CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 15633 depositata il 27 luglio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – RICONOSCIMENTO DI UNA CONTRIBUZIONE “FIGURATIVA” – SOGGETTI SOTTOPOSTI A PERSECUZIONI POLITICHE O RAZZIALI – PRESUPPOSTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Si controverte del diritto di A.F. al conseguimento dei benefici della contribuzione figurativa di cui alla L. n. 96 del 1955, a favore di soggetti sottoposti a persecuzioni politiche o razziali.
Con sentenza del 3/3 – 30/12/2009 la Corte d’appello di Roma, riformando la decisione di prime cure, ha riconosciuto tale diritto all’ A. dopo aver rilevato che l’attestazione di cui alla L. n. 932 del 1980, art. 2, della quale il medesimo era in possesso, conteneva l’accertamento della sua condizione di cittadino italiano assoggettato a persecuzione ad opera del regime fascista per la promulgazione in Italia di leggi razziali.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Inps con un solo motivo.
Resiste con controricorso A.F..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un solo motivo l’istituto ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. 10 marzo 1955, n. 96, art. 5, e successive modificazioni, nonchè della L. 22 dicembre 1980, n. 932, art. 2, sostenendo che in relazione all’epoca per la quale era stato riconosciuto il beneficio in questione l’ A. non era titolare di posizione assicurativa, non avendo nemmeno l’età minima per accedere al mondo del lavoro. Al riguardo l’ente previdenziale fa osservare che l’ A. era nato il (OMISSIS) e che all’epoca dei fatti persecutori per i quali i giudici del merito gli avevano riconosciuto il beneficio della contribuzione figurativa, vale a dire dal 7 luglio 1938 al 25 aprile 1945, il medesimo aveva solo 12 anni e non era titolare di posizione assicurativa, nè in quel periodo, nè nel 1940, anno di raggiungimento dell’età lavorativa fissata a 14 anni.
Nel resistere l’ A. obietta, da parte sua, che a nulla rilevava la mancanza di una preesistente posizione assicurativa o di lavoro, data la natura premiale del beneficio in esame.
Il motivo è fondato.
Invero, la possibilità, prevista dalla normativa richiamata, di riconoscimento di una contribuzione “figurativa” a favore dei soggetti sottoposti a persecuzioni politiche o razziali, presuppone la preesistenza di un rapporto di lavoro e, conseguentemente, di un rapporto assicurativo, che sia stato all’epoca interrotto da atti “persecutori”. Infatti l’istituto della contribuzione “figurativa” introdotto dalla legge persegue chiaramente lo scopo – come è dato desumere dal dato letterale della sua formulazione e della sua “ratio” – di sostituire, in termini strettamente funzionali, il mancato versamento causato appunto dalle persecuzioni e non presenta, in realtà, il carattere “premiale” prospettato dal controricorrente, secondo il quale il beneficio dovrebbe spettare indipendentemente dalla preesistenza di un rapporto assicurativo. Quanto finora chiarito lo si desume, oltre che dalle finalità perseguite, anche dalla chiara formulazione della L. 10 marzo 1955, n. 96, art. 5, (in tema di “provvedimenti a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti”) – come sostituito dalla L. 22 dicembre 1980, n. 932, art. 2, che così dispone: “… ai fini del conseguimento delle prestazioni inerenti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, sono considerati utili i periodi scoperti da contribuzione a partire dal primo atto persecutorio subito nelle circostanze di cui all’art. 1, delle presente legge e fino al 25 aprile 1945, dai cittadini italiani che possono fare valere una posizione assicurativa nell’assicurazione predetta o periodi di lavoro assoggettabili a contribuzione dell’assicurazione stessa, ai sensi delle vigenti norme di legge…”. Non senza ricordare il testo originario della L. citata n. 96 del 1955, art. 5, che faceva esplicito riferimento ai “… versamenti..” contributivi effettuati “… anteriormente all’imputazione o alla condanna” – ai fini del riconoscimento dell’utilità del periodo di persecuzione politica o razziale. In tal senso si è già espressa in passato questa Corte (Cass. Sez. Lav. n. 3690 del 25/3/1992) affermando che “il beneficio dell’accredito dei contributi figurativi, previsto dalla L. n. 96 del 1955, art. 5, e successive modificazioni a favore dei perseguitati politici antifascisti e razziali e dei loro superstiti, postula la preesistenza di un rapporto assicurativo che sia stato interrotto all’epoca dagli atti persecutori”.
Si è, altresì, precisato (Cass. Sez. Lav. n. 12227 del 29/12/1990) che “il beneficio dell’accredito dei contributi figurativi previsto dalla L. n. 96 del 1955, art. 5, e successive modificazioni (in particolare, L. 22 dicembre 1980, n. 932, art. 2) non è applicabile ai lavoratori autonomi ma soltanto ai lavoratori subordinati (come ritenuto anche dalla Corte costituzionale, che, con ordinanza n. 357 del 1988, ha dichiarato manifestamente infondata la questione d’incostituzionalità per disparità di trattamento), tenuto conto che al momento dell’entrata in vigore della L. n. 96 del 1955, l’Assicurazione generale obbligatoria i.V.S. era prevista solo per i lavoratori subordinati e che la successiva formulazione del citato art. 5, non ha comportato l’ampliamento dell’originaria portata del predetto beneficio, la cui limitazione ai lavoratori subordinati si desume anche dalla previsione – ad opera della L. n. 1424 del 1965, (interpretativa della L. n. 284 del 1961, art. 3) – della commisurazione dei contributi figurativi accreditabili alla retribuzione della categoria e della qualifica professionale dei lavoratori perseguitati”.
Pertanto, il ricorso va accolto, non essendo utile, ai fini del conseguimento del beneficio in esame, il possesso da parte dell’ A. del solo attestato di perseguitato politico e non rivestendo lo stesso beneficio semplice carattere premiale, come infondatamente sostenuto dal controricorrente, per le ragioni in precedenza esposte. Conseguentemente l’impugnata sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, col rigetto della domanda di A.F..
Motivi di equità dovuti al diverso esito dei giudizi di merito ed alla particolarità della questione trattata inducono questa Corte a ritenere interamente compensate tra le parti le spese dei primi due gradi di giudizio.
Le spese del presente giudizio seguono, invece, la soccombenza del controricorrente e vanno liquidate come da dispositivo a suo carico.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa le spese del doppio grado del giudizio di merito e condanna A.F. al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3.100,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
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