25.11.2010, che ebbe ad accogliere il reclamo interposto dalla M.B. B. V. & C. s.a.s., avverso l’ordinanza di liquidazione dei compensi resa dal Tribunale di Cosenza 24.3.2010 su istanza di Na.Ma., N.A. e C.C., quali amministratori provvisori di nomina giudiziaria della T. Group s.r.l., a seguito di designazione del medesimo tribunale con misura adottata L. Fall., ex art. 15, comma 8, nel corso del procedimento poi sfociato nella dichiarazione di fallimento di detta società, a seguito della quale i menzionati amministratori conseguivano l’mpugnata liquidazione, posta dal tribunale cosentino a carico di tutti i creditori procedenti per la dichiarazione di fallimento.
La corte d’appello ritenne in primo luogo ammissibile il reclamo avverso l’ordinanza di liquidazione, trattandosi di accertamento di un credito ai sensi della L. Fall., art. 111-bis e per l’espresso riguardo alla determinazione di compensi verso soggetti nominati L. Fall., ex art. 25, osservando però che la decisione del tribunale era stata assunta nell’ambito di un procedimento cautelare, per quanto atipico, non disgiungibile dalle finalità per le quali si era mostrata necessaria, dirette ad assicurare efficacia al sopravvenuto fallimento. Tale constatazione avrebbe così dovuto precludere una generica imposizione delle spese a carico dei creditori istanti e non invece a carico della massa, in quanto sorte nel corso e in funzione della procedura concorsuale poi aperta, sufficiente ragione di revoca della ordinanza stessa, con assorbimento della ulteriore questione concernente l’eventuale ripartizione delle spese stesse tra tali creditori, ulteriormente contestata dalla società reclamante, già istante per il fallimento ma con ricorso successivo alla misura cautelare nel frattempo presa dal tribunale.
Il ricorso è affidato a tre motivi.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce la falsa applicazione della L. Fall., art. 26, dell’art. 645 c.p.c. e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, poiché l’ordinanza di liquidazione dei compensi emessa dal tribunale non era reclamabile innanzi alla corte d’appello, in quanto non adottata nelle vesti di giudice fallimentare, trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione suscettibile di impugnazione nelle forme dell’opposizione a decreto ingiuntivo ovvero dell’opposizione innanzi al presidente del tribunale, prevista in materia di liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice.
Con il secondo motivo il ricorrente assume violazione dell’art. 91 c.p.c., della L. Fall., art. 15, comma 8 e dell’art. 2409 c.c., in quanto le spese della fase cautelare dovevano ricadere sui creditori che avevano richiesto (o nel cui interesse era stato chiesto) il fallimento, come previsto nell’ambito del procedimento teso alla revoca degli amministratori di società per gravi irregolarità.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 700 c.p.c., atteso che i creditori istanti, attraverso la misura cautelare atipica disposta dal tribunale nel corso del procedimento prefallimentare, hanno inteso tutelare le proprie ragioni di credito, dovendo conseguentemente sopportare i relativi costi processuali.
1. Il ricorso, posta la necessaria trattazione congiunta dei motivi per come connessi, va rigettato, dovendosi interpretare il decreto impugnato per il significato assorbente assunto dall’affermazione, condivisibile, per cui il credito vantato dai soggetti officiati nel corso del procedimento per la dichiarazione di fallimento appare sorto in occasione di un giudizio volto all’instaurazione della procedura concorsuale ed in funzione della anticipazione della sua efficacia, dunque con le caratteristiche della prededuzione, come tale da insinuarsi nel successivo fallimento. La domanda originariamente presentata al Tribunale di Cosenza da N.M., N.A. e C.C., quali amministratori provvisori di nomina giudiziaria della T. Group s.r.l., designati nel corso del procedimento per la dichiarazione di fallimento della predetta società e con istanza di liquidazione dei compensi successiva al fallimento stesso, va d’ufficio così intesa, divenendo perciò assorbita la questione, anch’essa rilevabile d’ufficio, concernente l’omessa integrazione del contraddittorio, nella presente fase del giudizio non attuata dal ricorrente, proprio nei confronti di detti amministratori giudiziari, litisconsorti necessari.
La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che qualunque credito venga fatto valere nei confronti del fallimento deve essere verificato attraverso il procedimento previsto dalla L. Fall., artt. 93 e segg., essendo questo l’unico idoneo ad assicurare il principio della concorsualità anche nella fase della cognizione, per come implica la necessaria partecipazione ed il contraddittorio di tutti i creditori (Cass. 9623/2010, 17839/2005). La regola è specificamente eccettuata dalla L. Fall., art. 111 bis, per quanto qui di interesse, relativamente a quei soli crediti di rivendicata natura prededucibile che non siano contestati per collocazione ed ammontare, ancorché sorti durante l’esercizio provvisorio dell’impresa fallita, dunque manifestandosi compatibile un’attenuazione del rigore delle modalità di cui al capo 5^ L. Fall., per il valore conferito all’iniziale assenza di disputa interna sul credito stesso ovvero, a scopo eminentemente acceleratorio della definizione del corrispondente costo, allorché sia il credito a sorgere a seguito di provvedimenti di liquidazione endofallimentare, in particolare per compensi disposti in favore di soggetti nominati ai sensi della L. Fall., art. 25. Per questo secondo caso, che qui non ricorre, determinandosi la contestazione successivamente alla liquidazione e ad un primo vaglio già giudiziale, l’accertamento del credito avviene nel procedimento semplificato di cui alla L. fall., art. 26, avendo esso di mira la legittimità nel suo complesso del provvedimento assunto dal giudice delegato.
2. Il principio richiamato, intatto anche a seguito della riforma del 2006-2007, è stato da questa Corte declinato nel senso che, se il creditore che pretende d’essere soddisfatto in prededuzione non si sia avvalso dei mezzi apprestati per l’accertamento del passivo, ma, a fronte della contestazione in ordine alla prededucibilità del suo credito, abbia ciononostante attivato il procedimento camerale endofallimentare con l’istanza al giudice delegato ed abbia poi reclamato al tribunale il provvedimento negativo al riguardo, tutto il procedimento è affetto da radicale nullità, che il giudice di legittimità (investito del ricorso ex art. 111 Cost., contro il decreto di rigetto del tribunale) è tenuto pregiudizialmente a rilevare d’ufficio, cassando senza rinvio, poiché la domanda non poteva essere proposta con l’originaria istanza diretta al giudice delegato (attivato nell’ambito dei suoi poteri L. Fall., ex art. 25), ma la controversia doveva essere promossa nelle forme della domanda L. Fall., ex art. 93 (Cass. 9623/2010; Cass. 8111/2000; Cass. 9526/1994; Cass. 5124/1991; Cass. 2653/1968). Lo stesso principio va ribadito, con adattamento alla peculiarità della vicenda.
3. Ora, nella fattispecie all’esame della Corte, con la domanda di liquidazione dei compensi svolta innanzi al tribunale che aveva dichiarato il fallimento della società di cui erano stati nominati, nel corso del procedimento prefallimentare ed L. Fall., ex art. 15, comma 8, amministratori provvisori, gli originari istanti, anziché proporre l’accertamento del credito L. Fall., ex art. 93, al giudice delegato, secondo le norme stabilite dal citato capo 5^ L. Fall., per l’accertamento di ogni credito nei confronti della massa, intesero ottenere un provvedimento che comunque fosse idoneo ad determinare il loro credito, di natura prededucibile L. Fall., ex art. 111 – secondo quanto plausibilmente ritenuto dalla corte d’appello -, direttamente attraverso un’istanza al collegio, iniziativa che di per sé non preclude l’autonomo rispetto, cui quei soggetti restano però tenuti, della necessaria fase di verifica innanzi al giudice delegato, in contraddittorio con il curatore e tutti i creditori concorrenti.
La corte d’appello si è infatti esattamente limitata ad individuare la portata del credito per come vantato dagli istanti quale pretesa correlata ad una prestazione, per quanto insorta prima del fallimento, ma attinente alla nozione funzionale della prededuzione di cui alla L. Fall., art. 111, comma 2, così annullando in primo luogo la ripartizione di quel costo a carico di alcuni creditori e non della massa, essendo corretto il collegamento tra la misura cautelare protettiva patrimoniale adottata dal tribunale investito del procedimento per la dichiarazione di fallimento e la finalità conservativa che essa era volta ad assicurare, in termini di efficacia, una volta intervenuta, come accaduto, la pronuncia di cui alla L. Fall., art. 16. E addirittura la motivazione del decreto – che è culminato in una revoca del provvedimento del tribunale, revoca che va dunque confermata – non manca di rilevare la contraddittorietà, sul punto, della ordinanza del tribunale che, ponendo – e sia pur erratamente – il compenso degli amministratori provvisori a carico di tutti i creditori procedenti per il fallimento, implicitamente aveva operato una ricognizione ampia dell’interesse tutelato con la misura cautelare, che aveva giovato all’intera platea dei creditori”, poi concludendo con una più circoscritta fissazione della regola di riparto del costo.
4. Tuttavia, la previsione esonerativa dal rito di cui al menzionato capo 5 L. Fall., proprio perché il citato principio che regola l’accertamento dei crediti, anche in prededuzione, soffre di eccezioni nominate e specificamente oggetto di scelta normativa, non potrebbe permettere, forzando la previsione della L. Fall., art. 111-bis, comma 1, di far rientrare tra i soggetti nominati ai sensi della L. Fall., art. 25, anche quelli, come nel caso, che abbiano prestato la loro opera al servizio delle misure interinali di cui all’art. 15, comma 8, ed in quella anteriore sede siano stati designati ed abbiano esclusivamente operato. Si oppongono invero a tale assimilazione, oltre al dato testuale e alla ricordata ratio speciale della eccezione al sistema della L. Fall., artt. 93 e segg., le diversità d’ambito dei rispettivi provvedimenti: nella L. Fall., art. 25, per quanto oggetto di richiamo, si tratta di crediti da compenso nascenti da nomine di ausiliari di una procedura concorsuale ormai instaurata con i suoi organi di direzione, controllo e gestione; nella L. Fall., art. 15, comma 8, l’oggetto della misura non sono le nomine, cui la giurisprudenza di merito peraltro perviene in virtù della latitudine di atipicità strumentale dell’istituto, bensì le cautele o gli atti d’imperio a finalità conservativa del patrimonio o dell’impresa, per i quali la questione dei costi (e a maggior ragione dei compensi) è solo eventuale (come accade se il giudice adotta una misura limitativa dei poteri di amministrazione, senza che essa integri la designazione di un terzo) e può porsi (come peraltro ipotizzato dalla stessa corte d’appello catanzarese in un passaggio non valorizzato nella ricostruzione del sistema impugnatorio appropriato) già durante l’istruttoria stessa (se ad esempio una spesa o un costo siano da affrontare prima della sua conclusione) ovvero al suo esito alternativo al fallimento (con il decreto di rigetto assunto L. Fall., ex art. 22, o altra statuizione di improcedibilità o inammissibilità), apparendo in tali casi ancora diversa la regola concernente l’onere di sopportazione, da disporsi da parte dello stesso tribunale in relazione alla utilità della misura, alla responsabilità di chi abbia dato causa al procedimento e al merito della sua conclusione negativa.
Il procedimento attivato dagli amministratori provvisori – già di nomina giudiziaria secondo la misura cautelare atipica di cui alla L. Fall., art. 15, comma 8 – e quale promosso per il riconoscimento del proprio credito da compenso per come maturato in relazione a prestazioni effettuate prima della dichiarazione di fallimento, in applicazione della ricordata giurisprudenza di questa Corte si mostra dunque eccedente lo scopo, ancorché proseguito nel proprio interesse dai creditori cui erratamente era stata accollato l’onere del pagamento, dovendo in conseguenza – stante la principale statuizione del decreto della corte d’appello – essere rigettato il ricorso (con conferma della revoca disposta), per via dell’esatta qualificazione del credito e tuttavia restando impregiudicato che la domanda di accertamento di quei crediti, richiesti verso la massa, dovrà essere proposta con apposita domanda di insinuazione al passivo ai sensi del capo 5 L. Fall., per come richiamato dalla L. fall., art. 111-bis, comma 1.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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