CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 157 del 8 gennaio 2016
MOBILITA’ – COMUNICAZIONE CONTESTUALE – LAVORATORE – ISTITUZIONI – SUSSISTE
Licenziamento illegittimo quando la comunicazione agli uffici del lavoro e alle organizzazioni sindacali non è contestuale a quella nei confronti del dipendente.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Dopo essere stati reintegrati a seguito dell’annullamento di un precedente licenziamento, L.M. e P.P. N., gia’ dipendenti di Banca Commerciale Italiana ed attualmente di Intesa San Paolo S.p.A., erano stati reintegrati in servizio. A seguito dell’apertura di una nuova procedura di mobilita’, agli stessi era comunicato, con lettera del 18 settembre 2008, il licenziamento a decorrere dal 1 ottobre 2008. Il Tribunale di Perugia, adito dai lavoratori, dichiarava l’inefficacia dei licenziamenti intimati e, per l’effetto, ordinava la reintegrazione dei predetti nel posto di lavoro; condannava, altresi’, la convenuta a risarcire loro il danno, mediante versamento di un’indennita’ commisurata all’importo della retribuzione globale di fatto per il periodo compreso tra il 1 ottobre 2008 e l’effettiva reintegrazione. Condannava, inoltre, Intesa San Paolo a restituire ai ricorrenti le somme indebitamente loro trattenute sull’indennita’ corrisposta a titolo di risarcimento per l’illegittimita’ del precedente licenziamento collettivo, in relazione alla quota dei contributi a carico del prestatore, oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali. La decisione, a seguito di appello da parte dell’Istituto, era confermata dalla Corte d’Appello di Perugia con sentenza del 23/10/2012.
2. La Corte territoriale fondava la statuizione sulla declaratoria d’inefficacia del recesso per il riscontrato vizio formale della procedura di licenziamento (violazione della disposizione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, per la mancanza di contestualita’ della comunicazione del recesso all’Ufficio Regionale del lavoro rispetto a quella al lavoratore che aveva impedito ai lavoratori di esercitare il controllo sulla correttezza dell’operato della societa’, presupposto necessario della tutela dei lavoratori rispetto alle determinazioni assunte nei loro confronti).
3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Intesa San Paolo s.p.a. nei confronti di L.M. sulla base di cinque motivi (la numerazione del ricorso non corrisponde a quella effettiva). Resiste il L. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente deduce, con il primo motivo, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5). Rileva che la sentenza della Corte d’Appello aveva completamente omesso di considerare il fatto che l’accordo sindacale del 22/7/2008, sottoscritto all’esito della procedura di riduzione del personale e prima ancora l’accordo quadro dell’8/7/2008, avevano previsto l’applicazione del criterio di scelta di cui al D.M. n. 158 del 2000, art. 8. Osserva che al L. era stato applicato un criterio di scelta (quello del possesso dei requisiti pensionistici) che, non consentendo margini di discrezionalita’, permette automaticamente di individuare il modo con il quale l’azienda e’ pervenuta alla scelta del singolo lavoratore da licenziare.
2. Con altro motivo la ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5). Rileva che la sentenza della Corte d’Appello ha completamente omesso di considerare il fatto che l’accordo sindacale del 22/7/2008 indicava puntualmente le modalita’ di applicazione del criterio di scelta e che in ragione di tale preventiva indicazione la violazione dell’obbligo di contestualita’ era sostanzialmente innocua.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5).
Violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, (art. 360 c.p.c., n. 3). Rileva che la sentenza della Corte d’Appello ha completamente omesso di considerare il fatto che il numero dei lavoratori in possesso dei requisiti per il diritto a pensione alla data del 31/3/2008 era inferiore al numero degli esuberi indicati nell’accordo sindacale del 22/7/2008.
4. Con il quarto motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5). Si rileva che la sentenza della Corte d’appello ha anche omesso di considerare il fatto che l’accordo del 22/7/2008 e l’accordo dell’8/7/2008 sono stati trasmessi prima dell’invio delle lettere di licenziamento a tutti i destinatari indicati nella L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9.
5. La ricorrente deduce, infine, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5). Rileva che la sentenza ha omesso di considerare il fatto che la spedizione della lettera di licenziamento al sig. L. e’ avvenuta il 19 settembre 2008 (e non il 18 settembre 2008) e che la lettera e’ stata ricevuta dallo stesso in data 25 settembre 2008, con la conseguenza che tra la ricezione della lettera e la comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9, intercorre uno scarto di pochissimi giorni, talche’ il principio della contestualita’ deve ritenersi sostanzialmente rispettato.
6. Il ricorso, ammissibile in ragione del sufficiente rispetto delle prescrizioni di cui agli artt. 366 e 366 bis c.p.c., e’ infondato e va rigettato.
7. Con riferimento ai motivi di ricorso da 1 a 4, la cui trattazione unitaria e’ consentita in ragione della stretta connessione, e’ da evidenziare, per un verso, che i medesimi risultano estranei alla ratio posta a fondamento del decisum, basata sul riscontro di un vizio formale della procedura di licenziamento, in relazione agli adempimenti spettanti al datore di lavoro. Rispetto a tale ragione fondante, infatti, non puo’ assumere rilevanza l’osservanza del criterio di scelta in concreto adottato dal datore di lavoro, ancorche’ conforme a un accordo sindacale anche in relazione al numero degli esuberi in esso previsti (motivi 1 e 3). Allo stesso modo non puo’ assumere rilievo la preventiva indicazione del predetto criterio di scelta mediante accordi sindacali (motivo sub 2), ne’ la trasmissione degli accordi medesimi ai destinatari prima dell’invio delle lettere di licenziamento (motivo sub 4). La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di osservare in proposito che “in ordine, in particolare, al requisito della contestualita’ fra l’atto di recesso indirizzato ai lavoratori e la ulteriore comunicazione di cui sono destinatari gli uffici del lavoro e le associazioni di categoria, si e’ gia’ chiarito, nella giurisprudenza di questa Corte, che nessuna comunicazione dei motivi viene prescritta con riguardo al singolo lavoratore, essendo sufficiente che il recesso venga operato tramite atto scritto, sicche’ solo attraverso le comunicazioni alle organizzazioni sindacali e agli altri soggetti istituzionali e’ reso possibile ai lavoratori interessati di conoscere in via indiretta le ragioni della loro collocazione in mobilita’ (v. ad es. Cass. n. 5578/2004; Cass. n. 1722/2009). Ne deriva che il riferimento alla “contestualita’” delle comunicazioni intercetta, quale sua ratto, l’esigenza di rendere visibile, e quindi controllabile, dalle associazioni di categoria, oltre che dagli uffici pubblici competenti, la corretta applicazione della procedura con riferimento ai criteri di scelta seguiti ai fini della collocazione in mobilita’ e che tale possibilita’ di controllo si pone quale indispensabile presupposto per la tutela giurisdizionale riconosciuta al singolo dipendente. Ne’ ad escludere che la contestualita’ prescritta dalla norma sia in funzione anche della conoscibilita’ del corretto esercizio del potere da parte dei singoli dipendenti puo’ valere la considerazione che la motivazione del recesso, nemmeno prescritta dalla L. n. 604 del 1966, nel caso di licenziamenti individuali, a maggior ragione non e’ configuratale in materia di licenziamenti collettivi, ove il lavoratore si trova in una situazione di minore debolezza contrattuale, per la presenza di penetranti controlli delle organizzazioni sindacali e degli uffici pubblici (cosi’ Cass. n. 4970/2006), dal momento che la tutela collettiva assicurata dalla procedimentalizzazione dei poteri dell’imprenditore non esclude certo, pur nell’ambito dei licenziamenti collettivi, la tutela individuale, rappresentando la comunicazione congiunta prevista dalla norma in esame uno specifico termine di collegamento fra il momento collettivo e quello individuale”. (Cass. Sez. 1^, n. 24341 del 2010).
Da quanto osservato discende che nell’interpretazione della giurisprudenza di legittimita’ non trova spazio una nozione elastica del requisito della contestualita’, poiche’ la stessa “contraddice la funzione di garanzia dei lavoratori licenziati attribuita alle comunicazioni da inviare alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro e si rileva incoerente con il disegno normativo contenuto nella L. n. 223 del 1991”. Ne risultano esaltati i connotati di rigidita’ della procedura, con la conseguenza che “la riscontrata violazione determina di per se’, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, l’inefficacia del licenziamento” (Cass. Sez. 1^, n. 8680 del 29/04/2015, Rv. 635289).
7. Alla luce dei principi enunciati e della funzione di garanzia delle comunicazioni di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, come sopra delineata, risulta chiaro che la nozione di contestualita’ delle medesime deve essere intesa in senso proprio e rigoroso di sostanziale contemporaneita’ dell’esecuzione dei relativi adempimenti da parte del datore di lavoro. Non merita accoglimento, pertanto, l’ultimo motivo di ricorso, poiche’, a fronte della sequenza temporale imposta dalla legge per la procedura, il controllo giudiziale L. n. 223 del 1991, ex art. 5, comma 3, e’ limitato alla osservanza della procedura, non potendo assumere rilevanza alcuna ulteriori vicende diverse da situazioni di forza maggiore, in concreto non dedotte (Cass. n. 15898 del 28/07/2005, Rv. 583364; Cass. n. 7490 del 31/03/2011, Rv. 616524).
8. Conseguentemente il ricorso deve essere integralmente rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da L.M., liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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