CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 1538 del 27 gennaio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – INPGI – CONTRIBUTI ASSICURATIVI OMESSI – MODULAZIONE DEI TEMPI E DEI MODI DI EFFICACIA DELLA DISCIPLINA SANZIONATORIA
In caso di omesso o ritardato pagamento di contributi previdenziali all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI), privatizzato ai sensi del D. Lgs. n. 509 del 1994, la disciplina sanzionatoria prevista dalla legge n. 388 del 2000, art. 116, non si applica automaticamente, poiché l’istituto, per assicurare l’equilibrio del proprio bilancio, ha il potere di modulare il contenuto ed il tempo iniziale di efficacia del predetto art. 116 e di adottare autonome deliberazioni in materia di regime sanzionatorio e di condono per inadempienze contributive – deliberazioni da assoggettare ad approvazione ministeriale ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 3, comma 7, pur avendo l’Istituto l’obbligo, alla stregua della predetta legge n. 388 del 2000, art. 76, di coordinare l’esercizio di questo potere con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La sentenza attualmente impugnata ha respinto l’appello avverso la decisione del Tribunale di Roma, che ha rigettato l’opposizione proposta dalla s.r.l. (…) avverso il decreto dello stesso Tribunale emesso su richiesta dell’INPGI – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “G.A.”, recante ingiunzione di pagamento alla suddetta società della somma di € 129.598 per contributi assicurativi omessi, sanzioni ed accessori, relativi ai rapporti di lavoro giornalistico intercorsi con otto lavoratori, per il periodo contributivo marzo 2003 – novembre 2006, a seguito di un accertamento ispettivo.
La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, ha precisato che tutti i giornalisti sentiti dagli Ispettori dell’Istituto, iscritti all’ordine dei giornalisti, quali pubblicisti, praticanti, professionisti, avevano dichiarato di avere, nel periodo oggetto di ispezione, redatto servizi giornalistici anche esterni, realizzato interviste, condotto telegiornali, tutte attività tipiche della professione e conformi ai loro ruoli professionali; che il lavoro svolto dai medesimi presso la redazione in conformità alla qualifica professionale di giornalista o pubblicista confermava la natura giornalistica della loro attività; che eventuali attività di supporto, connesse al lavoro di segreteria, alla battitura dei testi, alla lettura dei servizi predisposti da altri risultavano del tutto funzionali all’attività giornalistica di ricerca ed elaborazione delle notizie; che era rimasti) del tutto sfornito di prova l’assunto secondo cui i giornalisti (…) e (…) avevano effettuato i versamenti contributivi all’INPS.
Il ricorso della (…) s.r.l. domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi, illustrati da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Resiste con controricorso l’INPGI.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, in relazione all’art. 244 cod. proc. civ.
Lamenta che i lavoratori indicati nel verbale ispettivo hanno svolto, all’interno delle redazione, attività di supporto a quello dei giornalisti, quali lavori di segreteria e di battitura di testi, restando estraneo ogni elemento di creatività, commento ed elaborazione delle notizie, caratterizzanti il lavoro giornalistico.
Sul punto, la richiesta di prova testimoniale formulata da essa ricorrente erroneamente era stata considerata dai “giudici di merito” generica, posto che i relativi capitoli contenevano elementi idonei ai fini della prova della natura giornalistica della prestazione.
2. Con il secondo motivo si deduce insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., nonché violazione dell’art. 244 cod. proc. civ., in relazione all’art. 421 stesso codice e agli artt. 2721, 2722, e 2700 cod. civ.
Lamenta la ricorrente che la Corte d’appello ha ritenuto insuperabile la natura dell’attività giornalistica svolta dai soggetti indicati nel verbale ispettivo perché conforme alla qualifica da loro posseduta, all’attività svolta dalla società (omissis) e in ragione delle univoche dichiarazioni rese dagli interessati agli ispettori, ma non ha ammesso, anche ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ., la prova testimoniale formulata in termini tali da superare le risultanze dei verbali ispettivi.
3. Con il terzo motivo, ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., si denuncia il difetto di motivazione, in relazione agli artt. 115, comma 1, 244, 210 e 421 cod. proc. civ. e 2700 cod. civ.
Deduce la ricorrente che i giudici di merito non hanno riconosciuto la sussistenza della buona fede, con riferimento ai contributi versati all’INPS e all’ENPALS per i giornalisti (…), (…), (…),(…), (…), (…), e con riferimento ai giornalisti (…) e (…) non hanno dato rilievo, sempre al fine della dedotta buona fede della società, alla opzione manifestata da questi ultimi in ordine al versamento all’INPS e all’ENPALS dei contributi previdenziali.
Lamenta inoltre la ricorrente la reiezione della richiesta di ammissione della prova testimoniale sul punto e richiama l’art. 116 della legge n. 388 del 2000, secondo cui “il pagamento della contribuzione previdenziale, effettuato in buona fede ad un ente previdenziale pubblico diverso dal titolare, ha effetto liberatorio nei confronti del contribuente. Conseguentemente l’ente che ha ricevuto il pagamento dovrà provvedere al trasferimento delle somme incassate, senza aggravio di interessi, all’ente titolare della contribuzione”.
4. Con il quarto motivo si denuncia difetto di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4.
Osserva la ricorrente che il richiamo, nell’atto di appello, “alle domande tutte spiegate dall’appellante pur se riferite alla comparsa di risposta anziché all’atto di citazione in opposizione 1/2/2010 costituisce mero refuso che non autorizza l’affermazione, ove a tale circostanza si sia voluto fare richiamo, di mancata impugnazione del capo di sentenza relativa alla correttezza del regime sanzionatorio applicato dall’Istituto”.
5. Con il quinto motivo di ricorso, relativo alla posizione dei giornalisti (…) e (…), la ricorrente deduce la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., in relazione all’art. 244, sostenendo di non aver mai negato che i suddetti dipendenti avessero svolto mansioni giornalistiche e deducendo di aver operato in conformità all’opzione esercitata dai medesimi, versando i contributi all’INPS e all’ENPALS, anziché all’INPGI, sicché erroneamente la Corte territoriale non ha ammesso la prova testimoniale sulla circostanza relativa all’opzione e la conseguente consulenza tecnica al fine di verificare la entità dei contributi versati agli enti previdenziali anzidetti.
6. Il ricorso, con riguardo a tutti i motivi, è inammissibile nella parte in cui si deduce insufficienza o difetto di motivazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., atteso che tale disposizione, nell’attuale versione, qui applicabile (la sentenza impugnata è stata pubblicata il 3 marzo 2014), nel sostituire il testo precedente, ha disposto che il ricorso per cassazione può essere proposto “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” e non più “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 8053/14, hanno affermato in proposito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Tali elementi non ricorrono nella specie, avendo le Corte dato compiutamente conto delle ragioni della decisione come esposte nella narrativa.
7. In ordine alle altre censure formulate nei singoli motivi si osserva quanto segue.
E’ infondata la censura relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale di cui ai primi tre motivi, avendo la Corte di merito adeguatamente motivato il rigetto della relativa richiesta, ritenendo che le deduzioni dell’appellante sulle quali era fondata la prova erano generiche e rendevano il relativo capitolo inammissibile alla luce delle univoche dichiarazioni rese dai giornalisti al funzionario dell’istituto previdenziale.
Inoltre, nel rito del lavoro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’acquisizione di nuovi documenti o l’ammissione di nuove prove da parte del giudice di appello rientra tra i poteri discrezionali allo stesso attribuiti dagli artt. 421 e 437 cod. proc. civ. e tale esercizio è insindacabile in sede di legittimità anche quando manchi un’espressa motivazione in ordine alla indispensabilità o necessità del mezzo istruttorio ammesso, dovendosi la motivazione ritenere implicita nel provvedimento adottato (cfr., fra le tante, Cass. 9 gennaio 2007 n. 209).
Peraltro, con riguardo al regime sanzionatorio, va richiamata la più recente giurisprudenza di questa Corte, che ha superato il precedente orientamento ermeneutico ed alla quale questo Collegio intende prestare adesione (cfr. Cass. 12210/11; Cass. n. 1233/13; Cass. n. 14531/14), secondo cui, in caso di omesso o ritardato pagamento di contributi previdenziali all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI), privatizzato ai sensi del D. Lgs. n. 509 del 1994, la disciplina sanzionatoria prevista dalla legge n. 388 del 2000, art. 116, non si applica automaticamente, poiché l’istituto, per assicurare l’equilibrio del proprio bilancio (obbligo previsto dall’art. 2 del citato D. Lgs.), ha il potere di modulare il contenuto ed il tempo iniziale di efficacia del predetto art. 116 e di adottare autonome deliberazioni in materia di regime sanzionatorio e di condono per inadempienze contributive – deliberazioni da assoggettare ad approvazione ministeriale ai sensi del D.Lgs. n. 509, art. 3, comma 7, pur avendo l’Istituto l’obbligo, alla stregua della predetta legge n. 388 del 2000, art. 76, di coordinare l’esercizio di questo potere con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive.
Si richiama, inoltre, Cass. n. 22325 del 30 settembre 2013, che ha ritenuto incensurabile in sede di legittimità, in quanto adeguatamente motivata, la decisione del giudice di merito che aveva affermato, in un caso analogo a quello di specie, che la parte datoriale non poteva ignorare il contenuto del rapporto di lavoro della propria dipendente, con il conseguente obbligo contributivo, sicché non poteva configurarsi un errore scusabile, presupposto per l’applicazione della norma invocata.
8. Inammissibile è il quarto motivo, oltre che per avere denunciato difetto di motivazione in violazione della novella del 2012 (v. sub n. 6), perché non precisa sufficientemente i termini della censura.
9. Infondato è infine il quinto motivo nella parte in cui la ricorrente si duole della mancata ammissione della prova testimoniale in ordine all’esercizio dell’opzione di cui all’art. 76 della legge n. 388 del 2000 da parte dei giornalisti (…) e (…) avendo la Corte territoriale correttamente affermato che siffatta prova avrebbe dovuto essere fornita documentalmente, non potendo essere sostituita dalla prova testimoniale.
9. In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ricorrono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato (art. 13, comma 1- quater, D.P.R. n. 115/02).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida a favore della resistente in € 100,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Ai sensi all’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
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