CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 14627 depositata il 18 luglio 2016
LAVORO – RAPPORTI DI LAVORO – PRODUZIONE DI VINO AVARIATO – RESPONSABILITA’ – RISARCIMENTO DEL DANNO – DETERMINAZIONE DEL DANNO
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Lecce la C.S. cooperativa di Nardo s.r.l, chiedeva di accertare la responsabilità del capo cantina M.M. del consulente enologo T.P. nella determinazione del danno procurato dal maldestro processo di vinificazione che aveva impedito la commerciabilità del prodotto per complessivi euro 51.771,05. Il Tribunale respingeva la domanda. A seguito di appello depositato dalla C.S., la Corte di appello di Lecce riteneva ricorrente la responsabilità sia del dipendente che del consulente nella produzione di vino avariato e li condannava al pagamento del danno (corrispondente all’importo differenziale tra il ricavato della vendita quale aceto del vino deteriorato e la somma che poteva ricavarsi dalla vendita del vino), rilevando – per quel che interessa – che la ricostruzione più approfondita delle prove testimoniali e le valutazioni del consulente tecnico d’ufficio consentivano di dimostrare il nesso causale tra comportamento esigibile dai lavoratori e pregiudizio subito dalla C.S.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso i lavoratori con due motivi.
Resiste la C.S. con controricorso illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale ha affermato la sussistenza della responsabilità del M. e del P. in quanto, rispettivamente, Capo operaio e consulente della cantina sociale, peraltro nulla essendo emerso dalla prova testimoniale In ordine a tali responsabilità nell’ambito dell’organizzazione aziendale. I ricorrenti, inoltre, lamentano che sul punto sono state acriticamente recepite le inattendibili conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, che avrebbe basato la propria valutazione su una ricostruzione dei compiti dei due lavoratori non supportata da alcuna prova.
2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio avendo, la sentenza impugnata, posto a base della decisione le considerazioni del consulente tecnico d’ufficio non supportate da prove sugli effettivi ruoli rivestiti da due lavoratori all’interno dell’azienda.
3. I motivi, strettamente connessi tra loro, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Innanzitutto, deve rilevarsi che la Corte di merito non ha trascurato di procedere aII’accertamento del ruolo rivestito dal M. e dal P. rilevando che il complesso delle deposizioni testimoniali concorreva nel dimostrare la responsabilità del M. quale Capo operaio all’interno della cantina (in particolare, la deposizione dell’enologo L.) e del P. quale collaboratore (come enologo o, comunque, enotecnico) nell’ambito del processo di vinificazione. Inoltre, la Corte territoriale ha riscontrato che la fruizione di un monte ore di ferie arretrate da parte del M. non poteva esimerlo dalla relativa responsabilità sia perché lo stesso non si assentava l’intera settimana ma solamente quattro giornate a settimana sia perché – come rilevato dal consulente tecnico d’ufficio – il deterioramento del prodotto vinicolo si era verificato non tanto nella fase di fermentazione o di imbottigliamento quanto “nella cattiva gestione tecnica della conservazione del vino, il cui compito era assegnato al M. e all’enologo P., determinando un innalzamento del valore di acidità volatile oltre i limiti consentiti dalla legge per la commercializzazione del prodotto come vino”.
4. Per il resto, i motivi si risolvono nella riproposizione di una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, inammissibile in questa sede.
Come è stato più volte affermato da questa Corte, infatti, “in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma n. 5), c.p.c., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità” (v. fra le altre Cass. Sez. I, n. 14267/2006; cfr., da ultimo, Cass. nn. 23699/2015, 13668/2015). Nel contempo, poi, come pure è stato più volte precisato, “il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall‘art. 360 n. 5 c.p.c., non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice dei merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito dei vizio di motivazione ogni possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso la autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa”. (v. fra le altre, da ultimo Cass. n. 11789/2005, Cass. n. 4766/2006, Cass. n. 91/2014).
5. Orbene nel caso in esame, la Corte di merito ha affermato la responsabilità dei due lavoratori valutando tutti gli elementi istruttori raccolti esaminati, anche, attraverso la valutazione tecnica fornita dal consulente d’ufficio.
Tale accertamento di fatto risulta conforme a diritto e resiste alle censure dei ricorrenti, che, in sostanza, si limitano a riproporre la loro diversa valutazione, sollecitando un riesame del merito, inammissibile in questa sede.
Nel caso di specie, invero, trova applicazione il novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134), il quale – come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053/2014) – comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto. E’, invero, enunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori.
6. Questa Corte ha, inoltre, statuito che “la consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, poiché ha la finalità di aiutare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, per cui non è qualificabile come una prova vera e propria e, come tale, é sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice del merito. Qualora sia stata disposta e ne condivida i risultati, il giudice non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni dei suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità” (Cass. n. 3881/2006).
7. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza.
8. Il ricorso è stato notificato il 2.12.2013, dunque in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a pagare le spese di lite a favore della controricorrente, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione ordinanza n. 21528 del 7 luglio 2022 - Qualora l'attore ha chiesto la condanna del convenuto al pagamento di una somma di denaro determinata o determinabile (c.d. condanna specifica) il giudice non può, in assenza dell'accordo delle…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 07 luglio 2022, n. 21530 - Qualora l'attore ha chiesto la condanna del convenuto al pagamento di una somma di denaro determinata o determinabile (c.d. condanna specifica) il giudice non può, in assenza dell'accordo delle…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 36774 depositata il 11 ottobre 2021 - In tema di sequestro preventivo, il trasferimento del vincolo cautelare dalla cosa al denaro ricavato dalla vendita di essa non esclude l'interesse della parte a…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 marzo 2021, n. 8730 - Data la pregiudizialità dell'accertamento del reddito conseguito dalla società a ristretta base partecipativa rispetto a quello nascente dalla successiva presunzione di distribuzione dell'utile…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 6135 depositata il 7 marzo 2024 - La cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società cancellata, priva la società stessa della…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 19117 del 14 giugno 2022 - L'accertamento nei confronti del socio, di una società di capitale a ristretta base, è indipendente da quello svolto nei confronti della società, costituendo quest'ultimo unicamente il…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- E’ onere del notificante la verifica della c
E’ onere del notificante la verifica della correttezza dell’indirizzo del destin…
- E’ escluso l’applicazione dell’a
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 9759 deposi…
- Alla parte autodifesasi in quanto avvocato vanno l
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7356 depositata il 19…
- Processo Tributario: il principio di equità sostit
Il processo tributario, costantemente affermato dal Supremo consesso, non è anno…
- Processo Tributario: la prova testimoniale
L’art. 7 comma 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 (codice di procedura tributar…