CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 15640 depositata il 27 luglio 2016

LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – ASSICURAZIONE PER GLI ESERCENTI ATTIVITà COMMERCIALI – COADIUTORI FAMILIARI NON FARMACISTI – MODALITA’ DI PARTECIPAZIONE DEI COADIUTORI ALL’ATTIVITA’ DELL’IMPRESA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso al Tribunale di Arezzo, M.A. chiese in contraddittorio con l’Inps che fosse accertata l’Insussistenza della pretesa contributiva sostenuta dall’Istituto in relazione alle prestazioni continuative rese a favore della sua farmacia dai genitori, quali coadiutori familiari, fondata su verbale di accertamento del 30 maggio 2005.

2. Il Tribunale accolse la domanda. La sentenza, impugnata dall’Inps, è stata riformata dalla Corte d’appello di Firenze, che, con sentenza depositata in data 11 giugno 2010, ha rigettato la domanda del M. e lo ha condannato al pagamento delle spese di entrambi gradi del giudizio.

3. La Corte territoriale ha rilevato che tra il ricorrente, titolare della farmacia ” M. dr. A.”, e i suoi genitori era stata costituita un’impresa familiare ai sensi dell’art. 230 bis c.c.; che nell’atto costitutivo dell’impresa era prevista la collaborazione di questi ultimi “in modo continuativo e prevalente alla conduzione dell’impresa”; che l’età avanzata dei genitori non era di per sè sufficiente ad escludere una loro partecipazione all’attività gestionale della farmacia, comprovata dalla partecipazione agli utili nella misura del 20% per la madre e del 29% per il padre; che non vi era dubbio circa la sussistenza all’interno della farmacia di un settore di vendita di prodotti parafarmaceutici; che, in base alla disciplina della L. n. 613 del 1966, artt. 1 e 2, come successivamente modificata, sussisteva l’obbligo contributivo per i soggetti che partecipavano personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, ivi compresi i familiari coadiutori a condizione che fossero il coniuge, i figli legittimi o legittimati e nipoti in linea diretta, ascendenti, i fratelli e le sorelle; che tale obbligo sussisteva anche nel caso in cui il titolare dell’attività commerciale, nel caso il farmacista, non fosse tenuto all’iscrizione nella gestione commercianti dell’Inps in quanto soggetto a forma di previdenza esclusiva propria della sua categoria (ENPAF).

4. Contro la sentenza, il M. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati da me M.a, cui resiste l’Inps con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la parte denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando l’omessa pronuncia da parte del giudice d’appello dell’eccezione di prescrizione L. n. 335 del 1995, ex art. 3, comma 9, sollevata sia in primo che in secondo grado e relativa ai contributi addebitati dall’Inps con verbale del 30 maggio 2005: ciò sul presupposto che fin dalla seconda metà degli anni 1990 i suoi genitori avevano cessato ogni forma di collaborazione nel punto vendita, limitando il loro impegno alla trascrizione delle fatture dei farmaci nei libri contabili presso la loro abitazione.

2. Con il secondo motivo il M. denuncia la violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, lett. a), e L. n. 613 del 1966, artt. 1 e 2, e sostiene l’erroneità della decisione nella parte in cui il Giudice territoriale ha ritenuto sussistente l’obbligo assicurativo senza tuttavia valutare se esso fosse impedito dal decorso della prescrizione, essendo l’attività prevalente continuativa dei soci dell’impresa familiare cessata almeno dal 1995.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla collaborazione in modo prevalente e continuativo dei suoi genitori nella gestione della farmacia durante il periodo cui si riferiscono i contributi: in proposito rileva che la Corte territoriale non ha tenuto nel debito conto che all’epoca cui si riferivano i contributi (2000-2005) i suoi genitori avevano 80 anni sicchè era illogico presumere una proficua attività lavorativa abituale quando il dato anagrafico coincideva con il pensionamento di vecchiaia. Inoltre la ritenuta inattendibilità dei testi era fondata su una motivazione contraddittoria, in quanto non basata su fonti di prova, tanto più che l’impresa familiare non è incompatibile con la cessazione della collaborazione materiale alla sua gestione da parte del compartecipe, potendo l’impresa familiare essere costituita anche per ottenere reddito da capitale e in assenza di attività di lavoro.

4. Il quarto motivo ha ad oggetto la violazione della L. n. 613 del 1966, artt. 1 e 2, e L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 202, 203 e 206, e con esso sl sollecita un ripensamento della giurisprudenza di questa Corte in ordine all’obbligo assicurativo dei familiari soci dell’impresa familiare, considerato che il farmacista è un professionista con una cassa autonoma, e non è soggetto all’obbligo di iscrizione alla gestione speciale commercianti avendo l’attività non professionale (cioè commerciale), rispetto a quella professionale, carattere accessorio.

5. Il primo e il secondo motivo, che si affrontano congiuntamente per la connessione che li lega, sono inammissibili. Della questione della prescrizione non vi è alcun cenno della sentenza impugnata, sicchè era onere della parte, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della questione, specificare gli esatti termini in cui essa è stata introdotta nel giudizio, nonchè l’atto e la fase processuale in cui ciò è avvenuto. Se infatti è vero che la prescrizione, ai sensi della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 9, è sottratta alla disponibilità delle parti ed è rilevabile d’ufficio, è altrettanto vero che le circostanze fattuali che la sorreggono devono risultare dagli atti già ritualmente acquisiti nel precedente corso del processo (v. Cass. 15 ottobre 2009, n. 21929 e Cass. 28 febbraio 2012, n. 3042, in motivazione; Cass., 20 maggio 2010, n. 12353; Cass., 13 giugno 2007, n. 13783). Nel caso di specie, nel ricorso per cassazione la parte si limita ad affermare che l’eccezione di prescrizione sarebbe stata sollevata attraverso l’allegazione della circostanza di fatto dell’avvenuta cessazione della collaborazione, da parte dei suoi genitori, nella farmacia da lui gestita a partire dalla seconda metà degli anni ‘90 e indica il numero della pagina del ricorso introduttivo del giudizio (pag. 4) in cui tale circostanza sarebbe stata allegata. Inoltre la parte si limita ad affermare di aver riproposto la questione in sede di appello al fine di non incorrere nelle conseguenze previste nell’art. 346 c.p.c., ma non ne riportai termini nè deposita unitamente al ricorso per cassazione la me M.a difensiva, di cui peraltro non offre indicazioni per una sua facile reperibilità nel presente giudizio.

Ed invero, affinchè possa utilmente dedursi In sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire at giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi (cfr. Cass., 4 luglio 2014, n. 15367; v. pure Cass., sez. un., 22 maggio 2012, n. 8077).

A ciò deve aggiungersi che la circostanza di fatto, che assume essere pacifica, – senza tuttavia che il ricorrente abbia specificato in quale sede e modo tale circostanza sia divenuta pacifica (Cass., 30 aprile 2010, n. 10605; Cass. 18 luglio 2007, n. 15961), – e su cui ha fondato l’eccezione di prescrizione (ossia la cessazione di ogni attività di collaborazione da parte dei familiari fin dal 1995), è stata espressamente esclusa dalla Corte territoriale, come in seguito si vedrà nell’esame del successivo motivo di ricorso. Sotto tale aspetto, il motivo è infondato.

6. Il terzo motivo è pure infondato, oltre a presentare anch’esso profili di inammissibilità. L’inammissibilità sta nel fatto che si censura il valore probatorio attribuito dal giudice d’appello all’atto costitutivo dell’impresa familiare, senza che tale documento sia stato trascritto o riportato anche solo nelle sue parti salienti; esso, inoltre, non risulta depositato unitamente al ricorso per cassazione, nè sono state fornite precise Indicazioni per una sua facile reperibilità nel presente giudizio. I motivi pertanto non appaiono conformi al principio di specificità e autosufficienza secondo cui, qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione dl un documento da parte del giudice del merito, per rispettare il suddetto principio – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” egli ha l’onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante del documento stesso, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’Individuazione e il reperimento negli atti processuali e assolvendo, così, li duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

L’infondatezza del motivo sta invece nel rilievo che la Corte territoriale ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto comprovata la partecipazione dei genitori del ricorrente all’attività dell’impresa con carattere di continuatività e prevalenza, fondando il suo giudizio non solo sull’atto costitutivo dell’impresa familiare ma anche sul dato incontestato della loro partecipazione agli utili, nonchè sull’esistenza all’Interno della farmacia di un settore di vendita di prodotti parafarmaceutici. Si è in presenza di una motivazione certamente sussistente – il che esclude il vizio di omessa pronuncia – oltre che sufficiente, siccome fondata sulle prove documentali e sulla svalutazione, in quanto inattendibili, delle dichiarazioni dei testimoni escussi. Quanto alla contraddittorietà, meramente asserita, non si riscontrano nella lettura della sentenza errori di carattere logico-giuridico o affermazioni contrastanti sì da impedire di individuare il percorso logico seguito dal giudice nella formazione del suo convincimento.

Deve qui ribadirsi l’indirizzo consolidato in base al quale “la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al Giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (v. Cass., 13 giugno 2014, n.13485; Cass., 15 luglio 2009, n. 16499; Cass., 5 ottobre 2006, n. 21412; Cass. 15 aprile 2004 n. 7201; Cass. 7 agosto 2003 n. 11933). In realtà, attraverso la denuncia della insufficienza e contraddittorietà della motivazione la parte intende ottenere una rivisitazione del ragionamento compiuto dalla corte territoriale, inammissibile in questa sede.

7. Il quarto motivo è infondato alla luce del principio ripetutamente affermato da questa Corte, a partire dalla sentenza resa in data 12 maggio 2010, n. 11466 (cui hanno fatto seguito, Cass., 20 maggio 2010, n. 12342; Cass., 25 maggio 2010, n. 12742; Cass. 11 giugno 2013, n. 14666, e Cass., 31 ottobre 2013, n. 24590; da ultimo Cass., 6 agosto 2015, n. 16520), secondo cui “nel quadro della disciplina dettata dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 202, 203 e 206, nel campo di applicazione dell’assicurazione per gli esercenti attività commerciali istituita con la L. a 613 del 1966, l’assicurazione stessa è operativa anche nei confronti dei coadiutori familiari non farmacisti del titolare di una farmacia – in relazione alle attività di vario tipo demandabili a non farmacisti nella gestione della relativa impresa -, nel concorso dei requisiti di legge relativi sia all’impresa e in particolare alle modalità di organizzazione e conduzione della stessa, sia alle modalità di partecipazione dei coadiutori all’attività dell’impresa”. A tale principio questo Collegio intende dare continuità, in mancanza di nuovi argomenti normativi o interpretativi che inducano ad un diverso convincimento.

24. Il ricorso deve dunque essere rigettato. In applicazione del criterio della soccombenza il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 4100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e altri accessori di legge.