CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 15007 depositata il 16 giugno 2017
Ritenuto in fatto
1. Con ricorso R.G.N. 21726/12, E. s.r.l. a socio unico, già L. G. e f. s.r.l., ricorre con cinque motivi per la cassazione della sentenza della C.T.R. dell’Emilia Romagna, n. 16/9/2012 dep. il 19.3.2012, che, su ricorso avverso avviso di accertamento per IVA, Irap, Ires anno 2005 (col quale, a seguito di acquisizione degli atti del processo penale a carico dei soci della E. s.r.l., veniva accertata omessa dichiarazione di ricavi, dichiarazione infedele e irregolare tenuta della contabilità), in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello dell’Ufficio.
1.2. La C.T.R., respinta l’eccezione d’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 53 del d.lgs. 546/92, ha ritenuto motivato l’avviso impugnato, basato sulle consulenze tecniche d’ufficio (eseguite sui bilanci e sulla documentazione fiscale della società) nel processo penale svoltosi nei confronti dei soci per reati finanziari, nonché sulla sentenza di patteggiamento, ritenuta ammissione di responsabilità e di conferma di quanto contenuto nelle consulenze, fatto proprio dall’Ufficio e riproposto nell’atto impositivo. Ha quindi statuito che il riconoscimento della responsabilità dei soci in sede penale e le prove raccolte in diverso giudizio, avente ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i giudizi, insieme con la sentenza di patteggiamento e altri elementi specificamente indicati nell’atto impositivo (andamento altalenante dei ricavi, non proporzionalità fra costi e utili, rilevazione di ricavi occultati dalla società attraverso la mancata emissione di fatture di vendita nel periodo 2000/2005, i cui importi corrispondevano ai versamenti sui conti bancari della famiglia Laghi, ed altro), costituiscono elementi di prova idonei a fondare l’accertamento, quali presunzioni legali, non idoneamente contraddette dalla società, che si è limitata “a considerazioni di carattere generale”.
2. Con ricorso R.G.N. 21888/12 G. L., e con ricorso R.G.N. 21983/12 R. L., entrambi soci della E. s.r.l., cui sono stati attribuiti il 50% degli utili accertati alla società sul presupposto della sua natura di società a ristretta base azionaria, ricorrono sulla base di tre motivi per la cassazione rispettivamente della sentenza della C.T.R. dell’Emilia Romagna n. 18/9/2012 dep. il 19 marzo 2012 e della sentenza della C.T.R. dell’Emilia Romagna n. 19/9/2012 dep. 19 marzo 2012. Le indicate sentenze, emesse nella medesima udienza dallo stesso Collegio e depositate in pari data, su impugnazione degli avvisi di accertamento per Irpef (anno 2005), hanno accolto l’appello dell’Ufficio, preso atto della sentenza di accoglimento dell’appello dell’Ufficio nei confronti della società (da parte della stessa C.T.R. nella medesima udienza), sulla considerazione della stretta consequenzialità dell’accertamento emesso nei confronti dei soci con quello della società.
3. Per tutti i tre indicati ricorsi l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso e i ricorrenti hanno presentato successive memorie.
Considerato in diritto
1. Col primo motivo di tutti i ricorsi (R.G.N. 21726/12, R.G.N. 21888/12, R.G.N. 21983/12), la società e i soci, che vanno preliminarmente riuniti per la loro evidente connessione, deducono la nullità della sentenza, ex art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 102 c.p.c., dell’art. 14 del d.lgs. 546/92 e dell’art. 111 Cost., ricorrendo un’ipotesi di violazione del litisconsorzio necessario fra società e soci.
2. Il motivo è infondato. Questa Corte ha chiarito che l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a ristretta base azionaria costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano. Con la conseguenza che non ricorre, com’è per le società di persone, un’ipotesi di litisconsorzio necessario in ordine ai rapporti tra i rispettivi processi (Cass. n. 5393/2016; Cass. 31 ottobre 2014, n. 23423; 16 luglio 2014, n. 16294; 8 febbraio 2012, n. 1865; 31 gennaio 2011, n. 2214).
3. Col secondo motivo del ricorso R.G.N. 21726/12, si deduce omessa pronuncia, ex art. 360 n. 4, sul motivo di appello, proposto dall’ufficio e contestato dalla società, circa la mancanza di inerenza dei costi e delle fatture emesse dai legali rappresentanti della società.
4. Col secondo motivo dei ricorsi R.G.N. 21888/2012 e R.G.N. 21983/2012, Giacomo e R. L. deducono nullità della sentenza, ex art. 360 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia, in relazione alle eccezioni formulate dall’Agenzia delle entrate nel proprio atto di appello.
5. I superiori motivi vanno respinti.
6. A parte i profili di inammissibilità degli indicati motivi, attesa la mancata indicazione della loro proposizione in primo grado e la carenza di decisività oltre che di autosufficienza, va considerato che la C.T.R., con le sentenze impugnate, ha accolto integralmente l’appello dell’ufficio, con una pronuncia contenente dunque anche la decisione in ordine alla non inerenza dei costi relativi alle fatture per prestazioni professionali a favore di L. G., R. e R., per cui ogni ulteriore questione deve ritenersi assorbita. Va sul punto applicata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, può essere utilmente prospettata solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente proposta, richiede una pronuncia di accoglimento o di rigetto. Tale vizio, pertanto, deve essere escluso in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza (v. da ultimo Cass. n. 1360 del 26/01/2016, n. 3417 del 20/02/2015).
7. Col terzo motivo del ricorso R.G.N. 21726/12 si lamenta omessa motivazione, ex art. 360 n. 5 c.p.c., sulla eccepita inammissibilità dell’appello dell’Ufficio e sui profili di merito relativi all’accertamento dei maggiori ricavi.
8. Il motivo è infondato, avendo la C.T.R. congruamente e ampiamente motivato in relazione al primo profilo, relativo alla eccepita inammissibilità dell’appello dell’Ufficio, ritenuto ammissibile previo confronto fra le decisioni dei primi giudici e i motivi di appello, analiticamente esposti. Peraltro, in materia d’impugnazione, la specificazione dei motivi non deve essere intesa come una minuziosa e formalistica esposizione delle singole censure, essendo sufficiente la sussistenza di requisiti atti a delimitare, senza possibilità di equivoci – come nel caso di specie – l’ambito del riesame richiesto al giudice dell’impugnazione. Quanto alla doglianza relativa ai profili di merito (accertamento dei maggiori ricavi), contenendo questa in realtà una diversa e più favorevole lettura da parte dei ricorrenti delle medesime risultanze valutate dalla CTR, essa è inammissibile, essendo riservata esclusivamente al giudice del merito la valutazione delle prove e della rilevanza degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione.
9. Col terzo motivo dei ricorsi R.G.N. 21888/2012 e R.G.N. 21983/2012, G. e R. L. deducono nullità della sentenza, ex art. 360 n. 4 c.p.c., per mancanza di motivazione, essendosi la C.T.R. limitata ad un rinvio per relationem alla sentenza emessa nei confronti della società, senza riportarne il contenuto.
10. Anche questo motivo è infondato.
11. Questa Corte ha precisato, con riferimento al rinvio per relationem alla motivazione contenuta in altra sentenza, che deve ritenersi legittimamente motivata quella sentenza che contenga le ragioni della conferma della pronuncia in considerazione dei motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto (Cass. n. 14786 del 2016). Orbene, nel caso di specie, l’accoglimento dell’appello dell’Ufficio nella controversia nei confronti della società, nella stessa udienza da parte del medesimo Collegio – come espressamente dichiarato dalla C.T.R. – e la motivazione della sentenza impugnata, correttamente basata sul presupposto che “l’accertamento di maggior reddito del socio è strettamente conseguenziale a quello determinato nei confronti della società”, risponde ai richiamati requisiti, per cui, contrariamente a quanto dedotto nel superiore motivo, la sentenza impugnata è immune dal denunciato vizio.
12. Col quarto motivo del ricorso R.G.N. 21726/12, si deduce violazione di legge (art. 42 d.P.R. 600/73, art. 7 dello Statuto del contribuente; art. 97 Cost), per avere la C.T.R. ritenuto legittimo un atto impositivo fondato esclusivamente sulle perizie acquisite dal processo penale, senza un’autonoma attività istruttoria.
13. Col quinto motivo del ricorso R.G.N. 21726/12 si deduce violazione di legge (art. 2697 c.c. e 115 c.p.c.), per avere la C.T.R. fondato la decisione sulla base della relazione dei consulenti tecnici d’ufficio della Procura di Forlì e della sentenza di patteggiamento, relativa a processo non avente ad oggetto contestazioni di natura tributaria e non prodotta in giudizio.
14. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondati e vanno respinti. Sia le consulenze tecniche sia la sentenza di patteggiamento – costituenti comunque documenti conoscibili dalla società contribuente, essendo parte dei giudizi i soci della stessa – rappresentano elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva (Cass. n. 2938 del 13/02/2015), nel caso di specie considerate dalla CTR e specificamente indicate.
15. Conclusivamente, riuniti i ricorsi, vanno rigettati.
16. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce al ricorso RGN 21726/12, i ricorsi RGN 21888/2012 e RGN 21983/2012; rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese, liquidate in €. 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Roma, 22/12/2016
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