CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 14737 depositata il 19 luglio 2016
FALLIMENTO – ATTIVITÀ FALLIMENTARI – AMMINISTRAZIONE – DIRITTI DEL FALLITO VERSO I TERZI – PRESCRIZIONE – SOSPENSIONE PER LA DURATA DELLA PROCEDURA – ESCLUSIONE – FONDAMENTO – FATTISPECIE
FATTO E DIRITTO
E stata depositata in Cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:
“1. – Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte d’Appello di Roma ha accolto l’appello proposto dalle Banche Popolari Unite Soc. coop. a r.l. e dalla Banca Popolare di Bergamo Sp.a. avverso la sentenza emessa il 16 maggio 2006, con cui il Tribunale di Roma aveva accolto la domanda di rendimento del conto proposta dalla C. C. S.r.l. nei confronti delle appellanti, condannandole alla restituzione della somma di Euro 410.249,04, oltre interessi, incassata a seguito della riscossione di effetti cambiari costituiti in pegno a garanzia di una linea di credito concessa per sconto di portafoglio.
2. – Avverso la predetta sentenza la C. C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. Le Banche hanno resistito con controricorso.
3. – A sostegno dell’impugnazione, la ricorrente ha dedotto la violazione e la falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 31, 42, 43 e 44 e dell’art. 2740 c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato prescritto il credito azionato, in quanto fatto valere ad oltre dieci anni di distanza dalla costituzione in pegno delle cambiali, senza tenere conto del fallimento di essa ricorrente, dichiarato nell’anno 1992 e chiuso nell’anno 1998, e della conseguente sospensione del termine di prescrizione, determinata dalla privazione della disponibilita’ dei propri beni. Aggiunge che la Corte di merito ha erroneamente escluso l’avvenuta interruzione della prescrizione, per effetto dell’azione proposta dal curatore nei confronti delle Banche ai sensi della L. Fall., art. 44, non avendo considerato che la dichiarazione di fallimento comporta l’attribuzione al curatore della legittimazione sostanziale e processuale in ordine al patrimonio del fallito, ivi compresi i diritti controversi.
4. – La natura squisitamente giuridica delle predette censure, rendendone possibile l’esame sulla base degli accertamenti di fatto risultanti dalla sentenza impugnata, consente di escludere la fondatezza delle eccezioni d’improcedibilita’ ed inammissibilita’ sollevate dalle controricorrenti, secondo cui la ricorrente non ha adempiuto l’onere d’indicazione ed allegazione dei documenti posto a suo carico dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c.. L’osservanza di tali disposizioni dev’essere infatti verificata con riguardo ad ogni singolo motivo di impugnazione, e puo’ condurre alla declaratoria d’improcedibilita’ o d’inammissibilita’ dello stesso soltanto quando, senza l’esame dell’atto o del documento non indicato o non allegato, risulterebbero impossibili la comprensione della censura e degl’indispensabili presupposti fattuali sui quali essa si fonda, nonche’ la valutazione della sua decisivita’ (cfr. Cass., Sez. Un., 5 luglio 2013, n. 16887).
5. – Il ricorso e’ peraltro infondato.
Nel disciplinare la sospensione della prescrizione, gli artt. 2941 e 2942 c.c., non contemplano infatti tra le relative ipotesi anche il fallimento del titolare del diritto, la cui dichiarazione, pertanto, non impedisce, per la durata della procedura, il decorso del termine prescrizionale nei rapporti con i terzi, dal momento che i diritti vantati dal fallito nei confronti dei propri debitori o sui beni compresi nel fallimento possono essere esercitati dal curatore, in virtu’ della legittimazione attribuitagli dalla L. Dall., artt. 42 e 43, mentre l’inerzia o il disinteresse degli organi della procedura legittimano il fallito ad agire, in via eccezionale, per la tutela dei propri diritti, senza che i terzi possano opporgli il difetto di capacita’ processuale, previsto esclusivamente a tutela degl’interessi della massa (cfr. Cass.. Sez. 3, 11 gennaio 2007, n. 396). Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur avendo dato atto della circostanza che, nel periodo compreso tra la consegna delle cambiali costituite in pegno a garanzia della linea di credito concessa dalla Banca Popolare di Bergamo e l’esercizio dell’azione di rendimento del conto e di restituzione dell’importo riscosso, la societa’ attrice era stata dichiarata fallita, con la conseguente perdita dell’amministrazione e della disponibilita’ dei propri beni e diritti, non ha escluso dal computo della prescrizione il periodo trascorso fino al momento in cui, con la chiusura del fallimento, essa era ritornata in bonis.
5.1. – Quanto all’azione di cui della L. Fall., art. 44, esercitata dal curatore nei confronti della medesima Banca, correttamente la sentenza impugnata ne ha negalo l’idoneita’ ad interrompere la prescrizione del diritto posto a fondamento dell’azione di rendiconto e restituzione, in considerazione della differenza di causa petendi e petitum riscontrabile tra le due azioni, nonche’ della diversita’ della legittimazione sottesa all’esercizio di ciascuna di esse.
E’ noto infatti che, sotto il profilo oggettivo, l’effetto interruttivo della prescrizione non e’ ricollegabile ad una domanda qualsiasi, ma solo a quella con cui sia stato chiesto il riconoscimento e la tutela giuridica del diritto del quale venga eccepita la prescrizione (cfr. Casa., Sez. 3, 20 novembre 2009, n. 24540; 29 marzo 2005, n. 6570; 9 aprile 2003, n. 5575); sotto il profilo soggettivo, invece, gli atti interruttivi della prescrizione provenienti da un terzo estraneo al rapporto in tanto possono conseguire la finalita’ cui mirano, in quanto tale soggetto abbia agito nella dichiarata qualita’ di rappresentante o mandatario del titolare del diritto, in forza di un potere specificamente o generalmente abilitante, ancorche’ conferito senza formanlita’ (cfr. Cass., Sez. lav., 22 febbraio 2006, n. 3873; 22 aprile 2002, n. 5821; Cass., Sez. 3, 14 settembre 2000, n. 12161).
Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha evidenziato che, mentre la domanda proposta nel presente giudizio trova fondamento nel mandato conferito alla Banca per l’incasso delle cambiali costituite in pegno a garanzia della linea di credito concessa alla C. C., e ha per oggetto il rendimento del conto relativo alla riscossione dei titoli e la restituzione dell’importo effettivamente incassato, oltre agli effetti rimasti insoluti, ovvero dell’intero importo delle cambiali, quella proposta dal curatore traeva invece origine dagli accreditamenti e dalle rimesse effettuati sul conto corrente della societa’ ricorrente, in dipendenza dell’anticipazione dell’importo dei titoli e dei pagamenti ricevuti dalla Banca, ed era volta ad ottenerne la dichiarazione di inefficacia, in quanto eseguiti in data successiva alla dichiarazione di fallimento, con la condanna della convenuta alla restituzione dei relativi importi. Nell’esercizio di quest’ultima azione, il curatore non e’ d’altronde subentrato nella medesima posizione sostanziale e processuale della societa’ fallita (nella posizione, cioe’, che quest’ultima avrebbe assunto qualora avesse agito in proprio al fine di acquisire al suo patrimonio poste attive di sua spettanza gia’ prima della dichiarazione di fallimento, ed indipendentemente dal dissesto successivamente verificatosi), non avendo azionato una pretesa rinvenuta nel patrimonio della stessa, ma avendo agito in sostituzione dei creditori ai, fini della ricostruzione del patrimonio originario della societa’, e dunque nella veste processuale di terzo, dotato di un’autonoma legittimazione, collegata alle funzioni esercitale in qualita’ di organo della procedura: in tale veste, egli non poteva essere considerato ne’ un successore o un dante causa della societa’ ricorrente, ne’ un rappresentante o un mandatario della stessa, con la conseguenza che alla domanda da lui proposta non puo’ riconoscersi, neppure sotto il profilo soggettivo, l’idoneita’ ad interrompere la prescrizione dei diritti derivanti dal rapporto di mandato”.
Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione e gli scritti difensivi in atti, ritiene condivisibile l’opinione espressa dal relatore e la soluzione da lui proposta, non risultando meritevoli di accoglimento le contrarie argomentazioni svolte nella memoria depositata dalla ricorrente, la quale si limita ad insistere nella propria tesi difensiva, senza addurre ragioni idonee a giustificare una rimeditazione delle predette conclusioni.
Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna la C. C. S.r.l. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi
Euro 8.200,00, ivi compresi Euro 8.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.
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