CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 14615 depositata il 15 luglio 2016
TRIBUTI – IVA – FALLIMENTO – RIMBORSO DEL CREDITO D’IMPOSTA – CONTROCREDITO DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA – COMPENSAZIONE – LIMITI – CONDIZIONI
La CTR di Napoli, rigettando l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 302/14/2012 della CTP di Caserta che aveva già accolto il ricorso della parte contribuente “F.C.A.A. sas” (in fallimento) avverso diniego di rimborso per IVA relativa all’anno 2000 (per quanto nell’epigrafe della decisione si faccia invece riferimento ad avviso di accertamento per IVA ed IRAP relative all’anno 2000) – ha accertato che “non sussistono altre ragioni ostative al rimborso” ed ha condannato l’Agenzia al pagamento delle spese di lite.
La CTR – dopo avere evidenziato che il credito vantato dalla curatela afferiva ad un diritto al rimborso a favore della società contribuente portato da “sentenza tributaria favorevole” e passata in giudicato, rimborso denegato dall’Agenzia per causa della “posizione debitoria mai pagata” gravante sulla società medesima, e dopo avere evidenziato che il giudice di prima cura si era limitato “alla mera constatazione della non ammissione del minor controcredito dell’amministrazione per tardività della richiesta di ammissione al passivo del fallimento”- affermava che le censure formulate in proposito dall’appellante Agenzia non erano “mai state da essa proposte in primo grado né considerate dalla sentenza impugnata” e – comunque – che “la compensazione in sede fallimentare” (in presenza di un credito non ammesso al passivo e perciò inopponibile al fallimento) doveva considerarsi “inammissibile in sede di appello, ostandovi il disposto dell’art. 57 del D.Lgs. 546”. D’altronde, anche a voler leggere in modo meno rigoroso tale disposizione, la censura doveva ritenersi infondata, dovendosi muovere dalla premessa che il credito dell’A. F. non era stato ammesso al passivo del fallimento e (essendo inopponibile alla curatela) non poteva essere oggetto di compensazione e comunque non poteva essere argomento spendibile nella sede del processo tributario, che aveva ad oggetto la sola legittimità del diniego di rimborso e non già le somme eventualmente compensabili, da far valere – in ogni caso – nella sede endofallimentare e perciò senza possibilità di rimettere in discussione i provvedimenti del giudice fallimentare (in difetto di un “reclamo nelle sedi competenti avverso il provvedimento di esclusione”).
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La parte contribuente si è difesa con controricorso.
Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.
Ed invero, con il primo, il secondo ed il terzo motivo di impugnazione (uno improntato alla violazione degli art. 2909 cod. civ., 56 L.Fall.; 57 D.Lgs. 546/1992; l’altro improntato alla violazione del solo art. 2909 cod. civ.; il terzo improntato alla violazione del solo art. 56 L.Fall. – motivi che devono essere esaminati contestualmente per la loro stretta coerenza) la parte ricorrente si duole che il giudicante abbia eluso la questione concernente la compensazione con il credito vantato dall’Amministrazione Fiscale (fatta valere in via di eccezione alla domanda di rimborso proposta dalla curatela fallimentare) nonostante fosse pacifico che si trattava di crediti reciproci entrambi relativi all’anno 2000 (quello dell’Erario portato da una cartella di pagamento concernente iscrizione a ruolo dell’imposta risultante all’esito dello sgravio parziale di un avviso di accertamento, effettuato in ragione della definitività della sentenza della CTR Campania n. 7/47/2008 con cui era stato rideterminato il volume di affari della società proprio con riferimento al periodo di imposta anno 2000) e nonostante il thema decidendum prospettato da essa Agenzia nell’atto introduttivo di primo grado e tenuto in considerazione dal primo giudice fosse stato proprio quello della legittima proponibilità del controcredito dell’Amministrazione, senza il pregiudizio della mancata (o meglio tardiva) ammissione al passivo fallimentare. Si doleva, infine, del fatto che il giudicante avesse attribuito efficacia di giudicato alla dianzi menzionata sentenza della CTR Campania (assumendo che questa imponesse all’A.F. di effettuare un rimborso), per quanto con quest’ultima si fosse semplicemente parzialmente annullato un avviso di accertamento di maggior imposta, con rideterminazione del volume di affari in capo alla società e perciò con accertamento di un minor credito erariale rispetto a quello originariamente accertato.
I tre motivi, nella loro combinazione, appaiono manifestamente fondati e da accogliersi.
Da un canto occorre dare atto che la parte ricorrente ha convenientemente assolto al proprio onere di autosufficienza sia in ordine agli antefatti della lite (con riferimento alla natura giudiziale del titolo concernente il controcredito eccepito in compensazione; sia in ordine alla prospettazione “ab imis”, nel presente processo, del predetto controcredito; sia in ordine all’origine prefallimentare di entrambi i reciproci crediti), sicché le menzionate allegazioni possono costituire sostrato fattuale degli argomenti che seguiranno.
D’altro canto, occorre muovere dalla premessa che l’art. 56 della L. Fall., prevede espressamente che: “I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorchè non scaduti prima della dichiarazione di fallimento”, norma la cui “ratio” è individuata dal costante indirizzo di codesta Suprema Corte nell’esigenza “di evitare che il debitore del fallimento, che bene abbia corrisposto il credito di questo, sia poi esposto al rischio di realizzare a sua volta un proprio credito in moneta fallimentare” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 481 del 13/01/2009) e la cui unica condizione di efficacia è ritenuta “l’anteriorità rispetto al fallimento del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10861 del 10/07/2003) e perciò con “eccezione alla regola di cui all’art. 1243 cod. civ., secondo la quale la compensazione si verifica solo in caso di coesistenza di due contrapposti debiti aventi ad oggetto somme di denaro o quantità di cose fungibili dello stesso genere che siano però ugualmente liquidi ed esigibili” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4530 del 10/04/2000).
Con l’ulteriore seguito del fatto che: “Ai fini dell’applicazione dell’art. 56 legge fall. e del requisito dell’anteriorità del debito che il creditore può far valere in compensazione dei suoi crediti verso il fallito, occorre fare riferimento alla data in cui si è verificato il fatto che ha determinato il debito, e non a quella in cui il debito è stato concretamente accertato” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 559 del 22/01/1998).
Nella specie di causa, ricorrendo certamente i presupposti fattuali per l’applicazione della regola del menzionato art. 56, se non era impedito all’Amministrazione Finanziaria di “dedurre la relativa questione in sede di verifica dello stato passivo fallimentare, nonché di chiedere al giudice delegato di pronunciare sulla stessa e, per l’effetto, di ammetterlo al passivo per la somma conseguente al conguaglio tra le rispettive posizioni di credito – debito, con l’alternativa dell’ammissione al passivo per il credito residuo, ovvero della reiezione, salvo il rimedio processuale avverso la statuizione negativa a mente dell’art. 98 della l.fall. (in termini Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10408 del 21/10/1998) – rimedio che è la stessa parte controricorrente a documentare essere stato esperito, così provocando il provvedimento della Corte di Appello di Napoli che già si è pronunciata sul punto, poi fatto oggetto di ricorso per cassazione da parte della curatela – neppure è impedito alla stessa Amministrazione di far valere detto controcredito nella presente sede.
Ed invero, è pacifico indirizzo di legittimità quello secondo cui, nel giudizio proposto dalla curatela fallimentare per la condanna al pagamento del debito di un terzo nei confronti del fallito, l’eccepibilità in compensazione di un credito dello stesso terzo verso il fallito non è condizionata alla preventiva verificazione di tale credito, finché si rimanga nell’ambito dell’eccezione riconvenzionale (si veda, in proposito, già Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3337 del 20/05/1986 e poi numerose altre antecedenti e successive, fino a Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14418 del 07/06/2013). Per contro, un’eventuale eccedenza del credito del terzo verso il fallito non può essere oggetto di sentenza di condanna nei confronti del fallimento, ma deve essere oggetto di autonomo procedimento di insinuazione al passivo. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8053 del 03/09/1996) e perciò la deduzione di un maggior credito opposta dal debitore di un fallito, convenuto con azione di adempimento dal curatore, determina l’attrazione dell’intera controversia nella competenza del tribunale fallimentare, solo quando il convenuto abbia richiesto in via riconvenzionale, previa compensazione a norma dell’art. 56 legge fallimentare, la condanna del fallimento al pagamento della differenza, mentre se l’eccezione è fatta valere al solo scopo di conseguire il rigetto della domanda della curatela, di essa può conoscere il giudice adito in sede ordinaria, secondo i criteri dettati dagli artt. 34 e 35 cod. proc. civ., ancorché il credito opposto non abbia formato oggetto di verifica da parte del giudice delegato.
Anche nella presente sede l’eccezione di compensazione proposta dall’Agenzia è fatta valere al solo scopo di conseguire il rigetto della domanda della curatela fino alla concorrenza dei reciproci crediti delle parti (dal controricorso si apprende che quello maggiore appare vantato dall’Agenzia, per importo originariamente pari a € 106.381.100, e quello inferiore appare vantato dalla società contribuente, per importo originariamente pari ad € 43.072,50), e senza pregiudizio della soddisfazione con moneta fallimentare per l’ipotesi in cui l’eccezione di compensazione non possa avere esito positivo, siccome conseguenza della previsione del comma 2 dell’art. 23 del D.Lgs. n. 472/1997, norma che deve essere intesa come “principio generale della sospensione dei pagamenti di crediti in favore di contribuenti autori di violazioni finanziarie, raggiunti da atti di contestazione o di irrogazione di sanzioni, ancorché non definitivi” siccome essa fa riferimento a qualsiasi tipo di pagamento (si veda, sul punto, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16535 del 14/07/2010).
Non essendosi la sentenza impugnata attenuta ai menzionati principi di diritto, essa merita senz’altro cassazione e restituzione al giudice del merito, affinché quest’ultimo rinnovi l’indagine in ordine alla sussistenza dei presupposti per la eccepita compensazione, facendo applicazione della pertinente disciplina. Pertanto, si ritiene che il ricorso può essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.
Ritenuto inoltre:
– che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
– che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
– che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
– che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Campania che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.